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Iraq

IV. Rapporto della delegazione in Kurdistan (Iraq)

La parte fondamentale del viaggio: la visita al campo di Mahmura;  il campo dei profughi siriani di Domiz nel nord Iraq;  la visita al Centro Zoroastriano di Lalish

La visita al campo di Domiz

Già solo il dato di partenza è impressionante: di 230.000 profughi siriani in Iraq ben 120.000 sono a Domiz nei pressi della città di Duhok. Una distesa di tende e di rassegnazione che, però, fa intravvedere più di una possibile possibilità di riscatto. Nella possibilità di andare a lavorare liberamente a Duhok o a Erbil, nella condizione di essere liberi e volerlo continuare ad essere nonostante le restrizioni del campo.

L’impatto, infatti, non è stato facile. Si è visto fin dal giorno prima che le guardie di controllo all’ingresso del campo sarebbero state – giustamente – fiscali e attente fino alla minima infrazione alla prassi. E prassi voleva che fosse il responsabile generale stesso del campo a farsi, in qualche modo, primo “filtro” di tutte le richieste, necessità o altro che potevano provenire da parte nostra.  Ma passiamo al contenuto vero e proprio dell’esperienza.

E’ il più grande campo di rifugiati siriani in Kurdistan ed è stato aperto nel 2012. All’inizio era previsto per 20 – 25.000 persone, ma a causa del peggioramento della situazione ora ne contiene da 50.000 a 60.000. Numero che arriva anche a 90.000 se pensiamo anche ai piccoli campi disseminati sul territorio della provincia di Duhok e in qualche modo ricongiungibili allo stesso centro di Domiz.

Ci ricorda subito, a scanso di equivoci , che la situazione è sostenuta fino all’ottanta per cento dal governatorato autonomo del Kurdistan , facente parte della federazione Iraqena. Anche i numeri da cinquanta a sessantamila sono obbligatoriamente approssimativi perché il numero delle persone che entrano ed escono dal campo è difficilmente valutabile. Esiste una palpabile presenza dell’ONU sia in termini di aiuti che di presenze, ma – in ogni caso – la gestione è del governo kurdo.

Ci viene subito detto che il problema principale del campo sta nella mancanza di un sistema fognario degno di questo nome. Pertanto l’igiene è scarsa, quando piove si trasforma tutto in un informe pantano fangoso, per non parlare di quando nevica.

 Alcune foto all’interno della segreteria generale del campo sono, da questo punto di vista, drammatiche. Persone che cercano disperatamente di liberare dal peso della neve la propria tenda, altre che con sistemi di fortuna vanno a ripristinare i servizi base per la vita di loro stessi e delle loro famiglie.

Ci ricorda, quasi immediatamente, e ce lo ripete più volte che – secondo lui – non sono gli stessi i trattamenti nei confronti del campo di Domiz e in quelli allestiti – sempre grazie all’ONU – in Giordania o in Turchia. Sostanzialmente si lamenta di essere stato lasciato piuttosto solo nella gestione di un’emergenza così grande con pressioni provenienti da ogni parte.

Dalle difficoltà di inserimento nella stessa società civile kurda locale, alle necessità di cibo, attrezzature, medicine e quant’altro che evidentemente non sono ritenute di pari peso rispetto ad altre realtà. Un problema su cui insiste molto e, che, sicuramente, sarà da prendere in considerazione. E “mentre i Paesi del Golfo hanno assicurato grossi investimenti per i rifugiati in Turchia, non così è per quelli di Domiz”.

Sempre nel corso dell’incontro, che è durato molto ed ha avuto una “coda” con ripresa televisiva effettuata dal nostro Lorenzo Giroffi, è risultato che è stata temporaneamente chiusa la frontiera con la Siria per via delle elezioni (che si sono proprio svolte la scorsa domenica con la vittoria del PDK) e che c’è stato un picco di affluenza nel corso dello scorso mese di agosto: dal 15 agosto al 15 settembre sono arrivati più di sessantamila rifugiati siriani in Kurdistan.

Nella sola giornata del 16 agosto sono arrivati più di diecimila rifugiati siriani. E, da allora, l’affluenza è stata di più o meno di 1000 rifugiati al giorno. Ormai ci troviamo in una situazione di completa saturazione. Questo campo è completamente pieno e non può ricevere altri ospiti.

