[divider]9 Giugno 2013 [/divider]
L’altro giorno, mi sono messo a fare le pulci ad alcuni amici che organizzavano una manifestazione di “solidarietà con il popolo turco” davanti al consolato della Turchia a Firenze.
Non che io abbia nulla in contrario ai moti in corso: è quel termine “popolo turco” che combina ottime intenzioni con scarsa informazione.
A parte il fatto che almeno la metà di quel popolo sostiene l’attuale governo, in Turchia ogni cosa nasconde qualcos’altro, anzi nasconde il contrario delle apparenze.
Come ad esempio, il “bando agli alcolici” di cui parlano i media, che consiste nel divieto di vendita di alcolici tra le 10 di sera e le 6 di mattina e l’obbligo di applicare alle bottiglie un avviso sui pericoli alla salute. Che secondo il governo, sarebbe un modo per adeguarsi agli standard europei in materia di prevenzione…
Prendiamo il quotidiano Zaman, il più diffuso in Turchia e che a prima vista è quello “vicino agli islamisti”. Il fatto interessante è che Zaman in questi giorni sta criticando in maniera decisa il comportamento di Recep Tayyip Erdoğan, sostanzialmente accusandolo di aver perso il senso della misura.
Una critica che potrebbe anche avere un elemento di verità, ma che certamente non viene lanciata a caso.
Infatti, Zaman fa parte di una costellazione enorme e misteriosa, quello di Fethullah Gülen, un signore che vive in autoimposto esilio negli Stati Uniti, in una fortezza dove è protetto, dicono i vicini, da un centinaio di guardie turche con tanto di elicottero.
Gülen guida tra l’altro la più vasta rete di scuole private degli Stati Uniti e gestisce, secondo i critici, una cifra tra i 22 e i 50 miliardi di dollari.
Il suo movimento è sorto nell’ambito di una più ampia confraternita – la Turchia è da sempre un paese in cui enormi confraternite, ufficialmente fuorilegge nella repubblica di Atatürk, uniscono in maniera discreta milioni di persone. Il suo primo obiettivo fu quello di istituire scuole private che tenessero i giovani delle famiglie bene lontani da alcol, droga e politica, portandoli invece al successo economico.
Con il tempo, la rete di Gülen si è estesa in tutto il mondo, senza apparente organizzazione centrale, e comprende oggi un migliaio di scuole e centri, diffusi in un centinaio di paesi, in particolare quelli turcofoni dell’Asia Centrale e tra la diaspora turca in Germania.
La “comunità” (cemaat) raccolta attorno a Gülen ha anche un ramo in Italia, che si chiama “Associazione Interculturale Alba“.
Un’associazione che ha il vago obiettivo di “fungere da ponte tra le diverse culture, contribuendo alla diffusione dell’unico linguaggio universale: quello della pace e dell’amore“, e che ha organizzato recentemente una “vistosa cena di gala” (la definizione è loro) per un centinaio di ospiti al Hotel Principi di Piemonte. Non so quanto costi una “vistosa cena di gala”, ma una stanza in quell’albergo costa 500.00 euro per notte:
“Nella cena erano presenti personaggi di ogni sfera, dalle autorità religiose come Chiesa Ortodossa, Chiesa Domenicana [sic!], Chiesa Valdese, agli assessori, dai rappresentanti del mondo universitario, Università di Torino, Politecnico, a uomini d’affari, rappresentanti della media, Rai, Stampa, ai rappresentanti della Prefettura, Istituto Paralleli, Quadrato Torino, Compagnia San Paolo e tanti altri.” [1]
Tutte persone che quantomeno non si presteranno a criticare il movimento.
E’ difficile collocare il movimento di Gülen negli schemi comuni dei media, con i suoi bravi laici e cattivi barbuti.
Il suo movimento svolge un enorme lavoro diplomatico verso ortodossi, cattolici ed ebrei, che certamente non ne fa un movimento “fondamentalista”: uno dei più attivi sostenitori del movimento è l’imprenditore ebreo turco, İshak Alaton della potente Alarko Holding (gas, energia elettrica, villaggi turistici, settore immobiliare, città-fortezze di lusso per neoricchi, opera dall’Algeria al Kazakhstan), un convinto critico di Erdoğan.
