Partiamo di buon’ora verso Nusaybin, città di frontiera con la Siria a circa 160 chilometri a sud da Diyarbakir.Il panorama frastagliato e montagnoso lascia lentamente il posto a lunghe distese di campi incolti che affollano il nostro sguardo fino ad arrivare a quel lungo filo spinato che tratteggia l’ ennesimo confine.
Ad accoglierci troviamo Sara Kaya, co-sindaco della città insieme a Cengiz Kok, esponenti del partito BDP. Per la prima volta, infatti, alle elezioni amministrative tenutesi lo scorso 30 marzo il partito ha voluto proporre per ogni circoscrizione una “doppia candidatura” che ha portato alla elezione di due sindaci, un uomo ed una donna, che si affiancano per perseguire e garantire la parità di genere.
Tra çay e dolci tipici della zona, il sindaco Kaya inizia a illustrarci la situazione raccontandoci le problematiche di questa cittadina, luogo strategico per la sua posizione geografica a cavallo di due Stati. Sebbene formalmente separate da una frontiera, Nusaybin e Al Qamishli sono da sempre un unico agglomerato urbano dove si parla lo stesso dialetto e dove le famiglie vivono nell’una e nell’altra indistintamente.
Come le dodici dighe in costruzione lungo la frontiera con l’Iraq per bloccare i rapporti e i movimenti della popolazione kurda, allo stesso modo la barriera che si snoda per sette chilometri in tre linee di confine tra filo spinato, muro, mine antiuomo e torrette di guardia, ha una funziona esclusivamente politica: ancora una volta, quella di frammentare la continuità territoriale e culturale del Kurdistan e diminuirne così la potenza.
La nostra visita continua nelle ore successive nelle vie della città, tra edifici vuoti e piccole attività commerciali desolate, testimonianza evidente del dissesto economico che questa divisione forzata ha creato. Nonostante sia isolato e periferico, riusciamo a raggiungere anche il campo profughi allestito dalla Mezzaluna Rossa e dalla Afad, l’equivalente della nostra Protezione Civile. Presidiato dalla gendarmeria e inavvicinabile a chiunque, comprese Ong e associazioni, la gigantesca tendopoli ci appare come un centro di confinamento dove chi scampa alla morte si ritrova sospeso in una situazione di perenne attesa, senza poter immaginare un futuro.
Pubblichiamo di seguito, l’intervista del neo co-sindaco Sara Kaya
Parlaci del muro che divide le città gemelle di Nusaybin e Al Qamishli. Quando sono iniziati i lavori per la realizzazione del muro? Quali sono le vere ragioni della sua costruzione e quali effetti ha prodotto sulla popolazione civile?
I lavori per la costruzione del muro sono terminati a fine 2013 e hanno completamente separato Nusaybin dalla città gemella di Al Qamishli. Due giorni fa il governo ha anche avviato la costruzione di un altro muro lungo il confine ad Hatay della lunghezza di 1200 metri.
Qui a Nusaybin una volta ultimato il muro sono iniziate subito le proteste, con un presidio permanente che ha coinvolto l’intera popolazione cittadina, incluso il precedente sindaco, anche lui del BDP, ed altri rappresentanti delle autorità locali. La motivazione addotta dal governo turco è stata la necessità di garantire una presunta sicurezza legata all’arrivo dei migranti dalla Siria, senza però spiegare quello che la parola “sicurezza” significasse.
La reale motivazione di questo muro è invece la volontà di separare i kurdi turchi dai loro fratelli in territorio siriano. Questo muro separa parenti, amici, persone che hanno la stessa cultura e parlano lo stesso dialetto; anche io e mia sorella ci siamo ritrovate a vivere una da una parte e una dall’altra. Tutti noi viviamo a pochi metri di distanza dai nostri amici e parenti ma siamo divisi: a volte riusciamo a parlarci ma non a vederci.
