Kurdistan

Dalla Sicilia a Kobane. Tre attivisti in sostegno della resistenza curda

Dalla Sicilia a Kobane. Una scelta coraggiosa quella di tre attivisti dei Movimenti Siciliani, partiti in sostegno della lotta del popolo curdo contro le milizie nere del Califfato. Due giovani donne e un uomo sono entrati a far parte della staffetta italiana inaugurata già da diversi movimenti in tutta Italia, coordinati dalla Rete Kurda in Italia (UIKI). Al momento, i tre sono tra i pochi italiani attivi nel Rojava.

Dalla Sicilia a Kobane. Una scelta coraggiosa quella di tre attivisti dei Movimenti Siciliani, partiti in sostegno della lotta del popolo curdo contro le milizie nere del Califfato. Due giovani donne e un uomo sono entrati a far parte della staffetta italiana inaugurata già da diversi movimenti in tutta Italia, coordinati dalla Rete Kurda in Italia (UIKI). Al momento, i tre sono tra i pochi italiani attivi nel Rojava.

Hanno lasciato l’Italia a inizio anno e il 9 gennaio sono giunti alla città Kurda di Suruc, dove si trova un centro in cui vengono ospitati i volontari stranieri. Da qui, hanno cominciato a prestare soccorso nell’assistenza dei rifugiati provenienti dal Rojava, in fuga dalla ferocia delle truppe dell’ISIS. Hanno assistito, inoltre, ai festeggiamenti per la liberazione di Kobane.

I report inviati parlano di stenti e di speranza, di giovani vite spezzate, del terrore dell’Isis e dei problemi con l’esercito turco. Ci raccontano i retroscena quotidiani di una rivoluzione che tutti abbiamo visto incarnata nelle immagini delle giovani combattenti curde che, con un fucile e un sorriso, sfidano gli uomini del Califfato. Questi i loro racconti:

Vicino Kobane (30 gennaio): La battaglıa contınua suı terrıtorı ıntorno e non solo. Per ıl terrıtorıo urbano l’ınsıdıa maggıore è rappresentata dal governo turco, che con ıl dıspıegamento dei suoı mılıtarı (e annessa artıglıerıa) contınua ad essere una mınaccıa letale per chıunque tentı dı attraversare lıberamente – ovvero non scortato dalle forze armate dello stesso governo turco – ıl confıne turco-sırıano.

Daı raccontı deglı abıtantı dı questo terrıtorıo scoprıamo che ora che l’Isıs ha abbandonato, fuggendo, il centro urbano, le forze turche provano a dare man forte all’esercito islamico fornendo contıngentı mılıtarı sotto forma dı mılızıe e armi. Cı rısulta che ı terrıtorı che cırcondano Kobane, a est e ovest, neı vıllaggı denomınatı rıspettıvamente Gıre Spıe e Gırbles, siano ancora in mano alle truppe dell’Isıs, possono tutt’ora scorgersi, infatti, le lugubrı bandıere nere deı Daesh (nome kurdo che indica i combattenti dell’Isis).

Su un totale dı 189 vıllaggı curdı, attualmente, 15 sono lıberatı dalle forze YPJ e YPG. La presenza dı Isıs, viceversa, sı spalma lungo le rıve dell’Eufrate per poı dıspıegarsı ın Rojava, partıcolarmente neı terrıtorı ıntorno a Kobane, ma anche sulle terre dove sı sono costıtuıtı, a est e a ovest, glı altrı due cantonı dı Afrın e Cızıre. Kobane si trova per in una posizione strategica e per conquistarla pare che l’esercito islamico stıa reclutando anche alcune donne; esaurıte le mılızıe adulte, inoltre, adesso arruolano e mandano a morıre ı bambını”.

A Kobane (Dal 7 al 9 febbraio): “Siamo entrati da 3 giorni nel cantone di Kobane ancora assediato da sud est e ovest dai Daesh (nome kurdo che indica gli arruolati delle truppe Isis). La città l’abbiamo conosciuta prima per l’asfissiante odore di gasolio dei generatori, essenziali per la corrente elettrica, e al mattino per le macerie, le macchie di sangue dei corpi e il nauseabondo odore dei cadaveri in decomposizione sparsi un po’ ovunque sotto le macerie. Fra poco arriverà la stagione calda e sarà un problema per le infezioni.

La parte ovest della città si sta piano piano ripopolando e si vedono bambini che giocano per le strade e il clima sembra suggerire finalmente un po’ di quiete; cosa impensabile fino a qualche settimana fa. Le case, abbandonate in fretta con l’inizio della guerra, sono ora usate come basi per i vari gruppi guerriglieri, per i giornalisti, come depositi e per altre funzioni logistiche. Spesso manca l’acqua che è assente totalmente in alcune zone della città. La grande riserva ad occidente è ancora nelle mani dell’Isis.

Tra i tantissimi edifici distrutti si possono contare anche 5 ospedali. La scuola si svolge in uno scantinato buio e umido con un paio di stanze molto piccole. Camminando per le strade si incontrano molte testate di bomba inesplose. La presenza di pericoli di questo tipo impedisce tranquilli movimenti per la città. Particolarmente nella parte est. Quest’ultima e’ totalmente distrutta (a differenza della parte ovest parzialmente risparmiata agli attacchi): case sventrate; macerie dappertutto, crateri provocati dalle bombe e puzza di cadavere. Sui pochi muri rimasti intatti è possibile leggere ancora le scritte che rispecchiano il confronto-scontro tra combattenti curdi e Isis.

Dalla collina di Mishtenur è possibile osservare dall’alto la devastazione, a fianco ai carri armati e ai loro scheletri (principalmente carri armati di fabbricazione russa, forniti da Assad, nelle mani dei Daesh) – sono stati impegnati circa 70 tanks, 40 carri bomba e visibili sono ancora i resti di circa 100 corpi di militanti Isis autoesplosi. È ancora possibile vedere le postazioni da cui si sono scontrati YPJ e YPG contro i Daesh, i fronti di battaglia – talvolta incredibilmente ravvicinati -, le barricate. Le unità di difesa sono ora impegnate alla distanza di circa 7 km dal centro. L’avanzata YPJ e YPG procede in tutte le direzioni ed è già a circa 30 km dal cuore della città, dentro i villaggi.

La frontiera con la Turchia, dopo la liberazione della città, e’ ancora più militarizzata e chiusa. Il governo turco ha chiaramente dichiarato che non ha nessuna intenzione di riconoscere l’esperienza politica dei cantoni autonomi del Rojava. Allo stesso tempo la conferenza internazionale contro Isis che si e’ svolta a Londra ha visto presenti paesi come il Qatar, l’Arabia Saudita, la Turchia (paesi che più o meno apertamente supportano l’ espansione dello Stato Islamico) e l’esclusione inaccettabile della comunità curda- unica reale e concreta resistenza.

E’ chiaro come tanto le potenze occidentali quanto i paesi islamici vogliano distruggere l`esperienza del Rojava. I Peshmerga hanno in dotazione delle armi speciali in grado di perforare un tank a lunghissima distanza. Alla domanda posta da un giornalista francese al generale dei Peshmerga sul perché non abbiano portato a Kobane queste armi non c’e’ stata risposta: la volontà politica da parte della NATO è quella di espandere e prolungare il più possibile questa guerra, facendo credere che la loro azione sia a favore della democrazia”.

di Eleonora Corace
venerdì 13 febbraio 2015

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