La sveglia stamattina a Meheser è suonata alle sette.Abbiamo dormito in una stanza in 9. La colazione è un momento fondamentale della vita al campo:pane, formaggio, olive piccanti e cay vengono serviti gratuitamente ad un banchetto, mentre intorno si ripete spesso la scena di donne anziane in vestiti tradizionali che ascoltano da una radio che legge ancora audio-cassette le notizie della giornata.
Noi abbiamo consumato la nostra colazione su uno dei tetti delle case, dove si appostano decine e decine di compagni ad osservare e controllare quello che accade.
Kobane è lì, a poche decine di metri e da lontano si intuiscono solo i rumori di quelli che potrebbero essere i colpi dei mortai.La gente del posto è in grado di riconoscere chi è che spara, se l’Isis o le forze di protezione del popolo.
E quando sono queste ultime a sparare dei sorrisi silenziosi, ma convinti, si diffondono nell’aria.Col sole caldo, ma non caldissimo, del mattino,saliamo in macchina per Suruc.Oggi ci tocca una giornata di lavoro: all’interno della Warehouse, il centro di smistamento dei prodotti alimentari, di igiene e di vestiario, ci sono centinaia di volontari.
Decine e decine di camion caricano e scaricano di tutto. Alle 12.30 ci si ferma per la pausa pranzo: pane, brodo di pollo e riso sono le pietanze servite.
Naturalmente l’onnipresente cay ci disseta e ci riscalda. Nella pausa pranzo molti dei volontari si rendono conto che non siamo curdi, ma italiani,e allora cominciano a stringerci le mani e a ringraziarci per quello che facciamo per loro.
Finita la pausa si riprende il lavoro; ad un certo punto ci fanno salire su un camion pieno di sapone che dobbiamo andare a scaricare in un altro deposito.
Questo deposito è una delle tante sale che vengono usate normalmente per i matrimoni e perle altre festività collettive; ci raccontano che da quando è cominciato l’assedio a Kobane tutte le feste sono state interrotte. Nessuno si sposa, non c’è niente da festeggiare.
Tutti gli occhi e tutti i cuori sono a Kobane, insieme ai guerriglieri e alle guerrigliere dell’Ypg edell’Ypj.
Verso le 16 ritorniamo al campo profughi prima che faccia buio (h17) ed intervistiamo una famiglia di Kobane che ci racconta cosa è successo li, nelle loro case di sempre che ora sono state distrutte per la maggiore dei casi.
Nei loro occhi si legge sia la disperazione di aver perso una parte molto grossa delle loro vite e a volte aver perso dei cari, sia la fierezza di appartenere ad un popolo che non china la testa e combatte.Combatte non per un’idea di stato, ma perla libertà di tutti.Tornati alla Warehouse ci informano che è in corso un evento a Mehser, così saliamo in 8 in una station-wagon anni’80 che ha come copri sedili delle finte pelli di mucca e partiamo.
Dieci minuti e siamo arrivati. Al villaggio troviamo nel piazzale davanti la moschea una decina di fuochi con intorno centinaia di persone che cantano e ballano.Ci dicono, che nell’anniversario dei 50 giorni di resistenza di Kobane, più di 50 tra artisti, musicisti e cantanti, sono venuti a portare solidarietà da ogni angolo del Kurdistan e della Turchia.
Questo è il primo festeggiamento che avviene dopo più di un mese e mezzo.
L’atmosfera è contagiosa e così anche noi muoviamo dei passi impacciati con loro, mentre in sottofondo e di rado rumori di artiglieria ci fanno stare tutti con il fiato sospeso.
In questa serata di fuochi, troviamo il tempo perc onoscere e confrontarci con compagni venuti da Istanbul, e tutti insieme provare ad immaginare un mondo migliore.
Avanti!