Nel tentativo di raggiungere l’altra parte molte persone sono morte o rimaste gravemente ferite, colpite dalle pallottole delle guardie o nello scoppio delle mine.
Nella parte siriana, difesa dalle milizie curde autorganizzate, mancano la corrente elettrica e molti beni di prima necessità ma, nonostante questo, gli aiuti umanitari provenienti da Nusaybin non vengono quasi mai fatti passare.
Al Qamishli fa parte della cosiddetta Rojava, regione a maggioranza kurda autoproclamatasi autonoma dopo lo scoppio del conflitto in Siria.
Contro quali nemici si trovano a combatere i curdi a Rojava? In che modo il muro favorisce i jihadisti e le truppe di Assad?
I kurdi combattono al fianco di arabi, armeni e assiri per difendere la popolazione locale e la giovane esperienza di autogoverno. Dall’altra parte ci sono i jihaidisti (Isis e Al Nusra), le truppe di Assad ma anche l’esercito turco che non vede di buon occhio la possibilità che i kurdi di Siria possano avere un loro territorio governato autonomamente. Il muro ha quindi anche la funzione di impedire ai kurdi turchi di aiutare i loro fratelli a Rojava consentendo alle milizie islamiche di tenerla sotto continuo assedio.
Ci sono kurdi che dallo scoppio della guerra siriana sono venuti in Turchia?
Da Rojava, il Kurdistan siriano, solo pochi kurdi hanno lasciato le loro case e quelli che sono venuti qui a Nusaybin erano persone rimaste sole o particolarmente vulnerabili come anziani e donne con bambini. La maggior parte di chi è venuto qui dalla Siria non è kurdo ma arabo.
Prima della guerra gli spostamenti tra i due paesi erano principalmente legati al commercio di caffè, tè e altre merci mentre dall’inizio della guerra circa 50 famiglie sono arrivate qui per fuggire dal conflitto. Ad esempio una famiglia kurda è venuta qui a Nusaybin dopo essere stata nel campo profughi costruito qui. Le condizioni di vita all’interno del campo erano per loro molto difficili (dievano “meglio piuttosto vivere per strada”) e hanno quindi chiesto di andare via dal campo. La nostra municipalità ha offerto loro alloggio e anche un lavoro.
Può parlarci dei siriani arrivati qui dall’inizio della guerra civile e dei campi profughi allestiti dal governo turco?
All’inizio del conflitto ne venivano molti ma dalla chiusura del confine quasi tutti i siriani arrivano in Turchia passando da Aleppo e usano il gate di Mardin e Hatan vicino Gaziantep.
I siriani arabi che sono qui a Nusaybin si trovano all’interno del campo profughi allestito dal governo turco appena fuori la città e sono in totale 3000.
Riguardo le condizioni di questi campi noi due sindaci, che siamo stati appena eletti, abbiamo fatto richiesta per poter entrare nel campo perchè ci vuole un’autorizzazione. Intanto abbiamo raccolto alcune informazioni sulla situazione all’interno dei campi. Da alcune fonti non ufficiali sappiamo che c’è un capo responsabile per ogni gruppo che è composto da 2 o 3 famiglie le quali condividono una cucina. Il numero dei bagni non è sufficiente e in generale le condizioni sembrano essere molto difficili visto che abbiamo saputo di alcuni tentativi di suicidio da parte di alcuni siriani. Inoltre all’interno dei campi si verificano diversi episodi di discriminazione tra i vari gruppi che sfociano a volte anche in scontri violenti.
Sulla questione dei campi non possiamo comunque dire molto visto che riceviamo pressioni e avvertimenti da parte del governo turco che non vuole che si parli di questo argomento.
Il nostro incontro con il sindaco termina con la sua volontà di sottoscrivere la Carta di Lampedusa i cui principi vengono quotidianamente affermati e messi in atto nella lotta del popolo kurdo per la libertà di movimento e contro i confini e la militarizzazione.
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