[divider]20 Febbraio 2013 [/divider] “Di dove sei?” è la domanda che mi viene posta più spesso da quando mi sono trasferito ad Istanbul ed ho iniziato la mia guerra personale per imparare il turco. Nei primi mesi mi limitavo a “Italiano”, poi col tempo, ho iniziato a usare una contro domanda:”Secondo te di dove sono?”.
Ed almeno così mi assicuro qualche variazione su un tema altrimenti scontato. Fino ad oggi ho ritrovato tre “scuole di pensiero”, tutte facenti capo al “turco della strada”, lo stesso che si incontra o lavora al bazar, il fruttivendolo, il barbiere, il sarto o il panettiere. Innanzitutto ci sono i “balcanici”, quelli che suppongono io sia bulgaro, albanese o bosniaco; poi ci sono gli “orientali”, che scommettono su Libano o Siria. In ultimo quelli che chiamo i “benevoli” (nei confronti del mio accento), corrente per la verità minoritaria, che suppone io sia un turco di Germania.
Nonostante questi diversi orientamenti, lo stupore è lo stesso quando rispondo: “italiano”. Perché da un bosniaco, un albanese o un siriano ci si aspetta imparino il turco, meno scontato sia un italiano ad avventurarsi nell’impresa. A quel punto il turco della strada, che di fronte ad un italiano ci tiene a fare bella figura, dopo l’immancabile excursus calcistico vuole capire da dove vengo, bluffando: “Milano?… Roma?”.
“Nessuna delle due, sono del sud, di Bari”. Spiazzato, il turco della strada, che comunque sa che la squadra di calcio di Bari milita attualmente in serie B, dà fondo al proprio bagaglio di conoscenza del Sud Italia puntando sul fatto di aver visto almeno tre volte l’intera saga del Padrino e con l’espressione di quello che ha finalmente capito, ci prova ancora: “Ahh, Sicilia! Palermo!”. A quel punto mi tocca essere più preciso :”No, Bari è nel sud-est”.
Da qui in poi il turco della strada si divide in base alla reazione. In molti l’ espressione si fa perplessa, lo sguardo indagatore, qualcosa non quadra, segue pausa e poi sempre la stessa domanda : “In che senso del sud-est?”.
In tanti altri scatta un sorriso grande così, cui segue un: “Anch’io sono del Sud Est!”.
Quest’ultima è stata la reazione di due dei cinque poliziotti che hanno controllato i miei documenti all’ingresso del campo profughi di Kilis, al confine siriano lo scorso settembre. “Facciamoci una foto, tutti quelli del Sud Est!” ha proposto uno di loro per scherzare. E la foto c’è e ritrae me e due uomini in divisa, uno di Urfa e uno di Diyarbakir. In pratica, me e due curdi.
“Essere del Sud Est”, ha finito con il sostituire l’aggettivo “curdo”, che a partire dalla fondazione della Repubblica turca nel 1923 ha costituito prima una contraddizione nel processo di formazione dell’identità nazionale, poi una problematica da estirpare per la classe politica e militare orfana di Ataturk, in ultimo una minaccia alla sicurezza nazionale a causa di un conflitto che dal 1984 ad oggi ha visto cadere piu’ di 40.000 persone tra civili, militari e guerriglieri del Pkk (partito curdo dei lavoratori).Un conflitto che va avanti,sebbene circoscritto alle montagne ed alle aree di confine e che con la guerra civile in Siria ha subito delle nuove impennate di violenza.
Col tempo l’utilizzo dell’aggettivo “curdo” ha finito con l’essere sempre più ristretto, comparendo per la maggior parte delle volte nell’espressione “Kürt Sorunu” ovvero “il Problema curdo”. Quello che sarebbe sì un problema, ma di identità e diritti di una minoranza numericamente rilevante (19 milioni di persone), nella società turca è stato inquadrato per decenni esclusivamente come una minaccia all’integrità nazionale e un problema di terrorismo da estirpare. Una questione di sicurezza nazionale. Ecco come l’aggettivo “curdo” era quasi sparito dall’uso comune. Nessuno voleva descriversi con lo stesso aggettivo utilizzato per identificare questioni spinose, problemi gravi.
Per fortuna le cose sono migliorate a partire dalla fine degli anni 90. L’adesione della Turchia alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la riforma del codice penale che non punisce più gli insulti alla “turchicità”, un cambiamento di approccio di alcuni media che hanno sostituito l’espressione “problema curdo” con “questione curda”, hanno fatto da cornice ad una serie di aperture: dall’utilizzo della lingua , alla legalizzazione di alcuni canali televisivi e stampa in lingua curda.
Certo il problema della guerriglia del Pkk e del riconoscimento di lingua e diritti culturali costituiscono le due facce, una militare e l’altra politica, di una vena scoperta della politica turca, un banco di prova sul quale il governo di Erdoğan ha raggiunto risultati alterni e rispetto al quale i prossimi mesi saranno importanti.
La presenza massiccia di curdi nella società contribuisce poi a rimarcare la distanza tra chi ha le proprie radici nel “Sud-est” ed i guerriglieri del Partito curdo dei lavoratori. Oggi incontrare qualcuno che dica:”Non ho problemi con i curdi che dicono -Sono turco-“, come denunciava anni fa il cantante Ahmet Kaya, è oggi un po’ più difficile.
Sebbene i passi avanti siano stati importanti, ancora oggi ogni qualvolta dico di essere del “Sud est”, il turco della strada si sdoppia a seconda delle reazioni. Quelli che con me condividono questa sorta di comunanza geografica e gli altri. I primi, appurato che Bari sta da un’altra parte, ma sempre di sud est si tratta, si stupiscono nel sapere che sono stato nella loro terra d’origine più volte e mi sottopongono ad un interrogatorio di lunghezza variabile che si conclude solo quando capiscono quanto belli siano i miei ricordi di quei luoghi.
Gli altri, appurato anch’essi che Bari sta da un’altra parte, ma sempre di sud-est si tratta,mi guardano increduli quando gli dico che nel sud-est della Turchia ci sono stato più volte e mi chiedono: “Che cosa ci sei andato a fare? Non è pericoloso?” Ed io, che il turco non smetto mai di impararlo, ora rispondo:”I paesaggi sono bellissimi, il cibo ottimo e la gente ospitale, non sai cosa ti perdi.”
di Giuseppe Di Donna – Huffington Post