[divider]24 Marzo 2013 [/divider] Il 20 e 21 marzo a Roma, il 23 a Castelfranco Emilia e il 24 a Torino: qui si sono raccolti i kurdi d’Italia per festeggiare il Newroz, il capodanno di origine iranica che diversi popoli della Mesopotamia celebrano da 2625 anni.
A Roma una pioggia inesorabile ha fatto innervosire alcuni amici del centro Ararat al momento dell’accensione del tradizionale fuoco: la legna bagnata non attaccava, la scritta con l’augurio per il capodanno, Newroz pîroz bê!, nonostante fosse bene bene impregnata di benzina, non ne voleva sapere di accendersi. Ma alla fine l’ostinazione di Midyat – due proiettili nella gamba, due anni in Italia passati a combattere contro la convenzione di Dublino che lo voleva in Slovenia, falegname tuttofare e patriota – ha vinto anche sulla pioggia, il fuoco ha attecchito e ci si è potuti dedicare alle danze nello spazio di campo Boario, all’ex-Mattatoio di Testaccio, che è diventato in dieci anni un punto di riferimento per i kurdi e gli italiani che si interessano di Kurdistan. Il 21 sera al Colosseo salutiamo gli agenti in servizio in piazza: mi sembra di percepire la simpatia da parte delle forze dell’ordine per questi kurdi… Certo anche perché non danno fastidio all’ordine pubblico, s’intende.
Ma ho come la sensazione che si sia creato in questura un “team” che si fa assegnare al servizio apposta. «Mi ricordo quella volta che siete stati a Trastevere due giorni per lo sciopero della fame», «l’anno scorso avevate le fiaccole, ma quelle con la protezione per evitare che colasse la cera sui sampietrini… sa, altrimenti la Sovrintendenza poi protesta…». Al Teatro Valle per il reading di poesie e il concerto si va a gruppetti, il corteo non è stato autorizzato, non si può bloccare il traffico per duecento persone, e poi avrebbe potuto esserci l’intronizzazione del nuovo papa, bisogna garantire la sicurezza dei capi di stato e dei diplomatici che lo verranno a omaggiare… mi chiedo, come faccio da anni, quand’è che questi kurdi simpatici e che non danno fastidio verranno riconosciuti anche come degni interlocutori politici? Quand’è che i loro rappresentanti godranno dei benefici diplomatici?
Ma quest’anno il 21 marzo è un Newroz particolare… alle 12 ora italiana, 13 ora di Diyarbakır (Amed in kurdo, la “capitale” del Kurdistan del nord in territorio turco), chi può utilizzare un computer si sintonizza su un canale a scelta fra Nuçe TV, Sterk TV, Mmc (Mesopotamya Music Channel) o su altri siti di canali televisivi iracheni e siriani che non sono andati ancora in tilt per l’alto numero di contatti e che ritrasmettono la diretta. Gli occhi dei kurdi esuli sono puntati sulla piazza dove due milioni di persone, loro fratelli, sorelle, padri, madri, figli e figlie si sono riversati per ascoltare la lettura del messaggio di Abdullah Öcalan, da quattordici anni in isolamento sull’isola di Imralı. Il messaggio del presidente del Pkk, Partito dei Lavoratori del Kurdistan, fuorilegge in Turchia, viene letto prima in kurdo, poi in turco da Pervin Buldan e Sırrı Süreyya Önder, deputati del Bdp, Partito della Pace e della Democrazia, il partito kurdo legale. Anche dallo schermo si percepisce il silenzio e l’attenzione con cui la piazza di Amed ascolta le parole di Apo, “zio”, come viene affettuosamente chiamato Öcalan, che altri hanno definito e continuano a definire un “terrorista”.
