Kurdistan

La guerra di Erdogan

Il governo turco nella repressione die curdi segue una strategia perfida. Ma fino ad ora non sono è riuscito a spezzare la resistenza-La guerra di Ankara in corso da mesi contro il Movimento di liberazione curdo nel sudest della Turchia a metà marzo è entrata in una nuova fase. Dopo che tre località importanti della resistenza curda – Diyarbakir-Sur, Silopi e Cizre – dopo settimane di bombardamenti ad ampio raggio erano state messe in condizioni di essere assaltate, l’apparato militare turco ha messo in uno stato d’assedio illimitato altre zone chiave del Movimento curdo con armi pesanti e decine di migliaia di militi. Questa volta è toccato alla cittadina di Idil (30 chilometri dal capoluogo Cizre), Nusaybin che si trova al confine con la Siria e la roccaforte del vietato Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) nella provincia do Hakkari, la città di Yüksekova. Questo attacco è stato affiancato da bombardamenti aerei sulle postazioni della guerriglia sulle montagne di Qhandil al confine con l’Iraq e da attacchi di artiglieria contro le Unità di Difesa del Popolo siriane YPG.

Prima del nuovo allargamento dell’offensiva militare a metà marzo non era irrealistico lo scenario in cui il regime di Ankara si sarebbe accontentato della distruzione fatta nel frattempo e che nella situazione modifica avrebbe ripreso nuovamente le trattative con il PKK. Si sarebbero allora potuti riprendere i colloqui interrotti dall’isolamento totale del leader dei curdi in carcere Abdullah Öcalan tra il partito di sinistra curdo legale HDP, il governo turco e i vertici della guerriglia a Qhandil e iniziare almeno temporaneamente una tregua. Che ne sarebbe derivata una pace solida è improbabile. Ma un modo di procedere di questo tipo sarebbe stato almeno un riconoscimento del fatto che una soluzione puramente militare della »questione curda« è impossibile.

Terrorismo contro la popolazione civile

Tuttavia Ankara sembra puntare solo sulla violenza. Evidentemente si tratta di una »pulizia« completa della zona dai “terroristi”. “Terrorista”, anche questo il Presidente Recep Tayyip Erdogan e il suo Premier Ahmet Davutoglu lo hanno chiarito ripetutamente, non è solo chi combatte contro il governo turco con le armi in pugno, ma chiunque persegua obiettivi di politica sociale diversi dalla combriccola del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) al governo.

Non passa giorno nelle regioni abitate dai curdi della Turchia sudorientale in cui non viene bombardato un quartiere residenziale, uccisi civili e combattenti delle Unità di Difesa YPS formate dagli abitanti delle città colpite. Centinaia di migliaia sono in fuga dagli scontri. La mera massa dell’apparato e personale militare messo in campo mostra che il regime di Erdogan fa sul serio: solo nella comunità di 70.000 anime di Yüksekova sono stati mandati 20.000 soldati e componenti delle unità speciali con 80 carri armati da combattimento.

Quante vittime fino a ora ha causato il conflitto non è chiaro. Fonti governative parlano di 5000 combattenti del PKK uccisi, il PKK dal canto suoi di diverse migliaia di soldati turchi uccisi. Entrambe le indicazioni probabilmente sono esagerate. Il numero di vittime civili, causate in prevalenza dalla violenza dello stato, secondo rapporti dei media diversi tra loro sarebbe tra 150 e 500. Scioccante è la bestialità con la quale si procede. Testimoni oculari riferiscono di persone bruciate vive, di cadaveri fatti a pezzi e di massacri mirati di persone disarmate che si erano nascoste dagli attacchi all’interno di cantine.

La punizione collettiva della popolazione civile e la creazione di un’atmosfera di paura sono parte integrante della strategia dello Stato turco. In particolare la Polis Özel Harekat (PÖH) e la Jandarma Özel Harekat (JÖH), unità speciali di polizia e gendarmeria commettono atti di terrorismo contro la popolazione civile. Le milizie spesso composte da islamisti e fascisti, su Internet si mettono in posa fieri davanti a case distrutte, imbrattano muri degli edifici curdi con slogan nazionalisti e pubblicano foto nelle quali, chini su cadaveri di curdi, mostrano il saluto dei »Lupi Grigi« fascisti.

