Kurdistan

Impressioni da Kobanê (parte 1): Il viaggio fino all‘arrivo

Gulan Gernas, giornalista da Kobanê, 24.11.2014

In un certo senso se ripenso al mio viaggio si è trattato di un‘odissea. Ci sono volute molta forza e pazienza per arrivare a Kobanê. Prima, dopo molti anni, ho rivisto Amed. Molto è cambiato. Il profumo della lotta di liberazione curda che si riflette nelle mura della città ormai brilla con un altro splendore. I numerosi controlli militari sulla strada per Pirsûs, che confina direttamente con Kobanê ricordano i metodi brutali dello stato turco negli anni ’90. La rabbia dell’autista che mi accompagna gli si legge negli occhi. Racconta che nelle ultime settimane più di 40 persone sono state uccise solo nelle manifestazioni. Manifestazioni di protesta contro il sostegno del governo turco alla banda terroristica che si definisce Stato Islamico.

Profugo nella propria terra

Cemal è il nome dell‘autista. Racconta che è originario di Lice. A 8 anni ha dovuto vedere soldati circondare e dare alle fiamme il suo villaggio. Sotto la pioggia di pallottole, racconta ancora Cemal, non ha perso solo suo padre e suo nonno, ma anche la sua sorellina che all’epoca aveva solo un anno. Una pallottola l’ha colpita alla testa mentre la teneva in braccio. Capisce bene la situazione dei profughi, perché in effetti anche lui da bambino è stato „profugo nella propria terra“ come dice lui e aggiunge, „anche Kobanê è parte del Kurdistan”. Per questo persone fuggono attraverso il confine di uno stato, ma si muovono ancora nello stesso paese. Il sostegno di Cemal, come quello di molte altre persone che fanno tutto quello che è in loro potere per aiutare i profughi, è enorme.

Persone si sono recate a Kobanê per aiutare i profughi da ogni luogo. La solidarietà delle persone è immensa. Dato che mancano campi profughi, una grossa parte dei profughi viene accolta presso le famiglie. Ma una collaboratrice dell’amministrazione comunale mi racconta che le forze della popolazione sono in larga parte esaurite e che è impossibile continuare a dare aiuti di questa misura. A domanda sulle donazioni di denaro dall’estero mi viene spiegato che la maggior parte qui non arriva. Il governo turco dell’AKP confisca le donazioni, ma non le fa pervenire alle persone bisognose di aiuti. Almeno non a quelle di Kobanê, e nemmeno ai numerosi profughi yezidi, come mi riferiscono le persone sul posto.

Situazione umanitaria molto precaria

La situazione dei profughi è molto precaria. Soprattutto in vista dell’imminente inverno. Le tende nelle quali è sistemata la maggioranza dei profughi sono una protezione più provvisoria che vera, in particolare per quanto riguarda il freddo. La vista delle persone, soprattutto dei tanti bambini piccoli, tocca nel profondo. Come ad esempio Hêvîn, che ha tre anni al massimo. Va in giro scalza come molti altri bambini, con un vestitino estivo. Già adesso è difficile immaginare come i bambini possano sopportare le condizioni del tempo. Al prossimo inverno neanche a pensarci. Assistenti raccontano ancora che il numero dei sostenitori, soprattutto di quelli arrivati da fuori, è rapidamente diminuito. In questo contesto viene citata la cronaca mediatica, che certamente mantiene attualità, ma ha perso forza di impatto.

Questo l’ho notato anche nel mio ambiente precedente. Persone che nei primi giorni della protesta mettevano tutto il tempo e l’energia che avevano nelle azioni di protesta e nel lavoro di solidarietà, non sembrano più toccate se sentono parlare di Kobanê o anche di Şengal. Li tocca di meno. Di nuovo si sente la vecchia canzone. Di nuovo i commenti e i “like” su facebook sembrano più importanti delle vite umane. Ancora una volta viene prestata più attenzione alla pubblicità delle scarpe nuove che a un bambino che soffre. Questo quadro significativo in cui si riflette la tragedia dell’umanità mi deprime. Ma l’eroica resistenza delle donne e degli uomini di Kobanê contro i barbari di IS fa in modo che io non perda il coraggio. Da oltre 60 giorni viene condotta un’instancabile resistenza contro questa milizia terroristica che disprezza il genere umano