«L’imperialismo occidentale ha creato confini artificiali tra i popoli del Medio Oriente nell’ultimo secolo ed ha l’obiettivo di lasciare che le popolazioni si uccidano l’un l’altra. Questa lotta è contro l’ingiustizia, il reazionarismo e lo sfruttamento, non è una lotta contro alcuna società e cultura. Ci stiamo risvegliando per una nuova Turchia, per un nuovo Medio Oriente. Un nuovo processo sta cominciando». Poche righe che contengono una lucida e potente quanto semplice analisi storica, insieme all’esortazione pratica a superare la visione imperialista che traccia confini e crea sfruttamento, come da anni va dicendo Öcalan ignorato per lo più dai media – inclusi quelli italiani – che lo descrivono sempre come “separatista”. Öcalan e i kurdi non parlano solo di difesa dei propri diritti: propongono un modello che vada bene per altre popolazioni, del Medio Oriente e anche oltre. Come non si può non vedere i guasti che il capitalismo ha provocato e provoca alle popolazioni di tutto il mondo con le sue ricorrenti crisi, e il suo tributo quotidiano di vite umane, che ricorda il mito del tiranno assiro Dehok che si nutriva ogni giorno con il cervello di due giovani? Il fabbro Kawa vince su Dehok il giorno del Newroz e accende i fuochi per dare la notizia della libertà dalla tirannia: che sia la volta buona? Come non si può non pensare che anche le nostre società cosiddette avanzate avrebbero da imparare di nuovo a costruire relazioni umane basate sulla libertà, l’uguaglianza, la fine dello sfruttamento? Segue l’appello alle forze della guerriglia per ritirarsi dal territorio della Turchia, al quale queste risponderanno positivamente: «È tempo che le nostre forze armate si ritirino dai confini. Questo è un nuovo inizio, non una fine. È l’inizio di una nuova lotta in favore delle minoranze etniche. Abbiamo tutti delle grandi responsabilità verso la democratizzazione di tutte le popolazioni e culture in queste terre. Invito tutte le altre popolazioni in questo territorio a condurre un’esistenza basata sulla libertà e l’uguaglianza». Öcalan gioca fino in fondo il suo ruolo per chiedere la pace, offrendo un importante cessate il fuoco (non è la prima volta, pur se le precedenti sono state ignorate dal governo turco) per proseguire i negoziati.
Le reazioni sono varie, anche se nessuno mette in dubbio le scelte del presidente: alcuni amici kurdi non si fidano del governo turco, hanno paura che ritirandosi la guerriglia, l’esercito avrà mano libera per continuare a colpire e rafforzare le proprie posizioni, senza che vengano fatti significativi passi in avanti, o che si otterranno risultati al di sotto delle aspettative, che si accetti un compromesso che non rispetti la memoria dei partigiani e dei martiri caduti per la libertà. Nessuno sa adesso se questa sarà la volta buona, troppe volte si sono viste aperture che però sono state sconfessate successivamente, con la repressione di ogni spazio politico ai kurdi in Turchia. Se le forze del Pkk hanno liberato qualche giorno fa otto persone che avevano in custodia, va ricordato che lo stato turco ha ancora 10.000 prigionieri politici detenuti nelle sue carceri per reati legati alla libertà di espressione. Il Primo Ministro Erdoğan ha rilasciato dichiarazioni caute, ma ottimiste: deve fronteggiare i partiti dell’opposizione repubblicana e nazionalista, che raccolgono molti consensi proprio per la loro opposizione ai negoziati con i “terroristi”. Certo adesso si apre una fase delicata, anche per i kurdi esuli in Europa: in molti cominciano a sognare un possibile ritorno, magari preceduto da un periodo nel Kurdistan del sud, in territorio iracheno; il Krg, il governo autonomo kurdo dell’Iraq, ha dichiarato di essere pronto a fare i necessari passi per sostenere il processo di pace.
E il governo italiano? Cerco inutilmente sul sito del Ministero degli Esteri o in rete una dichiarazione del Ministro ancora in carica Terzi di Sant’Agata: agli sgoccioli – speriamo – come titolare della Farnesina, impegnato a rimediare alla figuraccia internazionale per il caso dei due marò accusati dell’omicidio di due pescatori indiani, e a propagandare la vendita di armi ai cosiddetti ribelli siriani, le milizie islamiste sostenute dalla Turchia in funzione anti-Assad e anti-kurdi, non è riuscito proprio a trovare un minuto per dettare una dichiarazione alle agenzie, cosa che è riuscito a fare il suo omologo francese, e alti rappresentanti istituzionali di Germania e Stati Uniti d’America. Eppure l’Italia dovrebbe ancora scusarsi per il trattamento riservato a Öcalan nel 1999: chissà se l’apertura di oggi si sarebbe potuta vedere qualche anno fa, con buona pace di Enzo Bettiza che in un articolo del dicembre ’98 su Panorama definiva l’arrivo di Öcalan in Italia una bomba a orologeria preparata dai cattivi comunisti di Rifondazione…
Associazioni e movimenti hanno mandato anche quest’anno osservatori dall’Italia, attraverso la Rete Kurdistan Italia e Uiki, l’Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia; brutto episodio il respingimento alla frontiera turca di Antonio Olivieri di Alessandria, che non ha provocato la minima reazione da parte della Farnesina. Chissà se il prossimo Governo italiano si accorgerà della portata storica degli eventi di quest’anno, e deciderà di dare un contributo nel garantire il percorso di pace e di riconoscimento dei diritti dei venti milioni e più di kurdi in Turchia. Oggi sono ancora più contenta di far parte di un’associazione che si chiama “senzaconfine”: utopia forse, che mi auguro diventi presto praticabile realtà in terra di Mesopotamia, e dovunque.
Alessia Montuori – Corriere Immigrazione