Politica di insediamento e gentrificazione

Le intimidazioni hanno l’obietto di allontanare la popolazione curda, che in prevalenza è schierata con la lotta di liberazione del PKK, dalle forze armate e dal movimento politico civile. Questa politica del terrore viene integrata altri due modi di procedere, impostati su una prospettiva lunga, che entrambe mirano a modificare la composizione demografica delle zone curde in modo duraturo.

Con una di queste strategie si spera di impedire che attraverso la futura gentrificazione di zone che ora sono distrutte sorgano altri quartieri autonomi, ai quali polizia e militari non hanno accesso. In questo il distretto della città vecchia di Sur della metropoli di Diyarbakir è centrale. Poche dozzine di combattenti curdi hanno tenuto per mesi la zona racchiusa da storiche mura di cinta contro una forza di combattimento turca di gran lunga superiore a livello numerico e tecnico. Militari, PÖH e JÖH hanno subito forti perdite. Un presupposto per la riuscita di questa resistenza sono stati gli stretti e intrecciati vicoli di Sur che hanno costituito per la guerriglia un vantaggio contro gli attaccanti.

Perché questo non succeda di nuovo, il governo turco ha pianificato di impostare Sur in modo completamente nuovo. Gli strati più poveri della popolazione che si sono insediati qui, devono essere cacciati. E le strade vanno costruite in modo da essere percorribili con attrezzature militari pesanti. »Dopo che è stato sbrigato il lavoro di distruzione, facciamo risiedere temporaneamente altrove i residenti colpiti. Dopo, sotto la guida del Ministero o anche dell’ente statale per l’edilizia residenziale TOKI, dovrà avvenire la trasformazione urbana. Vanno creati nuovi spazi di vita«, ha dichiarato già nel dicembre 2015 Fatma Güldemet Sari, Ministra dell’AKP per l’ambiente e l’urbanistica. E il Presidente del Consiglio dei Ministri Ahmet Davutoglu ha paragonato Sur a Toledo nella guerra civile spagnola che è stata assediata e conquistata dai fascisti di Franco, entrando a far parte del mito fondativo dello Stato franchista.

Nel marzo 2016 poi nei media è apparsa anche una mappa di Diyarbakir-Sur che mostra la misura degli espropri di case e edifici pubblici prevista. Sarebbero colpiti oltre l’80% dei terreni, abitazioni private, ma per esempio anche la chiesa armena di S. Giragos. A Diyarbakir stessa questa intenzione non ha alcun appoggio da parte della popolazione. Una “Piattaforma per la protezione e la conservazione di Sur” conta oltre 300 organizzazioni, dall’amministrazione cittadina ufficiale, passando per le Camere di Commercio e i sindacati fino alle ONG. Mettono in guardia dalla “enorme devastazione sociale e culturale” attraverso la politica statale di gentrificazione. Tuttavia proprio questa “devastazione sociale e culturale” è lo scopo che Ankara persegue con l’intera azione. Perché alla fine anche il regime turco sa che la popolazione curda può essere indebolita solo se ne distrutte le radici sociali e culturali.

Il secondo attacco alle condizioni sociali nelle zone curde potrebbe essere persino più perfido dell’esproprio e della reimpostazione di interi quartieri: il governo pianifica l’insediamento massiccio di profughi dalla vicina Siria e considera di dare loro il diritto di voto perché Ankara parte dall’idea che i nuovi arrivati in prevalenza arabi e sunniti possano formare un contrappeso rispetto al partito curdo di sinistra HDP di gran lunga maggioritario in termini di voti. »Noi sosteniamo gli sforzi per accogliere i profughi e aiutarli. Ma le intenzioni del governo non hanno nulla a che vedere con il sostegno, è piuttosto una strategia politica ad ampio raggio per mettere piede qui «, ha commentato il deputato dell‘HDP Mahmoud Togrul rispetto alla strumentalizzazione dei profughi da parte dell’AKP in un colloquio con l’agenzia curda Rudaw.

Guerriglia urbana

Mentre il governo turco persegue palesemente il piano da un lato di indebolire le strutture esistenti di PKK e YPS dal punto di vista militare e dall’altro punta alla distruzione delle relazioni sociali del movimento curdo per mezzo di intimidazioni e terrore, politiche di espulsione e di insediamento, il movimento curdo fa visibilmente fatica a trovare una risposta adeguata a questo attacco generalizzato.

