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Viva la resistenza del Kurdistan – Giornata di mobilitazione!-Torino

Edi bese! Basta stragi – Pace in Kurdistan!Aprire un corridoio umanitario verso Kobane

• Sostenere autogoverno e autonomia democratica contro il terrore dello Stato Turco• Contro i confini che uccidono, rompere l’embargo che accerchia il Rojava• Libertà per le vittime dellarepressione di Erdogan• No al genocidio politico contro l’HDP (Partito dei Popoli Democratici)• Sostenere la lotta dello YPG/YPJ contro l’ISIS in Rojava• Contro la complicità dell’Italia nella fornitura di armi alla Turchia• Viva la lotta del PKK

Un anno fa, il 1 novembre 2014 nelle piazze di migliaia di città si svolgevano in contemporanea moltissime manifestazioni in sostegno alla resistenza di Kobane, una città simbolo nel nord della Siria vicinissima al confine turco, dove l’ISIS è stato fermato, sconfitto e respinto dopo oltre 4 mesi di assedio della città. Nella città di Kobane a resistere erano le YPG/YPJ, le forze di difesa popolare del Rojava, territorio nel nord della Siria a maggioranza kurda. Resistevano per difendere la città e la regione, ma soprattutto per difendere l’autogoverno e il confederalismo democratico, una vera e propria rivoluzione sociale iniziata un paio di anni prima, quando nella Siria martoriata dalla guerra i kurdi avevano scelto di liberare il territorio del Rojava, autodifenderlo e autogovernarlo non come un nuovo stato, ma in base a una democrazia diretta fondata sulla partecipazione dal basso, all’uguaglianza tra uomini e donne e al rispetto dell’ambiente e delle sue risorse. Un anno fa, Kobane era stretta tra l’ISIS e il governo turco di Taypp Erdogan, che proprio nell’ottobre 2014 dichiarava che Kobane sarebbe stata sconfitta, provocando lo sdegno di piazza dei moltissimi kurdi che vivono in Turchia e di molta parte della sinistra rivoluzionaria turca.

Nel corso dell’ultimo anno molte cose sono successe. La resistenza di Kobane ha vinto e le YPG/YPJ hanno continuato in durissime battaglie a strappare porzioni di territorio sempre più consistenti all’ISIS e il modello di autogoverno si è diffuso presso le comunità dei territori liberati. Kobane, distrutta per oltre l’80% ha iniziato a ricostruirsi, ma gli aiuti internazionali continuano a rimanere bloccati dall’embargo che la Turchia continua a imporre sul confine, un confine chiuso e militarizzato come nomai, segno tangibile della paura di Erdogan e della sua volontà di isolare la rivoluzione del Rojava.

Evidentemente perché le stesse istanze che hanno animato quella rivoluzione da tempo sono presenti e acquistano forza in Turchia. Abdullah Ocalan, leader storico del PKK il partito dei lavoratori kurdi dal 1999 è rinchiuso nell’isola prigione turca di Imrali, ma questo non ha assolutamente impedito alle istanze di liberazione e di rivoluzione sociale di continuare a crescere e a radicarsi tra i kurdi nei territori del Kurdistan turco (Bakur) e a saldarsi nel resto della Turchia con le lotte sociali che contrastano i progetti assolutistici di Erdogan, al potere da 13 anni impegnato in chiare riforme antidemocratiche e in continui insabbiamenti delle denunce di corruzione che riguardano membri del suo governo e del suo partito l’AKP e suoi familiari.

Erdogan è ormai chiaramente un piccolo sultano, il cui potere traballa sempre di più, come hanno ampiamente dimostrato i recenti fatti degli ultimi mesi.Il 7 giugno, in occasione delle elezioni nazionali in Turchia, per la prima volta una formazione politica che unisce le istanze del movimento di liberazione kurdo e moltissime sigle della sinistra rivoluzionaria turca, l’HDP riesce a sfondare lo sbarramento del 10% e ad entrare in Parlamento con oltre 80 deputati, rendendo di fatto inattuabili i progetti di riforma presidenziale nei quali Erdogan sperava. Due giorni prima delle elezioni due bombe erano esplose mietendo morti e centinaia di feriti in occasione del comizio conclusivo dell’HDP a Dijarbakir.

Il 20 luglio un attacco bomba a Suruc, in prossimità del confine con Kobane uccide 32 giovani socialisti provenienti dalle più grandi città turche. Erano laggiù per denunciare l’embargo cui è sottoposta Kobane e le complicità di Erdogan con lo Stato Islamico.Il 24 luglio le forze di sicurezza turche danno il via ad una vastissima operazione militare antiterrorismo, l’obiettivo dichairato è l’ISIS, ma in realtà la repressione di abbatte con una durezza incrdibile su militanti e popolazione civile kurda. in poco più di due mesi sono oltre 100 i civili (uomini, donne, anziani e bambini) uccisi dalle forze speciali Turche, numerose città sono state sottoposte al coprifuoco, polizia e militari assediano, torturano e massacrano la popolazione in un orrore che pare non avere fine.
Le barbarie contro i civili vanno avanti ancora oggi in un silenzio assordante.

Inoltre quasi 3000 persone sono state arrestate con l’accusa di essere militanti o simpatizzanti del PKK, dando inizio ad un genocidio politico che vede come principale bersaglio il partito dei popoli democratici (HDP). Molti sindaci sono stati sollevati dal loro incarico e incarcerati per “appartenenza ad un organizzazione terroristica”.Ma è ormai chiaro a tutti che il vero terrorista è Erdogan. In questi mesi sono state ampiamente dimostrare le collusioni di settori dei servizi segreti e dell’esercito turco con miliziani dell’ISIS, ampiamente sostenuta dalla Turchia con il passaggio di armi e rifornimenti.

Alla vigilia delle nuove elezioni politiche in Turchia, che si svolgeranno il 1° Novembre, a un anno da quando in centinaia di migliaia eravamo in piazza in sostegno all’eroica resistenza di Kobane, la solidarietà ed il sostegno politico al progetto dell’autogoverno e dell’autonomia democratica che sta portando avanti il popolo kurdo, è sempre più necessaria.Per il 31 ottobre e il 1° novembre sono state lanciate due giornata di mobilitazione a livello internazionale per sostenere la resistenza kurda.E’ ora di agire ed anche Torino deve continuare a dimostrare la vicinanza con kobane, con il bakur, con il kurdistan tutto.

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