Iniziative

Intervista a Redur Xelil, portavoce delle YPG

La resistenza che le sue forze armate perpetrano da 4 anni in Siria. Questo il tema al centro dell’intervista a Redur Xelil, portavoce dei combattenti curdi di YPG e YPJ. Fino a prima della guerra contro l’Isis inesperto guerrigliero che in meno di 4 anni è riuscito a formare un esercito di 35mila persone, ricevendo il plauso per il suo impegno da ufficiali di diversi paesi.

Prima di iniziare a parlare di questioni interne e forze di coalizione, Redur mostra dal suo tablet la mappa digitale della regione siriana coinvolta dalla guerra, raccontando uno spaccato dell’attuale situazione delle forze YPG. I cerchi gialli segnano l’ultimo avamposto curdo, quelli rossi l’avanzata dell’ISIS, i cerchi rosa identificano le forze del regime Baath e quelli blu i territori controllati dai Turchi.

 La creazione dello YPG. Quali sono stati i primi passi per consacrare e fondare lo YPG?

Nei primi giorni della rivoluzione in Siria, la situazione nel Rojava(Kurdistan siriano) appariva pacifica. La maggior parte delle proteste venivano portate avanti sotto forma di movimenti civili, ma dopo qualche mese tutto cambiò. Nel nord della Siria, ossia la regione più sicura del paese, vari etnie e tribù formarono gruppi paramilitari. Combattevano uno contro l’altro per qualche indegno motivo religioso, tribale ed etnico. Fu un momento pericoloso ed è qui in Rojava che si sentì l’esigenza di un esercito unito con lo scopo di difendere il popolo. La prima cerchia (il primo gruppo), nata a Dayrik City sotto il comando di Xebat Derik, fu inizialmente chiamata YXG (Unità dei Giovani). Grazie a un “rationalplan” (piano esteso di comunicazione), i bracci armati si espansero gradatamente a tutte le città dei cantoni.

Quale fu la reazione delle forze di Assad?

I sostenitori di Assad erano molto turbati da ciò che stava succedendo nelle città siriane e si indebolirono sempre più. Essi sapevano che avrebbero dovuto abbandonare i territori dal nord, considerata l’ira del popolo curdo causata proprio dalla famiglia Assad in anni di oppressione ed emarginazione. Ci furono degli scontri tra le nostre forze e l’esercito del regime, ma alla fine riuscimmo a conquistare completamente il controllo delle regioni curde e della costa est. Non c’era l’interesse di Assad ad aprire un altro “fronte” con curdi già poveri e sofferenti. Approfittammo così della situazione e iniziammo a organizzare e preparare le forze armate in diverse città e villaggi. Gli attivisti politici curdi furono molto prolifici e collaborarono con noi nella creazione di un esercito consolidato  che difendesse gli abitanti dei cantoni autonomi (Cezire, Kobane e Afrin); un esercito che ha mostrato la sua potenza nei mesi passati a Kobane e in altre occasioni.

In tanti non conoscono la differenza tra YPG e YPJ. Come mai esistono due differenti gruppi militari in Rojava?

Lo YPJ è una organizzazione indipendente costituita da donne che lavorano parallelamente allo YPG, creato dai nostril uomini. A dire il vero le combattenti sono parte essenziale dello YPG nella lotta contro l’ISIS, entrambi si battono “mano nella mano”.

La direzione dello YPG è a un uomo e una donna come è tipico nella cultura curda?

 No, siamo una forza militare perciò la questione è un po’ diversa. Il modello della co-leadership è attuabile nelle organizzazioni civili e politiche, mentre nello YPG c’è un coordinamento misto, composto da uomini e donne.

Qual è il numero esatto dei membri dello YPG e dello YPJ?

 Lo YPG è attualmente costituito da 35mila membri. Più del 35% di questi sono soldatesse dello YPJ, che cresce di giorno in giorno.

Quanti di loro sono stati uccisi in battaglia?

 Dalla nascita dello YPG sono morti 2mila martiri combattenti, di cui 750 nella guerra di liberazione di Kobane.

L’organizzazione Asayish e le “forze di autodifesa” fanno parte dello YPG?

No, sono due organizzazioni separate che si occupano di problematiche interne ai centri abitati e nei casi riguardanti la sicurezza.

