Nella notte tra il 24 e il 25 luglio, un raid aereo contro le postazioni dei guerriglieri kurdi sulle montagne di Qandil viola il cessate il fuoco in vigore dal 2013, determinando una ripresa delle ostilità tra la Turchia e i guerriglieri del PKK. Nel corso del mese di agosto e di settembre, la situazioni peggiora esponenzialmente. E’ di nuovo guerra aperta tra il governo di Ankara e il PKK ed inoltre si moltiplicano gli attacchi contro le sedi del filo kurdo Partito Democratico del Popolo (HDP), che alle elezioni generali del giugno 2015 è riuscito a superare la soglia di sbarramento del 10%, ottenendo il 13% dei voti.
La situazione è aggravata dalla mancanza di un governo stabile: i risultati delle elezioni non hanno confermato la maggioranza di governo al Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) e i tentativi di formare un governo di coalizione sono naufragati all’inizio dell’estate. Nuove elezioni sono previste per il prossimo 1 novembre, ma c’è chi dubita che si possano svolgere elezioni generali in questa situazione.
Di nuovo la questione kurda rivela la fragilità democratica della Repubblica turca. Numerosi osservatori, pur riconoscendone i limiti, avevano scommesso sul processo di pace in atto negli ultimi anni ma gli attacchi di luglio, la fine del cessate il fuoco e il conseguente fallimento dei trattati di pace hanno distrutto anche le più solide speranze. Quella di luglio è solo l’ultima di una lunga serie di violazioni dei cessate il fuoco, che sembrano voler rendere la pace una possibilità remota per il popolo kurdo.
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