[divider]18 Marzo 2013 [/divider] Mancano pochi giorni al Newroz, capodanno curdo, festa che per tutti i popoli mesopotamici segna la fine dell’oscurità, dell’oppressione dalla tirannia e la rinascita verso la luce.
Ques’anno il 21 marzo assume una rilevanza particolare per tutti i curdi residenti in Turchia, come per i parenti delle quasi 36 mila vittime provocate negli ultimi trent’anni dallo scontro tra il governo e il movimento armato del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan).
Dalle sponde d’Imrali, nota per essere l’Alcatraz turca, giovedì prossimo Abdullah Ocalan potrebbe pronunciare un discorso storico, richiamando tutto il movimento di cui è leader a deporre definitivamente le armi.
Il cessate il fuoco, se annunciato, sancirebbe un importante traguardo politico dei negoziati avviatidal governo dell’Akp che, sfidando gli arroccamenti nazionalisti dell’esercito e dell’opposizione, ha avviato le prime trattative aperte con Ocalan. Da parte loro, il 13 marzo, sulle montagne al confine con l’Iraq, i militanti del Pkk hanno dato prova concreta del loro impegno per la pace, liberando otto prigionieri turchi tenuti in ostaggio da due anni.
“Stiamo vivendo un momento storico”, commenta lo stesso Apo (“lo zio”, soprannome di Ocalan), consapevole della fragilità dei negoziati e della tragica eredità delle settecento vittime che il conflitto ha prodotto solo nel 2012.
Tuttavia, un’analisi più ampia del quadro in cui s’inseriscono le trattative svela una complessa trama d’interessi, in cui gli equilibri politici interni s’intrecciano con i problemi di sicurezza regionale.
Il Chp, maggiore partito d’opposizione, continua a criticare il negoziato, sostenendo che l’acclamato slancio di pace del primo ministro Erdogan celerebbe in realtà la volontà di ottenere il supporto del Bdp per una riforma costituzionale in senso presidenziale. I voti dei parlamentari curdi sarebbero infatti essenziali per rimuovere dallo stallo la Commissione per la riforme costituzionali prima delle elezioni del 2014.
Ma le trattative di Imrali hanno importanti riflessi anche sulle province della Turchia meridionale e su quanto accade al di là dei 910 chilometri di confine con la Siria.
Perché a spaventare Ankara non sono solo le conseguenze della rottura con Damasco, quanto piuttosto la nascita di una regione autonoma curda difesa dalle milizie del Pyd, sospetta diramazione del Pkk, sorta nel vuoto di potere venutosi a creare con lo scoppio della guerra civile.
In questa situazione, una smilitarizzazione del Pkk permetterebbe a Erdogan di allontanare lo spettro di una possibile alleanza anti-turca Pyd-Pkk, neutralizzando così le tensioni autonomistiche ai propri confini meridionali. Una chiave di lettura che potrebbe estendersi anche al comportamento di Ankara verso la regione autonoma curdo-irachena (KRG) di Massaud Barzani.
Da sospetto porto franco e rifugio delle milizie del Pkk, il KRG si appresta a divenire un alleato strategico sul tema dell’energia.
Da gennaio scorso, grazie alla Turchia, il governo di Barzani ha iniziato l’esportazione diretta di greggio sui mercati mondiali e la cooperazionepotrebbe farsi più stabile attraverso la costruzione di un oleodotto che collegherà direttamente la regione al suo vicino.
Un canale simile, se realizzato, permetterebbe ai nuovi alleati di smarcarsi gradualmente, l’uno dal governo sciita guidato da Maliki, l’altro dalla dipendenza dal gas russo e iraniano. E controllando Barzani tramite la partnership sull’energia, neutralizzato il Pkk e, in un futuro prossimo il Pyd siriano, Ankara potrebbe finalmente tirare un respiro di sollievo guardando ai suoi confini meridionali.
di Emanuela Pergolizzi – Osservatorio Iraq