Come compagni e compagne della Carovana Torino-Rojava ci siamo uniti alla numerosa delegazione partita dall’Italia per partecipare ai festeggiamenti del Newroz nel Nord del Kurdistan.
Approfondire la questione curda, confrontarsi sulle pratiche rivoluzionarie del confederalismo democratico, discutere di autogoverno e autonomia e preparare i prossimi passi verso il mese di Maggio quando da Torino partiremo per portare solidarietà attiva a concreta alle popolazioni del Rojava in lotta.
In città, a pochi giorni dal 21 Marzo quando in città si riuniranno milioni di persone in arrivo dai quattro angoli del Kurdistan, si respira l’aria delle grandi occasioni. Un appuntamento da sempre carico di significato, ma che quest’anno assume una portata di fondamentale importanza per l’intera popolazione che ha sostenuto, sofferto e esultato per la liberazione di Kobane dai fascisti dell’ISIS e che continua a vedere minacciata la propria esistenza.
La presa di coscienza della propria identità di donna e la capacità di autodeterminarsi è il risultato di un percorso avviato negli anni Settanta e portato avanti sino ad oggi, nonostante le resistenze di una società fortemente patriarcale e maschilista.
Concetti ribaditi anche nell’incontro successivo con i/le giovan* del BDP (Partito della pace e della democrazia) che hanno raccontato di quanto il ruolo dei più giovani rimanga fondamentale nel processo rivoluzionario di liberazione del popolo curdo.
“Per questo, abbiamo deciso di proteggere la nostra terra, l’acqua e le risorse, producendo senza sfruttare il territorio. Ciò che produciamo qui, in termini economici e non, vogliamo che rimanga a disposizione della comunità e non venga utilizzato da un sistema economico che produce più di quanto serve divorando tutto e distruggendo la natura. Per questo crediamo che l’autoproduzione possa e debba essere la strada da percorrere per i giovani curdi e non solo; cooperative di giovani per autoprodurre in modo collettivo in tutti i settori dell’economia. Un valido compromesso per tenere insieme l’equilibrio ecologico con la necessità di un occupazione che consenta di vivere sul proprio territorio senza essere costretti ad andare dall’altra parte del mondo per cercare lavoro.”
Hafise ricorda i principi alla base del confederalismo democratico e ci aggiorna sugli ultimi sviluppi del processo di pace. “Le parole non bastano”, dice, “se lo stato turco non metterà in pratica le indicazioni date da Abdullah Öcalan dal carcere, si romperà il dialogo. In tutti i quartieri delle città e in tutti i villaggi si costituirà una brigata popolare e combatteremo fino alla fine”. Il governo turco si era impegnato ad avviare alcuni cambiamenti a partire dal 15 febbraio nell’ottica di una distensione. Invece, provocatoriamente, a fine febbraio Erdogan ha presentato un disegno di legge nel quale si vieta di indossare gli abiti tradizionali curdi e si permette alle forze di polizia di aprire il fuoco contro i manifestanti. “Vogliono la guerra, mentre noi spingiamo per la pace” conclude la co-presidente del BDP.
Le prossime elezioni saranno un momento importante, la speranza è che l’HDP (Partito democratico dei popoli) superi la soglia di sbarramento del 10% e riesca così ad ottenere la rappresentanza nel parlamento turco.
Il richiamo all’internazionalismo, all’importanza della solidarietà tra i popoli e alla diffusione di dati e informazioni sulla condizione della popolazione curda restano fondamentali. Amed si trova a 240 km circa dal confine, ma per noi Kobane, il Rojava e le pratiche dell’autogoverno non sono mai state così vicine. I racconti, le assemblee e gli sguardi delle compagne e dei compagni curdi ci consegnano la grande determinazione di un popolo che continua a lottare per la propria libertà e che vuole divenire simbolo di un modello di autodeterminazione, convivenza e condivisione per tutti coloro che credono nella libertà e nell’autonomia come valori universali da difendere, anche a costo della vita.