Opinioni e analisi

A proposito dei libri di Abdullah Öcalan…

Se si volessero incasellare gli scritti dal carcere di Abdullah Öcalan nelle categorie accademiche e intellettuali italiane e/o occidentali, si potrebbe facilmente affermare che la revisione dell’autore di alcuni periodi storici della storia del Medio Oriente – che in Europa sono studiati con un’ottica che Edward Said definirebbe “orientalista” – ribalta questa concezione applicando la lezione gramsciana, incardinandosi si direbbe nel filone di studi definito post-coloniale. Ma il pensiero di Öcalan non si lascia costringere facilmente in queste categorie: soprattutto perchè oltre a essere uno studioso, pur se ristretto nelle sue ricerche in pochi metri quadri di cella di isolamento su un’isola guardata a vista da migliaia di soldati, è il rappresentante di un popolo, un militante.

Se peraltro gli amici kurdi affermano che “gli scritti del presidente sono difficili da capire”, è da notare come Öcalan abbia fatto un enorme sforzo per farsi capire dal suo popolo anche attraverso i suoi scritti. Il suo stile può forse a volte risultare enfatico, ma occorre tener presente che l’autore non si può permettere il lusso di non farsi capire dal popolo proprio mentre quest’ultimo soffre.

Se nel primo volume degli scritti dal carcere, pubblicato in italiano con il titolo “Gli eredi di Gilgamesh. Dai Sumeri alla civiltà democratica”, si era soffermato appunto sulla storia di alcune grandi civiltà del Medio Oriente, svelandone i principi antidemocratici che avevano portato all’oppressione, tracciando le linee di una storia del popolo kurdo, nel secondo, uscito ora in italiano con il titolo “Il PKK e la questione kurda nel XXI secolo”, si riprendono le fila della storia per arrivare a spiegare come è nato il movimento di liberazione kurdo organizzato nel Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK).

Da fuori un’organizzazione definita “terroristica” dai paesi occidentali, per compiacere l’amica Turchia, da dentro un movimento di persone libere che si autorganizzano per difendere la loro vita, la loro libertà, la loro cultura e lingua madre, rifiutando lo sfruttamento e basando la propria vita sull’idea di condividere il pane ( Heval è più o meno come la nostra parola compagno, nel senso originario di  cum panis).

Non esitando a criticarne alcuni aspetti – l’autocritica è un cardine fondamentale del militante kurdo – Öcalan ne descrive il potenziale di presa di coscienza e di liberazione che fin dalla sua fondazione non era stato possibile coagulare in pieno (molte rivolte kurde ci furono in passato, ma nessuna ebbe successo, perchè non chiedeva un cambio di mentalità oltre alla presa delle armi, destinate a fallire contro stati potenti e organizzati nonostante l’eroismo dei suoi leaders ).

Suona come una bella lezione per quella Europa che da qualche anno si è scoperta sempre più “fortezza”, e che ogni giorno alza barriere per scongiurare l’arrivo di migranti e profughi, aumentando in questo modo il tragico bilancio di vite umane perse nel tentativo di raggiungerla. Oltre il filo spinato, dunque, uno stesso popolo, la stessa gente si guarda, si organizza, si dà delle regole, impegnandosi a convivere pacificamente vedendo riconosciuti finalmente i propri diritti fondamentali, quello alla lingua madre, all’autodifesa, a decidere da sè delle proprie risorse, e a non escludere nessuno da questa comunità.

I recenti avvenimenti nel Kurdistan siriano, con la proclamazione dei tre cantoni autonomi che includono le altre minoranze, mostrano come questa via sia lontana dalla concezione di stato-nazione basato sulla cosiddetta “unità di popolo, lingua, razza, religione” etc etc, che così tanti lutti ha portato anche nella storia europea, per arrivare a praticare una democrazia inclusiva e reale. Sappiamo purtroppo che questa proposta, portata fin nel cuore dell’Europa, e proprio in Italia, da Öcalan, è stata respinta, consegnandolo ai suoi oppressori.

Nel terzo libro, “La Roadmap verso i negoziati”, Öcalan illustra più nel dettaglio questo cambio di prospettiva: il popolo kurdo, l’ultimo a chiedere un proprio stato-nazione senza mai ottenerlo, oggi vi rinuncia, non perchè non ne abbia la forza e il diritto, ma perchè è andato più avanti nel percorso. Lo stato-nazione opprime, non serve al popolo; cionostante le potenze non lasceranno certo spontaneamente la loro posizione di privilegio che deriva dallo stato attuale dei confini e dei sistemi economici.

Ma dal popolo kurdo, che Turchia, Iran, Iraq e Siria non sono mai riusciti ad annientare, nasce una proposta di superamento che va oltre il pensiero dei confini e si fonda su un’autonomia in cui i processi decisionali fondamentali stiano in mano al popolo; le donne hanno in questo processo un ruolo fondamentale, perchè sono la “classe oppressa” trasversale presso tutti i popoli, ed è quindi solo includendo le donne nel percorso verso la pace che si potrà realizzare una vita libera e democratica.

Il percorso viene delineato attraverso tappe concrete, con passaggi anche legislativi oltre che culturali e sociali. E’ la base del negoziato in corso fra stato turco e movimento kurdo, sempre a rischio di stallo ma fondamentalmente ormai avviato, cosa che difficilmente potrà tornare indietro.

Queste poche note vogliono essere una riflessione di una semplice militante antirazzista e internazionalista europea, con lo stupore di chi si imbatte in qualcosa di rivoluzionario, pur a volte grezzo e troppo “interno”, che sa ancora dire – e fare – qualcosa di nuovo per combattere l’oppressione e lo sfruttamento in un mondo in cui questi sì, e solo questi, sembrano non avere più confini.

 

di Alessia Montuori   Associazione Senzaconfine  

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