[divider]24 maggio 2013 [/divider] Il sociologo e scrittore Ismail Beşikçi ha trascorso 17 anni della sua vita nelle carceri turche per via delle sue pubblicazioni La maggior parte delle sue opere è stata vietata in Turchia per decenni. Fin dalla sua tesi, nel suo lavoro scientifico si occupa di curdi. Anche privatamente si impegna per la loro autodeterminazione e per questo motivo i curdi lo considerano un eroe. Ora il 74enne vive una vita ritirata ed evita le apparizioni pubbliche. Per M-MEDIA il famoso sociologo ha parlato con Hülya Tektas del processo di pace turco-curdo e della ritirata dei combattenti del PKK.
M-MEDIA: Fino ad oggi la Turchia ha perseguito una politica di rifiuto nei confronti del PKK. Qual è la ragione per le ultime trattative tra il leader del PKK Abdullah Öcalan e il servizio segreto turco MIT?
In linea generale ci sono due ragioni. Da un lato il movimento di liberazione curdo armato ora è diventato molto influente. Allo stesso tempo anche la lotta parallela del governo turco contro i curdi e la loro cultura e la politica di assimilazione non hanno avuto successo. Il conflitto trentennale da un lato ha emancipato i curdi, dall’altro ha dimostrato allo stato turco che non è possibile sconfiggere militarmente i curdi.
La politica internazione nel Vicino Oriente è un ulteriore punto per questa svolta nella politica turca. La penetrazione degli USA in Iraq e la fine del regime Baas ha aperto una nuova era per i curdi. Per la prima volta nella loro storia, ora essi hanno uno status politico: hanno una regione autonoma in Iraq e possono in larga misura autodeterminarsi. Questi due sviluppi sociali e politici hanno ora condotto lo stato turco a rivedere la sua politica sui curdi e tentare ora una soluzione pacifica.
M-MEDIA: Il 21 marzo, in occasione della festa curda del Newroz (festa della primavera), Öcalan ha fatto appello alla pace, alla tregua e al ritiro dei combattenti del PKK dalla Turchia. La ritirata dei combattenti di per sé è sufficiente per la pace?
La pace dipende anche dallo stato turco. Si rendono necessari molti passaggi di natura parlamentare e giuridica. Ad esempio deve essere creata una commissione indipendente che controlli il processo di pace.
M-MEDIA: Secondo un recente sondaggio, il 90% dei curdi sostiene Öcalan. L’81% vede in Öcalan un rappresentante dei curdi. Lei cosa ne pensa?
Il problema curdo è una questione politica. Quindi è meglio se le trattative si svolgono tra il BDP (partito pro-curdo nel parlamento turco) e il governo turco e non tra Abdullah Öcalan e i servizi segreti turchi.
M-MEDIA: Tramite la sua fondazione nel 1978, il PKK chiedeva un grande Kurdistan indipendente che comprende tutte e quattro le parti (Turchia, Iraq, Iran e Siria). Oggi però si parla di più di diritti culturali dei curdi all’interno dei confini turchi. Coma va interpretato questo cambiamento nelle rivendicazioni del PKK?
Anche questi sviluppi nel nord (Turchia) hanno effetti su tutti i curdi, quelli nel sud (Iraq), nell’est (Iran) e nell’ovest (Siria). Quello che succede in una parte influenza anche le altre parti del Kurdistan.
M-MEDIA: Come valuta questo processo di ritirata del PKK? Cosa comporta per i curdi?
Negli ultimi 30 per i curdi sono cambiate molte cose. Ancora 20 anni fa, la lingua e la cultura curda in Turchia venivano completamente ignorate, ovvero vietate. Ora persino il governo turco ha un canale televisivo pubblico e legale in curdo. Tutto questo va ricondotto alla lotta dei curdi. Questo negoziato di pace va visto come un primo passo. Nei prossimi 20 anni i curdi chiederanno più diritti e riusciranno anche ad ottenerli.
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