Presentato il documentario di Garip Siyabend, 30enne curdo conosciuto in Italia per essere stato tra i protagonisti di un reportage del fumettista Zerocalcare. Dopo aver lavorato a fianco di decine di giornalisti, a novembre Siyabend ha imbracciato la telecamera per mostrare il massacro nella città della sua famiglia.
Alla fine, il caso è arrivato anche a Strasburgo. A sollevarlo, durante la sessione plenaria dello scorso 20 gennaio, è stata l’eurodeputata irlandese Martina Anderson; la quale, dai banchi della Sinistra unitaria europea, ha denunciato l’escalation di violazioni “di ogni più elementare diritto umano” cui sono sottoposti gli abitanti delle aree a maggioranza curda nella Turchia sudorientale. Ancora qualche giorno e la regione entrerà nel settimo mese di una guerra che, seppur mai dichiarata ufficialmente, ha già falciato 300 vite soltanto tra i civili. Una guerra poco raccontata, peraltro: i rari report dalle zone sottoposte a coprifuoco raccontano di abitazioni bersagliate dal fuoco d’artiglieria; e di civili sistematicamente deprivati d’acqua, elettricità e viveri, dal momento che i cecchini dell’esercito non consentono loro di avventurarsi fuori casa neanche per comprare il pane.
Per questo, in Italia sta suscitando un certo interesse un breve documentario che in questi giorni viene presentato tra circoli, associazioni e centri sociali. Si chiama “Nekuje – Non uccidere” e in appena venti minuti offre una rara testimonianza su cosa accada alle famiglie curde che non riescono ad abbandonare le proprie case, all’avvicinarsi dei convogli militari. A girarlo è stato Garip Siyabend, 30enne curdo che in Italia è noto soprattutto per essere stato tra i protagonisti di un reportage fumetti di Zerocalcare. E che, dopo aver lavorato a fianco di decine di giornalisti, ha voluto documentare in prima persona il massacro che si andava consumando nella città d’origine della sua famiglia.
Siyabend è ciò che in gergo giornalistico si definisce un fixer. Nel 2014, dopo dieci anni passati tra Roma ed Eboli, è tornato a vivere nella città di Diyarbakir; dove, nel giro di qualche mese, è divenuto una delle “guide” più richieste dai cronisti italiani. Sono persone come lui a rendere possibile l’informazione dalle aree di crisi: scelgono strade, valutano rischi, intepretano lingue e dialetti; e sono in grado di decifrare dinamiche visibili ed invisibili ad uso e consumo dei giornalisti. Con due di loro, lo scorso 2 novembre, Siyabend è entrato a Silvan, cittadina di 80mila abitanti in cui, con la famiglia, ha trascorso i primi anni di vita. Silvan – che molti storici indicano come l’antica Tigranocerta, capitale del Regno d’Armenia – è stata una delle prime città curde a finire assediate dall’esercito e dalle forze speciali. Dallo scorso agosto, il coprifuoco è stato imposto per ben quattro volte in città: obiettivo dell’esercito era la riconquista dei cosiddetti quartieri autodifesi, tre zone che – dopo il collasso del processo di pace tra il governo e i curdi – sono state dichiarate autonome da una milizia urbana auto-costituita (e spesso impropriamente confusa con il Pkk). Ad oggi, nonostante il massiccio impiego di soldati e artiglieria, le operazioni si sono sempre concluse con un nulla di fatto. Ma, tra bombardamenti e tiratori scelti, almeno 20 civili vi hanno già perso la vita; mentre una vasta zona del centro è ormai semidistrutta. “Girando per la città – ricorda Siyabend – ho incontrato parenti che non avevano più un posto in cui vivere. Le loro case erano andate, inagibili. C’erano feriti ovunque, e alle ambulanze non era consentito l’ingresso nelle zone assediate, che l’esercito aveva isolato scavandovi attorno profonde trincee riempite d’acqua. Tutto questo accadeva soltanto il secondo giorno d’assedio”.
Così, anche quando i due cronisti sono dovuti rientrare in Italia, Garip ha scelto di rimanere a Silvan fino alla fine; continuando a documentare, con mezzi di fortuna, una situazione che andava peggiorando di ora in ora. “In molti – ricorda – avevano lasciato genitori, amici o addirittura figli nella zona degli scontri. Il coprifuoco in questi casi viene dichiarato così in fretta che a volte le famiglie restano divise. E alcuni alla fine non sapevano più nemmeno se i loro cari fossero vivi o morti”. L’assedio di Silvan si è protratto per 12 giorni consecutivi. Siyabend li ha trascorsi quasi interamente al seguito di un gruppo di cittadini che, fino all’ultimo, hanno cercato di forzare il cordone sanitario che l’esercito aveva stretto attorno all’area sottoposta a coprifuoco. “Nekuje” è la cronaca di quel lungo, ininterrotto tentativo: il gruppo, alla fine, è riuscito a entrarvi allo scoccare del dodicesimo giorno, poco prima che il convoglio dell’esercito si ritirasse tra i fischi della popolazione. Quel giorno, la telecamera di Siyabend ha ripreso le sventagliate di mitra lasciate ad altezza d’uomo su abitazioni e negozi; il tappeto di bossoli che lastricava le strade; e le scritte lasciate sui muri (“Tremate, i denti del lupo hanno assaggiato il sangue”), spesso firmate col nomignolo di Esedullah (Leoni di Allah), una sorta di corpo paramilitare già al centro di un’interrogazione in parlamento, di cui l’esercito nega però l’esistenza.
“Io non sono regista” conclude il fixer. “Sono soltanto un curdo. Mi sono sempre interessato al giornalismo, all’informazione indipendente; ma mai avrei immaginato di girare un documentario. Dalle mie parti, però, si usa dire che ‘se non puoi combattere un’ingiustizia, devi almeno cercare di raccontarla’. Io non volevo imbracciare un fucile; così ho preso in mano la videocamera”.
Sabato 2 aprile alle ore 21:00 la proiezione si terra presso lo spazio ex Macello, in via Mazzini Fidenza; Domenica 3 aprile ore 16.30 la proiezione si terra al circolo ARCI Pontenovo, in via Pontenovo, 1 San Polo D’Enza (RE); Lunedì 4 aprile ore 21.00 la proiezione si terra nella sede della Fondazione Matteo Bagnaresi, Via Saragat 33/A, Parma.