1) Oggi, 22 Marzo, a conclusione di questo Newroz memorabile grazie alla vittoria della Resistenza di Kobanê, la nostra delegazione, insieme alle altre giunte dall’Italia, è arrivata nella città di Suruc, che si trova ad un tiro di schioppo, è il caso di dirlo, dalla frontiera tra la Turchia e la Siria.
In tutto eravamo 60 persone, provenienti da diverse regioni italiane e facenti parte di varie associazioni ed organizzazioni sindacali, che da anni
sostengono la causa del Kurdistan.
2) Nella sede del Municipio, siamo stati ricevuti da Mustafa Dogal, responsabile della Commissione della Diplomazia del Partito DTK (Demokratik Toplum Kongresi; Il Congresso della Società Democratica) di Diyarbakir, che ci ha delineato il seguente quadro dela situazione.
Dalla liberazione di Kobanê si calcola che sono circa 50.000 le persone, che sono rientrate nel cantone, in particolare nei villaggi vicini, liberati con l’offensiva di Gennaio.
La città resta, comunque, per gran parte inabitabile.
In particolare, la parte occidentale è ridotta in macerie, con ancora moltissimi corpi di combattenti ISIS insepolti ed ordigni esplosivi non disinnescati.
Il numero dei rifugiati nei campi, comunque, è enorme, provenendo anche da altre zone del cantone, ove sono ancora in corso i combattimenti .
Complesso rimane anche il passaggio di aiuti dalla Turchia verso Kobanê; infatti, sia quelli che provengono direttamente dalla solidarietà internazionale, sia quelli che derivano dagli impegni delle municipalità vengono, spesso, ostacolati dal Governo turco.
Il lavoro principale della Municipalità di Suruc è ora quello di accompagnare il rientro delle persone a Kobanê e sostenere il processo di ricostruzione.
In pratica, l’organizzazione delle famiglie, che vogliono rientrare a Kobanê, viene gestita attraverso i responsabili dei campi, che, una volta creati i gruppi, li fanno partire 3 volte alla settimana con dei bus messi a disposizione dalla Municipalità.
Il diplomatico ha tenuto a precisare che gli sfollati dal Rojava dal punto di vista politico dell’HDP non sono da considerarsi dei “rifugiati”, bensì persone unite da legami familiari in territorio turco.
Quindi, la Municipalità le accoglierà anche se decidessero di restare a Suruc.
3) L’incontro ha toccato anche temi più generali sollecitato dalle domande della delegazione.
Il diplomatico ha sottolineato la necessità di rompere l’embargo, che Siria, Turchia, Iran ed Iraq hanno attivato da 70 anni nei confronti del popolo kurdo, attraverso una pressione internazionale sulle Nazioi Unite.
Questo modificherebbe la politica turca sulla chiusura delle frontiere con il Rojava.
Sul processo di pace e sulle dichiarazioni di OCALAN, che sembrano aprire delle crepe nella relazione tra Erdogan e lo stesso Governo turco, sostiene che, pur trattandosi di un passaggio storico e fondamentale, non c’è da fidarsi, soprattutto visto che sono prossime le elezioni politiche e la fame di potere dei contendenti potrebbe trasformare l’opportunità di un passaggio storico in una mera dichiarazione elettorale.
Testuale:”Tutto questo è normale per Erdogan, è Erdogan che non è normale”.
Sul conflitto sostiene che l’intervento della coalizione è arrivato tardi e che le YPG-YP avrebbero bisogno di un armamento migliore, mentre riguardo al rapporto con i Peshmerga, giunti dall’Iraq, da buon diplomatico dice che il loro aiuto – per quanto piccolo in termini numerici – è stato un fondamentale passo verso la ricostruzione dell’unità dei Kurdi, frammentata dai confini e dalla politica degli Stati nazione negli anni passati.
4) La visita al “Campo profughi Kobanê- Rojava-Suphi Nejat Agirnasli” ci conferma che l’operazione rientro è già cominciata.
Molte tende sono state smontate; circa 1000 persone sono già partite.
5) La delegazione ha, poi, proseguito e, giungendo alla frontiera al villaggio Kucukkendirciler, è arrivata al punto da cui si vede distintamente Kobanê, la “Stalingrado del Medio Oriente”; superfluo e fors’anche retorico sarebbe soffermarsi sulle emozioni, che ogni partecipante ha provato.
I palazzi e gli edifici distrutti di Kobanê si vedono bene dal confine, dove i militari turchi ci permettono di fare solo qualche foto, ma non di passare.
Sullo sfondo vediamo sventolare la bandiera delle YPG, oltre un dosso … l’Autonomia Rojava è a poche centinaia di metri.
Siamo rimasti molto colpiti dalle automobili, dai furgoni e dagli automezzi di ogni tipo, che sono rimaste/i oltre il confine turco, abbandonate dai profughi di Kobanê in fuga verso la salvezza, quando erano inseguiti dalle bande di tagliagole dell’ISIS.
La Delegazione di Van e la delegazione di Diyarbakir