Cosa si può dire del ‘Comitato di Autodifesa’ nelle comunità?

Anche loro sono connessi alle “comunità” e all’Asayish, non a noi.

La situazione del Fronte di Guerra e la composizione militare delle forze dello YPG. Può descrivere in un quadro generale l’attuale situazione dello YPG e dello YPJ nei tre cantoni?

 Attualmente non ci sono conflitti nel cantone di Afrin e la situazione sembra pacifica. Il cantone di Kobane è stato invece a lungo il campo di battaglia contro l’ISIS ma siamo comunque riusciti a farli retrocedere dall’area curda alle zone da loro occupate prima che attaccassero il cantone. Negli ultimi giorni la guerra si è spostata nelle zone sotto controllo dei miliziani dell’ISIS, nel auto-proclamato governo di Al-Raqqah. Nel cantone di Kobane e nelle periferie di Tel Tamer e Serikani.

Quali nemici circondano i vari cantoni?

Nel cantone di Afrin è presente Jabat al-Nursa (Fronte al-Nusra), Ahrarash-Sham e l’Esercito Libero Siriano, oltre al regime Baath. A Kobane e Jazire siamo circondati dall’ISIS mentre a Qamishli e Hasakah ci sono le forze del regime.

A quanti chilometri distano i checkpoint dello YPG e dello YPJ più vicini a queste forze armate?

 Meno di 70 chilometri.

E’ tra I vostri obiettivi connettere i cantoni tra di loro?

 È un argomento complicato. Siamo propensi a far sì che ciò accada ma ci sono di mezzo alcune realtà storiche: la maggior parte dei residenti di queste regioni sono Arabi spinti nelle regioni curde negli anni ‘60 e ’80, allo scopo di modificare la composizione demografica di  queste aree.

Queste persone combattono con la stessa strategia di resistenza dello YPG o sotto altri mandati? Esiste nell’area Assira un’altra forza chiamata “Sutoro”, composta da giovani siriani che combattono sotto il controllo dello YPG. C’è quindi anche un gruppo di arabi?

 Nel caso degli Arabi le cose sono differenti. Ad esempio a Kobane ci sono varie milizie arabe che combattono fianco a fianco con lo YPG. In più, oltre all’Esercito Libero e Jahbat al-Akrad, il Jahbat Thowar Suriyya (Fronte Rivoluzionario Siriano) e Kata’eb Shamsash-Shamal (il Battaglione del Sole del Nord) combattono con noi e sono entrambi arabi.

L’area in cui vive non è omogenea dal punto di vista demografico, come si rapportano a voi gli arabi?

 Il Rojava è un’area geografica definita ma che non appartiene solo a noi. Ci sono stati 50 anni di pressioni degli Assad volte ad “arabizzare” questa regione e l’applicazione di queste politiche  di “contaminazione” ha nuociuto all’eterogeneità.

Ciò nonostante al momento sono presenti molte etnie nella nostra regione: curdi, assiri, siriani, arabi e caucasici. Le guerre etniche o razziali non portano nessun vantaggio né a noi né agli arabi. Dovremmo invece guardare a questa pluralità come un’opportunità, non una minaccia. La solidarietà tra noi renderà possible in future una fiducia reciproca. Vogliamo trattare la questione con saggezza e razionalità e – nostante ci porti via tanto tempo – cerchiamo di motivare gli scettici di questa grande forza data dalla presenza di tante etnie.  Non abbiamo nessun problema con i nostri fratelli arabi, e in tanti giovani stanno combattendo al nostro fianco contro l’ISIS, venvendo uccisi nelle battaglie.

Cosa pensano di voi gli arabi che vivono in quest’area?

Purtroppo gli Arabi non hanno ancora una solida struttura in quest’area, quindi è difficile creare un dialogo con loro. La maggior parte risponde ai comandi dei capi tribali e solitamente segue il potere più forte del momento.

Anche quando questo potere è l’ISIS?

