Oggi un po’ a sorpresa la notizia della cancellazione delle feste previste per il Newroz in tutto il cantone di Cezire.
Passare la frontiera verso la Turchia sta risultando molto difficile; intanto alcuni fuochi sono stati accesi con copertoni di camion che anneriscono l’aria, solo piccoli fuochi visto che per motivi di sicurezza le feste grandi per il newroz sono state tutte cancellate nel cantone di Cezire.
Le bande di ISIS hanno minacciato attacchi e si teme che nei grandi assembramenti possano infiltrarsi e fare stragi tra la gente che fa festa. Oggi tutte le forze Asayis (la polizia del popolo maschile e femminile) erano in allerta per prevenire e controllare eventuali attacchi.
Nel frattempo abbiamo avuto modo di incontrare persone e attraversare storie normalmente incredibili qui in Rojava.
Il dolce padre che ci ha ospitato la seconda notte ha perso due figlie che combattevano nella guerriglia; una era rimasta circondata da centinaia di soldati turchi e finite le munizioni si è fatta esplodere per non finire la sua vita in una squallida prigione turca. La cosa che questo padre rimarca è il suggerimento che la mamma, sua moglie, aveva dato alle figlie: “meglio ammazzarsi che finire nelle loro mani”.
Tra le foto delle due figlie, ce n’è una piu’ recente di un nipote giovane, morto combattendo per la difesa del Rojava.
Il simpaticissimo papà parla e parla, e racconta tantissime cose della realtà curda, di come molti curdi ancora non hanno compreso Öcalan e il suo pensiero, di come la religione islamica ha iniziato dall’inizio ad uccidere e conquistare “un po’ come i daesh”, parole sue misurate, forti ma ben misurate….ci offre una cena buonissima, molto naturale.
F. è un uomo molto dolce e sensibile: da sempre appoggia il PKK e non può entrare più in Turchia. Ci racconta dei suoi quattro anni in una prigione turca, con i suoi ritmi noiosi e ripetitivi: lui come tantissimi ha resistito e continua a credere che il medio oriente si possa cambiare.
La famiglia che ci invita a cena a Derbasie ha un figlio che a 15 anni ha deciso di entrare nelle YPG. E’ una sua decisione, e lo si capisce dallo sguardo fiero della foto.
Il signore distinto che condivide con noi la casa e l’attesa di questi giorni sembra avere 50 anni; in realtà ne ha 35 e cammina perfettamente, nonostante 18 anni fa abbia perso mezza gamba su una mina turca. Ci spiega che la testa e il cuore permettono grandi miracoli; lui lavora incessantemente per questa rivoluzione.
I sette combattenti delle YPG caduti in battaglia alcuni giorni fa vengono seppelliti tutti insieme, in un piccolo cimitero di un paesino, con dolore ma con la grande dignità e il grande entusiasmo delle famiglie e di un popolo che li sostiene. Tutti hanno meno di 30 anni.