Coloro i quali hanno reagito più velocemente sono stati i ragazzi e i giovani adulti delle città colpite. A partire da organizzazioni come l’organizzazione die giovani del PKK e di quella cittadina YDG-H, hanno costruito le Unità di Difesa dei Civili YPS e le loro unità di donne YPS-Jin. Nei combattimenti, guidati da compagni e compagne esperti, hanno imparato come rispondere all’apparato militare: contro carri armati hanno scavato fossati, contro cecchini hanno messo enormi lenzuola sopra alle strade, nei muri di case abbandonate hanno fatto die buchi per potersi muovere nel quartiere senza essere visti. La loro resistenza ha esercitato una grande forza attrattiva sulla generazione giovane. Chi parla con insegnanti nelle suole del Kurdistan sentirà spesso la stessa storia: una parte non piccola degli studenti si è unito alle Unità di Difesa dei Civili, quasi tutto simpatizzano e la sostengono.

Mentre il PKK e il suo braccio militare, le Forze di Difesa del Popolo, le HPG (Hezen Parastina Gel), sono attive in prevalenza nelle zone rurali e in montagna, il reparto giovanile e cittadino era ancora un’unione clandestina di piccoli gruppi, che già faceva la lotta armata, ma ancora assomigliava di meno a una formazione militare. Con le YPS per la prima volta nasce un ampio movimento di guerriglia nelle città curde.

Questo è effettivamente un livello nuovo della lotta armata in Kurdistan, ma uno che però appunto porta con sé anche delle difficoltà. Perché l’inasprimento degli scontri militari non rende facile al grosso della popolazione di intervenire a sostegno. Forme civili di resistenza vengono progressivamente marginalizzate perché lo Stato turco reagisce anche a queste con brutale violenza. In quelle zone dove sono stati proclamati »coprifuoco« le proteste pacifiche erano comunque impossibili. Su chiunque si rechi nelle strade di queste città e distretti, sparano i cecchini.

L’offensiva di primavera

Quindi nel Kurdistan settentrionale molti sperano in un intervento delle Hezen Parastina Gel. Da una ventura »offensiva di primavera« si aspettano una svolta in quella guerra brutale perché possano costringere lo Stato turco alla ritirata e imporre l’autonomia democratica. Tuttavia questo intervento delle HPG probabilmente non avverrà direttamente nelle città curde contese. »La primavera è arrivata. Ora dovrebbero intervenire le HPG«, ha detto il comandante in capo delle HPG Murat Karayilan a fine marzo all’agenzia stampa Firat Haber Ajansi. »Ma questo intervento non dovrebbe consistere nel fatto di entrare nelle zone urbane. Dovrebbe consistere nel fatto di sostenere dalle montagne l’autodifesa della gioventù curda nell’ambito delle YPS.« La forma che avrà questo sostegno si è iniziato a vedere nell’attacco alla postazione periferica della gendarmeria presso Mermer il 24 marzo. La guerriglia ha attaccato questa caserma, l’ha distrutta per la maggior parte e secondo fonti turche ha ucciso tre soldati, 28 secondo le fonti curde.

Accanto alla resistenza delle forze di difesa civili e agli attacchi mirati delle HPG da alcuni mesi anche un altro gruppo ha ripreso le sue attività: si chiama Teyrebazen Azadiya Kurdistan (TAK), “Falchi della Libertà del Kurdistan”. A loro vanno ascritti due attacchi maggiori ad Ankara, il primo nel febbraio di quest’anno che è costato la vita a 28 appartenenti all’esercito e a un civile. Il secondo attentato un mese dopo sulla vivace piazza Kizilay ha portato alla morte di 37 civili.

In quali rapporti il gruppo prevalentemente clandestino si trovi con il PKK, non è chiaro. Anche i TAK affermano di condividere tutti gli obiettivi del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, gli rimproverano però una conduzione della guerra »troppo debole«. Intendono portare la guerra nelle metropoli turche. I TAK nel passato recente hanno fatto anche attentati suicidi contro obiettivi non militari.