 Purtroppo sì! Inizialmente in tanti erano con Jahbat al-Nusra; prima ancora stavano con il regime, e ora collaborano con l’ISIS. Noi abbiamo applicato una politica diversa che si impegna a eliminare le “debolezze” etniche. Possiamo vivere insieme pacificamente come fratelli  e siamo riusciti a guadagnare la loro fiducia alla luce del sole. Dopo l’arrivo delle forze dello YPG a Tal Hamis e Tal Brak, che erano principalmente città a residenza araba, è tornata la pace e non ci sono più pericoli  derivati dalla presenza di ISIS, Jahbat al-Nusra o dal regime. Le forze locali hannno guadagnato quindi il controllo delle proprie città a spese di tante persone che sono state uccise per liberare queste aree.

 Durante il vecchio regime molti autoctoni sostenevano che ci saremmo stati costretti ad andare via dalle terre arabe e che ci avrebbero resi schiavi. Dal loro punto di vista, e difficilmente hanno cambiato opinione, noi non apparteniamo a queste terre ma stavano solo applicando le politiche del regime. Coloro che alla fine hanno liberato gli arabi dal giogo dell’ISIS, sono stati proprio i curdi che gli arabi avrebbero volute schiavizzare. Hanno vissuto per alcuni anni  sotto le regole ferree e inumane di Jahbat al-Nusra e ISIS. Oggi, molte cose sono cambiate. Nei cantoni arabi le problematiche etniche si sono ridotte e gli arabi si stanno -con sempre più entusiasmo- avvicinando allo YPG. Siamo ottimisti sulla possibilità che arabi, assiri e cecni possano vivere insieme in un ambiente fraterno.

La cooperazione e la partecipazione è limitata alle sole forze militari?

No, in tanti sono attivi a livello politico: dagli uffici locali alla leadership dei cantoni, oltre agli ambiti legali. L’ISIS si sta indebolendo e il regime ha mostrato la sua vera natura; resta nell’interesse degli arabi vivere pacificamente con le altre etnie della regione che comprendono curdi, assiri, armeni e ceceni.

E riguardo gli assiri? Alcuni loro hanno raccontanto le “piacevoli giornate che hanno trascorso sotto il privilegio del regime”.

È vero. Al regime importava di loro in maniera particolare. Quando noi non avevamo neanche la carta d’identità, gli assiri avevano accesso a scuole private e posizioni-chiave nelle città. Ma non dimentichiamoci che il regime ha smesso ora di dare il proprio support a chi creda ne sia degno. Adesso è lo YPG a proteggere gli assiri dagli attacchi dell’ISIS a Tal Tamir e in altre parti e sono totalmente consapevoli del fatto che se non fosse stato per lo YPG, non avrebbero resistito contro l’ISIS un solo giorno.

Se un giorno essi non volessero più la presenza dello YPG in assiria o nelle aree arabe, quale sarebbe la vostra reazione?

 La questione importante è che in queste aree, oltre ad assiri e arabi ci sono anche curdi, diversamente da Hasaka che è composta solo da assiri e arabi. C’è un luogo chiamato Rojava curdo, e noi proteggiamo curdi e non curdi che vivono in questa realtà.

Quali sono i confini del Rojava? C’è una mappa che definisce i territori entro i quali continuerete a combattere contro l’ISIS fino alla liberazione di questa cosiddetta area?

 Non c’è nessuna chiara e definita mappa geografica. Disegnarla in futuro è un compito delle forze politiche del cantone.

Quanto lontano vi spingerete come YPG?

 Abbiamo una strategia definita, continueremo a combattere fino a quando il pericolo ISIS sarà superato.

Qual è la distanza tra le vostre forze e la città di Tell Abyad, a est del cantone di Kobane?

Siamo a 20 chilometri dalla città.

Perchè questa città è importante?

Questa città è importante per differenti aspetti sia per noi che per l’ISIS: innanzitutto Tell Abyad è vicina alla Turchia e in secondo luogo è un corridoio strategico per i trasporti e la logistica, oltre che per l’arrivo di nuove forze. Se l’ISIS perdesse il controllo della città, non perderebbe solo un importante passaggio ma si troverebbe circondato dalle nostre forze. Bisogna inoltre considerare che tra Kobane e Jazira ci sono abitanti di etnia curda. Buona parte di coloro che si trovavano a Tell Abyad dovettero lasciare case e campi dopo l’arrivo di Jahbat al-Nusra e Isis. Questi ne approfittarono e confiscarono i loro averi. Nessun curdo è rimasto nella città permettendo agli islamisti di acellerare con le politiche di “arabizzazione”.

 di Roberto Mulas

 

 

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