Come molti movimenti turchi, i seguaci di Gülen in giacca e cravatta non hanno per nulla una visione legalistica della shariah; piuttosto, su un modello che potremmo definire “protestante”, propongono un rigoroso comportamento etico (sempre in termini moralistici e sentimentali) che dovrebbe temperare il libero mercato che il suo movimento favorisce.
Un rapporto dell’intelligenza turca MİT, lo ha dichiarato un “agente della CIA”, e nelle sue memorie, Osman Nuri Gündeş, ex-capo dei servizi segreti turchi, parlò di una stretta collaborazione tra Gülen e la CIA in Asia Centrale, dove gli agenti statunitensi agivano sotto la veste di “insegnanti d’inglese” nelle scuole del movimento.
Questo tema pare sia stato approfondito a suo tempo dallo storico Necip Hablemitoğlu, morto assassinato nel 2002: prima di saltare a facili conclusioni, ricordiamo che l’omicidio di Hablemitoğlu fu attribuito sia ai servizi segreti tedeschi – Necip Hablemitoğlu aveva studiato l’operato delle ONG tedesche in Turchia – sia ai servizi segreti “laicisti” dello Stato che avrebbero cercato di far ricadere le colpe sugli islamisti: siamo in Turchia, insomma.
Invece, la rete degli islamofobi neocon statunitensi conduce da tempo una dura guerra contro Gülen, accusato di voler imporre un califfato neo-ottomano sul Medio Oriente nella maniera più subdola.[2]
Il giornalista Ahmet Şık preparò un libro sul movimento intitolato Imamın Ordusu, “L’esercito dell’Imam”, in cui sosteneva che, mentre il governo demoliva il potere dell’esercito, Fethullah Gülen fosse riuscito non solo a controllare la polizia turca, ma a far entrare qualcosa come l’80% dei poliziotti nel suo movimento. Ahmet Şık fu arrestato prima che potesse pubblicare il libro, che qualche volenteroso ha però reso disponibile in pdf (ce la farò a leggerlo tra qui e l’anno prossimo?).
E qui arriviamo al punto interessante, perché si tratta della stessa polizia che ha agito con tanta violenza contro i manifestanti a Istanbul.
E si tratta dello stesso Fethullah Gülen che l’altro giorno è uscito con una dichiarazione fortemente critica verso il comportamento di Erdoğan, accusato di non aver saputo gestire la situazione e di aver agito con troppa violenza.
Un paio di giorni prima, il presidente della Turchia (sotto un enorme ritratto di Atatürk) aveva anche lui implicitamente criticato Erdoğan; e il presidente della Turchia, Abdullah Gül, è notoriamente il miglior alleato di Fethullah Gülen.
Siccome siamo in Turchia, c’è immancabilmente chi conclude da tutto questo, che Gülen abbia usato la polizia – approfittando dell’assenza di Erdoğan per un viaggio in Marocco – per screditare il governo e sostituire Erdoğan con qualcuno più vicino a lui.
Noi non abbiamo la minima idea della verità, ma ringraziamo il nostro lettore e amico Guido, che ieri ha citato il “principio-guida situazionista”:
“…confutare la rappresentazione ufficiale della realtà, squilibrare la ferma immagine del mondo, scombinare le coordinate della verità. Ancora una volta è compito del soggetto agire, di una intelligenza dissoluta, e di un linguaggio che mina i codici istituzionali”.
Note:
[1] Curiosamente, è molto più dettagliato il resoconto in lingua turca della cena di gala, che quello in italiano. Particolare entusiasmo per Gülen è stato espresso dal professor Paolo Zannini, dell’università cattolica di Milano.
[2] Su tutta
la questione dei rapporti con la CIA, un articolo in inglese su un sito curdo offre alcune interessanti riflessioni.
Miguel Martinez
http://kelebeklerblog.com/2013/06/07/fethullah-gulen-e-i-misteri-della-turchia/