Dopo il secondo attentato ad Ankara-i “Falchi della Libertà” si sono però »scusati« per la morte dei “civili che non c’entrano niente con la sporta guerra che conduce la repubblica turca fascista”. Ma l’effetto di aver dato ai vertici dell’AKP con l’attentato una gradita occasione per la propaganda anti-curda e nazionalista, è rimasto lo stesso.

Fascistizzazione fulminea

In generale dall’inizio della guerra è percepibile un chiaro spostamento a destra di grandi parti della popolazione della Turchia. È uno dei maggiori ostacoli sul percorso verso una tregua o addirittura una ripresa die negoziati di pace, perché il governo Erdogan non deve temere di essere messo sotto pressione da un ampio movimento per la pace.

La simpatia con il progetto di democratizzazione curdo, che ai tempi del cosiddetto processo di pace era assolutamente percepibile anche in parti dell’opposizione borghese a Erdogan, ora sembra venire sepolto da un’ondata di nazionalismo. L’AKP intanto controlla una gran parte dei media in Turchia e così riesce a rendere egemone la sua rappresentazione della guerra. Sfrutta le paure che nascono dalla guerra per l’ulteriore fascistizzazione del sistema politico della Turchia. Con la libertà di stampa e di riunione sono già praticamente abolite, la conclusione provvisoria del processo di fascistizzazione consisterà nella modifica costituzionale con la quale Recep Tayyip Erdogan vuole garantire al suo incarico e con questo anche a se stesso i più ampi poteri. L‘ambita modifica in un »sistema presidenziale« eliminerà gli ultimi resti delle conquiste borghesi democratiche in Turchia.

Questo a sua volta ha effetti ad ampio raggio sulla strategia del movimento curdo. Sotto l’influenza del progetto delineato da Abdullah Öcalan di un “Confederalismo Democratico” aveva dichiarato obsoleta la creazione di un proprio stato curdo (e con questo il distacco dalla Turchia) e si era invece orientato verso una democratizzazione complessiva della regione senza la creazione di nuovo confini nazionali. Questo obiettivo, almeno per quanto riguarda il Kurdistan del nord, sembra essersi decisamente allontanato. L’AKP di Erdogan e i fascisti dell‘MHP insieme hanno con sé una maggioranza stabile della popolazione turca.

I rapporti tra il movimento curdo e parti della sinistra rivoluzionaria della Turchia sono però diventati più stretti, cosa che a marzo ha portato alla fondazione di una confederazione di milizie rivoluzionarie, del quale accanto al PKK fanno parte una dozzina di gruppi turchi. Per contrastare il processo di fascistizzazione questo però difficilmente basterà.

Allo stesso tempo nella gioventù curda per via dei continui attacchi diventa tangibile un cambio di mentalità. Il PKK è sempre stato una forza decisamente pragmatica, che non si è sottratta a offerte realistiche per un cessate il fuoco. La nuova generazione di combattenti curdi, che ha vissuto arresti arbitrari e massacri, promesse vuote e inganni, difficilmente sarà incline ad agire in modo così assennato come i suoi predecessori. Il governo Erdogan con la polarizzazione voluta si crea su entrambi i lati le condizioni di avvio per una guerra civile di lunga durata. Si può assolutamente dire: è stato l’AKP che ha contributo molto al fatto che si inasprisse la guerra in Siria. E ora è l’AKP che importa condizioni siriane in Turchia.

A questo si aggiunge che attraverso l’accordo UE-Turchia si è determinata una condizione quanto mai sfavorevole per il movimento curdo. Se il PKK nella guerra contro IS era riuscito a conquistarsi un credito a livello internazionale, diventa sempre più difficile creare pressione politica a partire questa reputazione. Perché con l’accordo sui profughi – promosso soprattutto dal governo tedesco – tra Unione Europea e Ankara gli Stati UE hanno dato mano libera ai vertici dell’AKP nella loro sporca guerra contro i curdi. A medio termine non ci sono da aspettarsi pressioni dall’esterno o persino sanzioni. I curdi, ancora una volta, possono contare solo su se stessi.

Questo non deve significare automaticamente che la resistenza non ha prospettive di successo. Perché il radicamento del movimento curdo nella sua popolazione offre un sostegno che le forze militari turche non possono rimuovere dall’oggi al domani con la violenza, per quanto questa sia grande.

 

Di Peter Schaber

Jungewelt

Foto: Stringer Turkey/Reuters

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