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Cultura

Neshtiman, a ritmo di Kurdistan

[divider]24 Febbraio 2013 [/divider] Neshtiman significa terra natia. Ma soprattutto è il primo gruppo a riunire musicisti curdi provenienti da tre delle 4 nazioni nelle quali è diviso l’antico Kurdistan. Incontro con Hussein Zahawy, direttore artistico del progetto.
Provengono da tre diversi Stati – Iraq, Iran e Turchia –, e hanno fatto la loro prima apparizione la scorsa settimana, su un palco di Parigi. La loro musica è fatta di percussioni, ritmo e parole, pronunciate in lingua curda.

Note che evocano terre lontane, unite da un’unica radice ritmica.

I protagonisti di questo incontro musicale sono Sohrab Pournazeri, Goran Kamil ed Erlan Tekin, accompagnati dalla cantante Myriam Ebrahimpour, e da due musicisti francesi, il percussionista Robin Vassy e la contrabbassista Leila Renault.

È in questa formazione che i Neshtiman ci accompagnano nella scoperta della loro “terra natia”: “Perché anche se vivo in Inghilterra, il Kurdistan ce l’ho dentro” sottolinea Hussein, direttore artistico e ideatore del progetto (oltre che percussionista).

“Sono un curdo iracheno cresciuto a Londra, dove i miei genitori si sono trasferiti quando avevo 9 anni. Ho studiato in Inghilterra fin da quando ero piccolissimo, ed è qui che ho scoperto la musica curda. Non posso dire di venire da una famiglia di musicisti, nessuno dei miei suonava, ma quando si appartiene alla cultura curda si è inevitabilmente ‘esposti’ alla musica. E se non sai suonare puoi cantare, perché il ritmo accompagna da sempre le nostre vite”.

“All’età di 10 anni ho iniziato ad appassionarmi alle percussioni curde e da allora non ho più smesso. La mia carriera è iniziata sei anni dopo, sul primo canale televisivo curdo d’Europa”.

In quel periodo Hussein ha avuto la possibilità di collaborare con moltissimi musicisti curdi, di tutte le parti della regione: “Poi ho collaborato con artisti provenienti dai diversi angoli del mondo: molti dal Medio Oriente ma anche esponenti di musica classica, folkloristica e jazz. Ho firmato colonne sonore per il cinema, ma ho sempre avuto un sogno, un’idea…”.

L’idea era quella di riunire in un’unica formazione musicisti provenienti da diverse zone dell’antica regione del Kurdistan, ognuno con il proprio ‘stile’: perché è giunto il momento di “mostrare al mondo le molte sfaccettature della nostra cultura musicale”.

“Conoscevo e stimavo tutti gli attuali componenti del gruppo, avevo lavorato con ognuno di loro, separatamente, e in particolare con il mio amico Shorab, che è anche il compositore. È con lui che è iniziato il progetto”.

“Le storiche divisioni politiche e geografiche – prosegue Hussein – si sono tradotte in differenze musicali, sebbene le radici siano le stesse. È come se si trattasse di un grande albero, con un unico tronco e diversi rami: ognuno di questi è una parte della nostra regione, ma le radici, da cui tutte prendono il nutrimento e da cui tutte hanno origine, sono le medesime”.

Il denominatore comune è dunque il ritmo, con le percussioni che sono parte inscindibile di tutte le melodie.

“Come il mio strumento, ad esempio, il daf – racconta ancora Hussein -, è molto antico e radicato nella tradizione sufi curda, in quanto componente fondamentale delle cerimonie sacre. Poi ci sono quelli a fiato come lo zorna, il balaban, il duduck e naturalmente il tanbur, uno strumento a corde tipico della popolazione degli Ahl-e-Haq (‘gente di verità’, un popolo curdo proveniente dal versante iraniano). Ma abbiamo voluto recuperare anche altri antichi strumenti, come l’oud arabo”.

In questo studio un’attenzione particolare è stata riservata alla lingua curda: i Neshtiman cantano di amore e della bellezza della loro terra natale, nei tre diversi dialetti, come omaggio al loro patrimonio culturale transnazionale.

“Cantiamo in kurmanji (parlato in Turchia), in sorani (Iraq) e in kalhori (Iran), perché la lingua è parte integrante della nostra cultura. Sono proprio la musica e la lingua a formare l’identità curda”.

Ed è questo l’obiettivo dei Neshtiman: recuperare, conservare e svelare al mondo l’esistenza di un patrimonio prezioso e ai più sconosciuto.

“Con le nostre esibizioni vogliamo mostrare la ricchezza della nostra cultura che, nonostante sia attraversata da confini geografici, resta unita”.

Perché “le nazioni sono dei concetti politici, mentre la nostra idea va oltre. E come artista quello che conta è che la musica è la nostra terra natale”.

di Maria Letizia Perugini – Osservatorio Iraq

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