Spezzato il mito di IS, Kobanê non è caduta

Quando il gruppo terroristico del cosiddetto Stato Islamico il 15 settembre ha iniziato ad attaccare Kobanê tutti gli esperti a livello mondiale erano sicuri che Kobanê sarebbe caduta nel giro di pochi giorni. Contro le milizie di IS equipaggiate con armi pesanti e ultramoderne le Unità di Difesa delle Donne (YPJ) e le Unità di Difesa del Popolo (YPG) curde non avevano neanche una possibilità minima. Non solo i pronostici e le aspettative di questi cosiddetti esperti, primo tra tutti il presidente turco Erdogan che profetizzava quasi quotidianamente la caduta di Kobanê, sono andati a vuoto, allo stesso tempo anche il mito che si era sviluppato intorno a IS è stato spezzato. Quest’ultimo fino ad allora infatti veniva considerato una forza inarrestabile.

Senza aver mai visto Kobanê, sono sicura che questo ha a che fare con il cuore e la passione della gente di Kobanê. Le conquiste, compreso il grado di libertà della rivoluzione del 19 luglio 2012, quando la popolazione di Kobanê è riuscita a liberarsi dal regime siriano, erano, o meglio sono di nuovo minacciate. La popolazione ha dato a vedere fin dall’inizio la determinazione nel voler difendere Kobanê fino alla fine se necessario. In questo momento mi viene in mente una frase di Salih Muslim. Preso da fortissima emozione in un discorso durante una manifestazione di solidarietà a Düsseldorf disse che Kobanê non cadrà fino a quando ci saranno persone come Arîn Mîrkan. Arîn Mîrkan si era fatta esplodere e con questo aveva portato con sé nella morte molti terroristi di IS. È diventata una vera forza simbolo della resistenza di Kobanê.

Vita nella dignità

Ora sto andando verso il confine. Insieme a me molte famiglie di Kobanê che vogliono tornare si sono riunite al confine. Una donna anziana mi racconta che a Kobanê sono minacciati da IS, ma almeno possono contare sulla protezione delle YPJ e YPG. In Turchia, racconta, sono esposti agli attacchi arbitrari dei soldati turchi. Racconta che la sua famiglia e molti altri sono stati portati nelle scuole dove sono stati esposti a dure repressioni. „Il loro obiettivo era indurci al ritorno. Ora ce l’hanno fatta. Preferiamo vivere a Kobanê, ma in compenso in modo degno di esseri umani.“, queste le sue parole.

Le angherie da parte delle stato turco probabilmente li accompagneranno fino a Kobanê. Perché anche al valico di confine tutte e tutti vengono di nuovo sottoposti a una perquisizione corporale. Vengono registrati i dati delle persone che vogliono tornare nella loro città. Di ognuno e ognuna viene fatta una foto. Anche a me ne fanno una. Dato che né a giornalisti né a altre persone che vogliono prestare aiuto viene consentito l’accesso a Kobanê, sono camuffata da profuga. Devo assistere al fatto che la persona davanti a me viene portata via dai militari. I soldati turchi scelgono soprattutto giovani uomini, ma anche molte donne, e li sottopongono a interrogatori per presunta appartenenza alle YPG o YPJ. Il sostegno per IS da parte dello stato turco diventa evidente ancora una volta.

Arrivata a Kobanê emozioni di gioia e sollievo incontrano malinconia e sofferenza. Terribile questa visione di devastazione. In molte parti della città sono rimaste solo polvere e cenere. Si diffonde un odore nauseante. Ovunque sono sparsi cadaveri dei terroristi di IS. Vanno in putrefazione e creano un grande pericolo di epidemie. Il viso della madre che accompagno si copre di lacrime. Anche la sua casa è stata ridotta in macerie. Intanto il cielo si copre di fumo. Gli scontri tra le unità delle YPG e YPJ e IS continuano. Arrivata nel centro della città vedo un muro ornato da una scritta toccante; „Em bernadin vê dîlanê.“ – Non abbandoniamo questa ridda di danze…

(segue).

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