Avevamo intitolato così un articolo che parlava della nostra esperienza a Kobane a solo un mese dalla fine della guerra e dalla liberazione definitiva del cantone, nel febbraio 2015.
Esattamente l’anno scorso, alcuni di noi si sono recati a Suruc per entrare nel cuore di una delle battaglie più valorose di questo secolo: non solo la lotta per la libertà dall’Isis, ma l’affermazione del principio dell’autodeterminazione dei popoli e della legittimità dell’esperienza della Rojava come nuova forma rivoluzionaria di governo del territorio basata sull’ecologismo, sulla parità di genere, su una forma di democrazia partecipata che permette di fatto l’autogoverno della cittadinanza.
Allora la battaglie era duplice: da una parte il peggio del fondamentalismo islamico che si serve di metodi innovativi; dall’altra il governo Erdogan, interessato a spazzare via questo nuovo modello comunitario che non prevede l’accentramento del potere decisionale nelle mani di uno o di pochi.
Abbiamo iniziato un anno fa e proseguiamo il nostro cammino a fianco dei compagni curdi che oggi come ieri si trovano ad affrontare ulteriori sfide.
Il primo novembre la Turchia va di nuovo al voto.
Le scorse elezioni avevano mostrato uno scenario inedito: per la prima volta, il partito che rappresenta le istanze della popolazione curda ha superato la soglia per entrare in parlamento e l’AKP, il partito di Erdogan, non ha raggiunto la maggioranza assoluta che avrebbe permesso al presidente di attuare quelle riforme costituzionali che gli avrebbero conferito un potere maggiore esautorando quello parlamentare.
La repressione che si è abbattuta sull’HDP (il partito dei popoli) all’indomani dei risultati è stata feroce e ha visto momenti di vero terrore come la strage di Ankara, in cui, durante una manifestazione pacifista per i diritti e la democrazia contro l’oppressione del governo, sono state uccise 128 persone e ferite 516.
Oggi la Turchia e soprattutto le roccaforti dell’HDP vivono in uno stato di assedio.
Arresti, fermi, un regime di tolleranza zero durante le manifestazioni, zone intere sotto coprifuoco, attacchi alla democrazia come l’oscuramento dei social network e l’occupazione da parte della polizia di due reti televisive che “rappresentano l’opposizione”.
Non nascondiamo che man mano che si avvicina il giorno del voto, si teme un inasprimento della sospensione dei diritti e delle libertà democratiche.
Per questo motivo e per la regioni per cui da un anno lottiamo fianco a fianco con le compagne e i compagni curdi, abbiamo deciso di partire in una delegazione rappresentativa della nostra area (Collettivo Lambretta; Zam; collettivo Bicocca; Dillinger Project; Rete Studenti Milano e Casc Lambrate) e di collaborare questa volta nelle vesti di osservatori internazionali, per vigilare sulla trasparenza del voto e tutelare coloro che andranno alla urne in sostegno del pluralismo e dell’equità sociale e culturale.
Partiamo con la consapevolezza che questa non è solo una sfida del popolo curdo, ma è una lotta internazionale. Ancora oggi continua la guerra intorno a Kobane, stretta nella morsa tra il Daesh da una parte e il governo turco che vuole ostacolare il ricongiungimento con Tal-abiyad dall’altra. Ancora oggi la popolazione curda in Turchia paga cara la propria battaglia verso l’autodeterminazione.
Queste lotte sono le nostre lotte. La ricerca di modelli democratici dal basso e l’affermazione dell’uguaglianza sociale sono oggi un punto cardine anche della nostra ricerca di libertà e di diritti sociali in un’Europa sempre più austerity e meno democrazia.
In questi giorni cercheremo di aggiornare ed informare per quanto ci sarò possibile.
Nel frattempo, è dovere di tutte e tutti tenere alta l’attenzione e non abbassare la guardia, per non lasciare la popolazione curda da sola ed essere pronti e pronte a non stare in silenzio davanti alle ingiustizie che ci sono e che potrebbero esserci.
… wara wara…indietro non si torna!..
Biji Kurdistan!
Milano in movimento