L’acqua a tutt’oggi non è erogata in modo regolare con forniture pubbliche ma fornita con autobotti con aggravio di spesa a carico del governatorato autonomo. Sono in via di costruzione collegamenti con i sistemi idrici dei vicini centri abitati ma per il momento non si è ancora è ancora terminato nulla. Sembrano esserci anche buone notizie per l’irrigazione dei campi vicini ma, anche qui, siamo all’inizio di un periodo – che sarà lungo – di normalizzazione.

Per il resto, esiste un sistema educativo accettabile per il gran numero di utenti, c’è un centro sanitario per le cure di primo soccorso e ve ne è un altro in via di costruzione. Sono presenti uffici del governo e della polizia e sotto questi punti di vista la situazione di questo campo non è differente da quello di altri centri abitati di media grandezza.  C’è in costruzione un centro per la prevenzione della violenza sulle donne. Gli ospiti di Domiz non hanno un particolare riconoscimento come “rifugiati” ma sono liberi di andare e venire come vogliono, come qualsiasi altro cittadino.

Si registra qualche lamentela al di fuori dell’Ospedale ma siamo nelle condizioni di normale dialettica presenti in tutti i centri sanitari. Buona, invece, l’impressione avuto rispetto alle apparecchiature sanitarie, alle modalità di cura e alla disponibilità del personale medico.

Il sistema educativo del campo di Domiz.

Ci sono già tre scuole perfettamente operative e sono in via di costruzione altre quattro scuole. Sono “assistiti” in tutto 750 bambini dai sette ai quindici anni. Ci sono, secondo gli insegnanti contattati, da trenta a quaranta allievi per classe. La scuola che abbiamo avuto modo di visitare direttamente è solo una delle tre del campo ma ha dimostrato tutti i tratti costitutivi di una scuola di questa parte del mondo, senza discostarsi di molto dalla media educativa fornita dagli altri centri scolastici esterni.

Si cerca di mantenerli per aree di provenienza per cui si hanno 1430 alunni in una scuola detta “Qamishli”, 720 in una detta “Kar” e ben 1440 in quella detta “Jiyan”. E’ prevista l’apertura a breve di altre tre scuole, per cui il numero totale sarà di sei. Questo, evidentemente, a causa della forte pressione dei profughi in costante arrivo.

Essendo alunni provenienti da una realtà “araba” in prevalenza, come quella della Syria, è comprensibile l’utilizzo dell’arabo come lingua base per tutte le materie, anche se al kurdo viene riservata una particolare attenzione. Su questo, anche pensando ad una futura nuova configurazione dell’intero Kurdistan, sarebbe opportuno soffermarsi con calma, poiché è evidente che – se si vuole dare forza ad una lingua – bisogna usarla in tutte le occasioni possibili (e in questo caso nelle varie materie di studio).

La visita al Centro Zoroastriano di Lalish.

Molto significativa, poi, la visita al centro religioso di Lalish. Si tratta dell’antico culto del dio Ahura Mazda e di tutte le credenze ad esso riconducibili. Prima di tutto l’ambientazione particolare; si è scelto di piazzare uno dei più grandi centri di questa religione in una valletta meravigliosa, con ombra e vegetazione abbondante , in forte contrasto con la circostante area semidesertica che caratterizza questa regione tra il confine turco e quello iraniano.

Un vero giardino di delizie che accoglie il visitatore con il coinvolgimento di tutte le facoltà sensoriali, portandolo a diretto contatto con il mazdeismo, la religione dei forti contrasti, dell’eterna lotta tra bene e male, della lotta della luce per sfavillare in tutto il suo splendore. Si è visitato il luogo di sepoltura di Serxadi, uno dei profeti dello zoroastrismo si proceduto ad alcune pratiche propiziatorie in vista di una purificazione interiore (non a caso si è passati attraverso camere buie con enormi recipienti pieni di pece nera, traccia di precedenti utilizzi rituali. Terminato l’intermezzo culturale – religioso, ci si è rimessi in cammino per Mahmura.

