Alle nove si parte per il Campo profughi di Makhmour aperto nel 1997 da profughi provenienti dal Kurdistan turco, già ricoverati in altri campi da tre anni e poi costretti da Saddam a venire qui a Makhmour luogo caldissimo, in pieno deserto, popolato da serpenti e scorpioni.
Il campo è amministrato da un Comitato di associazioni ed è retto da un Sindaco e da una coSindaca. Ci accoglie la coSindaca Bermal Hakkari, il presidente del Comitato Remezzan Polat e il dottore Mehmet, responsabile della Sanità. Dopo i saluti si parla del progetto per la costruzione dell’Ospedale cui l’associazione “Verso il Kurdistan” è impegnata da vari anni.
Il presidente del comitato ci informa che il “progetto ospedale” è fermo perché il governo regionale ha bloccato tutte le costruzioni edili finchè ci sarà guerra (infatti anche a Erbil abbiamo notato costruzioni ferme da tempo). Ci dice poi che il costo dell’ospedale, in base ad una revisione prezzi per permettere una maggiore solidità dell’edificio è passato a 250.000 dollari. Il Comitato ha deciso quindi di impiegare i fondi ancora non spesi nella costruzione mandandoli in “Rojava”, ritenendo prioritario al momento l’aiuto a questi fratelli. Altre otto associazioni sono state coinvolte e hanno contribuito (e contribuiranno) alla realizzazione dell’ospedale appena il governo annullerà la legge di cui sopra.
La nostra associazione ha già versato a fronte di un impegno di 55.ooo euro che stanzierà in ogni caso, 25.000 euro più 20.000 euro che sono stati consegnati questa mattina. Il presidente del Comitato ci dice che dopo l’attacco dell’ISIS molti partigiani / partigiane sono rimasti a difendere il campo in previsione di nuovi attacchi e aggiunge che molti uomini del campo, prima impegnati nell’edilizia a Erbil e dintorni, hanno perso per la legge di cui sopra il lavoro, tanto che la disoccupazione nel campo è salita al 90%. Siamo stati infine informati sul problema dell’acqua potabile. L’acqua del campo è infatti inquinata da idrocarburi e l’acqua potabile viene portata con autobotti e poi distribuita con forti disagi. Il governo regionale doveva finanziare una condotta per poter portare l’acqua al campo, ma il governo non ha rispettato l’impegno per cui gli stessi uomini del campo stanno preparando la condotta che dovrebbe essere pronta tra cinque sei mesi. Nel pomeriggio andiamo a vedere a che punto è rimasta la costruzione dell’ospedale: la situazione, come riferito, è ferma – come ci hanno detto – all’anno scorso.
Mancano il tetto, gli intonaci e gli infissi: chi ci accompagna ribadisce comunque che appena sarà abolita la legge di cui sopra la costruzione sarà ripresa data l’importanza dell’ospedale. Siamo stati accompagnati quindi sulle colline che sovrastano il campo , da dove è partita l’anno scorso la resistenza all’ISIS che ha portato in due giorni alla liberazione del campo. Le colline, brulle e assolate, sono ora la sede dei partigiani / e del PKK preposti alla difesa del campo di Makhmour nel caso di eventuali attacchi. L’incontro con i partigiani è emozionante; ci riferiscono del loro compito e più emozionante è l’arrivo di dieci giovani partigiane di pattuglia sulle colline (vedi “report” successivo).
Nel ritorno abbiamo visitato presso Erbil un edificio ove sono ospitati i feriti provenienti dal Rojava, sia uomini che donne. Ci sono feriti alle gambe, un giovane partigiano è ustionato in varie parti del corpo, altri hanno ferite di vario tipo. I feriti più gravi vengono in genere operati agli ospedali a Erbil o Souleymania e poi portati qui. I feriti ci informano anche che – viceversa – i feriti dell’ISIS vengono portati in Turchia in un ospedale nuovissimo presso Adana o in Arabia Saudita o, anche, in Israele. Il saluto con questi giovani feriti è stato oltremodo commovente.
Delegazione italiana in Sud Kurdistan e Rojava
Noi stiamo lottando per la libertà di tutte le donne
Ieri sono arrivata in Kurdistan, come tanti/e altri/e attivisti/e sono qui per conoscere l’interessante progetto di federalismo democratico che il popolo curdo sta realizzando nel Rojava. Sono venuta con una delegazione organizzata dall’associazione italiana Verso il Kurdistan e cercherò in questi giorni di condividere ciò che vedo e ascolto in questo viaggio.
Oggi volevo riportare il discorso di una donna combattente delle YJA-STAR che ho incontrato oggi.
Premetto che è stato per me emozionante conoscere queste donne determinate, orgogliose e sorridenti, mi hanno salutata con grandi baci e abbracci ed è stato difficile salutarle.
Alcune cercavano di convincermi a rimanere con loro il loro entusiasmo era coinvolgente, la maggior parte di loro erano ragazze giovani e decise, tre di loro hanno combattuto contro le milizie di DAESH (ISIS) ne parlavano con modestia e coraggio.
Riporto il discorso di una donna combattente delle YJA-STAR:
Le donne curde sono state sempre oppresse dal genere maschile. Le donne del PKK hanno raggiunto la loro autonomia grazie a Ocalan (leader curdo del partito PKK nelle carcere turche dal 1999) che ha sempre creduto nell’uguaglianza di genere.
Noi YJA-STAR e HPG vogliamo cambiare la mentalità non solo del popolo curdo ma anche di tutte le donne.La nostra lotta non è fatta di teorie o parole ma di azioni, noi non chiediamo di essere aiutate a raggiungere l’emancipazione della donna ma lottiamo noi stesse per ottenerla.
Noi lottiamo per tutte le donne che hanno sempre dovuto abbassare la testa, come le nostre madri, noi lottiamo contro l’oppressione che loro hanno dovuto subire.
Molte donne al mondo parlano di pace e dicono che le donne non dovrebbero combattere, dicono che le donne danno la vita e non dovrebbero impugnare le armi.
E’ vero che le donne danno la vita ma è anche vero che le donne usano le armi per difesa.
Ocalan dice: Come le rose hanno le spine per proteggersi da chi le prende così noi usiamo le armi per difenderci dalla storia patriarcale che ci ha reso per anni sottomesse e vittime di violenze e ingiustizie.
Le armi non sono solo degli uomini ma servono per la difesa, noi siamo sotto attacco e le usiamo per difenderci. Le armi servono per contrastare il nemico che non viene in pace ma ci attacca con le armi e per questo che noi usiamo le armi.
Se le donne riconoscono la propria storia le donne saranno ancora più forti.
La libertà di Ocalan porterà la libertà delle donne e la libertà di queste porterà la libertà di tutti i popoli.