Tahir Elçi era un avvocato curdo, attivista dei diritti umani. È stato ucciso il 28 novembre nel distretto di Sur, storico quartiere di Diyarbakir, subito dopo una conferenza stampa organizzata per denunciare la devastazione dello storico minareto ‘a quattro zampe’ della Moschea Sheikh Mutahhar per mano della polizia durante l’assedio del distretto. Tahir è stato freddato a colpi di pistola. I video della sua uccisione hanno fatto il giro del mondo. Tahir era un bersaglio, erano in molti a saperlo.
Da decenni impegnato per i diritti umani e nella difesa di attivisti curdi e del PKK, pochi giorni prima delle elezioni, alla CNN ribadì l’assurdità che il PKK faccia ancora parte della lista delle organizzazioni terroristiche. Per queste dichiarazioni fu arrestato e poi rilasciato in attesa di giudizio. Alcuni pensano che quella sia stata la sua condanna a morte. Personalmente credo che non sia così, ridurre a un unico evento il suo omicidio può non farci capire il suo spessore. Tahir seguiva molti casi. Primo tra tutti quello delle vittime degli incendi appiccati dai militari turchi nella regione sud orientale del paese.
Era il primo avvocato del caso Roboski, il villaggio al confine tra Turchia e Iraq raso al suolo da un bombardamento deciso dall’AKP che provocò la morte di 38 civili. Tahir seguiva da decenni il processo di pace in Turchia, portando suggerimenti costruttivi per la sopravvivenza del tavolo. Fu critico in passato nei confronti dello stesso PKK con cui lavorò per trovare mediazioni che facessero avanzare il processo di pace. Fu anche l’avvocato di Mohammed Rasool, collaboratore di Associated Press, arrestato a Diarbakir mentre svolgeva il suo lavoro di giornalista. L’avvocato era un uomo scomodo per l’AKP, per Erdogan e per gli affiliati Daesh presenti in Turchia. Il suo è stato un omicidio di Stato secondo milioni di persone.
Non è un caso isolato. Sono infatti anni che Erdogan perseguita centinaia di professionisti influenti e dopo le proteste di Gezi parki l’attacco alla magistratura e agli avvocati ha subito un’accelerata. Il 10 ottobre l’attentato bomba di Ankara provocò l’uccisione di Uygar Cosgun, avvocato e attivista dei diritti umani. Ma cosa avevano questi avvocati in comune fra loro? Tutti rappresentavano civili considerati nemici dello stato. Che il governo turco conduca una vera e propria guerra allo stato di diritto è ormai assodato. Una guerra silente che si inserisce all’interno di una strategia della tensione che tenta di spaventare gli avvocati che decidono di rappresentare casi politicamente rilevanti o cittadini ‘impopolari’ secondo il governo.
Il Ministro dell’interno ha detto che l’assalto era diretto contro gli agenti di polizia presenti alla conferenza stampa, ma sul fatto che Tahir fosse il vero bersaglio non ci sono dubbi.
di Luca Manunza, Rete Kurdistan Italia
ArciReport 3 dicembre 2015