La visita al campo di Mahmura

E’ uno dei più antichi campi di accoglienza dell’Iraq, già operativo ai tempi di Saddam Hussein. Ormai ha raggiunto i venti anni di funzionalità con ben trecento volontari che – in qualche modo – lavorano nel campo. Hanno raggiunto il numero ragguardevole di 10.700 unità e sono concentrate soprattutto nel campo principale – ormai diventato una piccola città con i suoi dignitosi edifici in pietra e molti punti di incontro per la popolazione tra cui un capiente teatro.

Si dice, ce lo dice il dottore che ci ha accompagnato per tutto il tempo, che Mahmura sia sorta su uno spazio di terreno aridissimo, prima solo infestato da scorpioni ed ora diventato ben altro”. L’impatto iniziale non è stato dei migliori in quanto si è dovuto sottostare al “ritiro” dei passaporti per tutti i membri della delegazione in uno dei tantissimi
posti di blocco incontrati lungo il viaggio. L’impegno, poi mantenuto, è stato quello di ridare tutti i documenti il giorno dopo (il due ottobre) una volta espletati tutti i procedimenti di rito.

Comunque, alla sera del primo ottobre entriamo a Mahmura e subito siamo accolti da una calorosissima accoglienza e ospitalità che, oltre che in una deliziosa cena, si è concretizzata nell’utilizzo delle strutture del campo stesso per passare la notte.

Come è noto è in corso una operazione sanitaria in grande stile che ha visto all’opera alcune strutture ospedaliere italiane, soprattutto emiliane, che si sono impegnate nella raccolta e spedizione di materiali e strumentazioni sanitarie dall’Italia fino in Iraq tramite TIR. Tutti i prodotti inviati sono arrivati in perfetto stato di conservazione e ora si sta allestendo la struttura ospedaliera vera e propria – sempre con denari della cooperazione internazionale – su un’area adiacente al campo in buona posizione logistica.

.I dettagli del progetto sono stati  precisati, nel corso di una breve manifestazione che si è svolta presso la Municipalità di Mahmura, dallo stesso Sindaco e da alcuni consiglieri e collaboratori che con dovizia di particolari e visita al luogo del nuovo impianto, hanno  specificato quali saranno i passi da affrontare per ottenere il risultato che tutti attendono.

L’area destinata ad ospedale avrà un’ampiezza  complessiva di 1300 mq e sarà strutturata in modo tale da esaurire le necessità del campo-villaggio di Mahmura e, anche, di realtà vicine.

Prima della cerimonia, sempre nella mattinata del giorno due ottobre, si è svolta una commemorazione di alcuni caduti per la libertà del Kurdistan inseriti nell’albo d’onore del PKK. Si tratta di Cicek, Roserin, Aliser, Rustem, Maria, Xebat. Il tutto all’interno di un aggiornamento dello stato delle trattative tra Stato Turco e rappresentanti del popolo Kurdo turco.

Bisogna, infine, ricordare che il campo di Mahmura è l’ultimo luogo in cui hanno potuto trovare riposo gli abitanti delle zone di Hakkari e di Sirnak nel Kurdistan turco, dopo una lunga peregrinazione che li ha portati a dure repressioni, per esempio a Xakurke, oppure a sperimentare gli effetti di bombardamenti anche con gas così come è avvenuto a più riprese (l’ultima nel 20 ottobre 2011).

Sono quindi presenti su questo territorio dal 1998 e sono riusciti a portare circa tremila alunni alla scuola allestita nel campo realizzando quello che hanno sempre desiderato, poter vivere la loro vita da entità differenti rispetto a quella dominante turca, con la possibilità di studiare in “kurmanci” , in “sorani” e in inglese. Una condizione di forte partecipazione alle decisioni che continua a permeare tutto il campo-villaggio e lo rende, in qualche modo, un modello.

Il sindaco, infatti, viene rieletto ogni due anni e tutti gli abitanti con più di 17 anni hanno diritto al voto. Una popolazione desiderosa di inserirsi nel tessuto più ampio del Governatorato del Territorio Kurdo con circa il novanta per cento della popolazione impegnato giornalmente all’esterno del campo in attività edili o di servizio pulizie, con qualche elemento cresciuto nel campo che ha potuto laurearsi e ci tiene a mantenere un rapporto stretto di collaborazione con il campo stesso.

La giornata del due termina con il trasferimento alla grande città di Suleymania di cui daremo cenno in altro resoconto.

Delegazione Italiana in Kurdistan Iracheno

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