Durante una vista in territori della Turchia dove si sono svolti scontri, un fotogiornalista viene arrestato. Colloqui con Willi Effenberger-Willi Effenberger è un fotogiornalista indipendente di Berlino. Lavora regolarmente anche per jW
Come fotogiornalista in questo periodo sta visitando la Turchia. Immancabilmente è stato arrestato dalla polizia locale. È successo giovedì scorso. Come si sono svolti i fatti?
Sono in giro da un po‘ di tempo con i colleghi del Lower Class Magazine. Eravamo appena arrivati ad Amed (in turco Diyarbakir), una delle città del Kurdistan, nella quale intere aree sono state messe sotto coprifuoco per dei mesi. A Sur, la storica città vecchia di Amed, ora ufficialmente è finito. Perché nella zona non abita più nessuno. Ma parti di Sur sono ancora chiuse. Ovunque si trovano idranti, veicoli blindati con mitragliatori, postazioni di polizia. Lo Stato qui si presenta come forza di occupazione.
Circa la metà di Sur è quasi completamente distrutta. Durante gli scontri qui lo Stato turco ha fatto tutto a pezzi sparando. Volevo vedere la situazione e fare foto delle barricate costruite. Sono passato vicino alla zona chiusa. Quando ero sulla via del ritorno mi sono venuti incontro due poliziotti in borghese. Portavano dei kalashnikov e mi hanno arrestato. Dicevano che avevo fatto foto di poliziotti. Rendendomi conto per tempo dell’arresto incombente, sono riuscito a formattare la carta SD della mia macchina fotografica. Così non hanno potuto accusarmi di nulla.
Per quanto tempo è stato trattenuto?
È durato circa due ore e mezza. Ho cercato di farmi capire con le mani e con i piedi, mi hanno urlato contro. Venivo perquisito di continuo. Mi hanno chiesto chi ero, chi erano i miei amici e per chi lavoravo. Volevano picchiarmi e calpestare la mia telecamera. Me lo hanno fatto capire con gesti molto espressivi. Probabilmente il mio passaporto tedesco mi ha protetto da un simile trattamento.
E poi La hanno lasciata andare?
Sì. Ho dovuto firmare un foglio scritto a mano in turco, poi sono potuto andare via. Che cosa stessi firmando non lo sapevo. Anche dopo diverse richieste non mi è stato spiegato. Solo dopo la mia firma mi hanno detto che avevo dichiarato di aver fotografato poliziotti e loro veicoli. E pure che sapevo che era illegale. Una copia del documento non l’ho avuta. E che per poter lavorare indisturbato, avrei dovuto avere un accredito dell’agenzia stampa statale Anadolu.
Perché non si è fatto accreditare?
In realtà è impossibile perché lo Stato non vuole che giornalisti riferiscano della situazione che c’è qui. I colleghi del Lower Class Magazine hanno cercato più volte di avere un accredito. Senza successo. Sono stati arrestati più volte quando sono stati qui qualche settimana fa. All’epoca c’erano ancora scontri. Insieme ad altri sono stati arrestati da un‘unità speciale. Dalle botte a che gli avrebbero sparato, sono stati minacciati più o meno di tutto. Durante l’arresto in effetti hanno anche sparato nella loro direzione anche se erano chiaramente riconoscibili come rappresentanti della stampa. Sono riusciti a uscire dalla situazione grazie alla fortuna e al caso, perché l’unità speciale in questione doveva andare in missione.
Anche giornalisti locali sono colpito da queste rappresaglie?
Dell’agenzia stampa curda Diha si trovano in carcere almeno dieci colleghi e in parte aspettano già da mesi il loro processo perché hanno mandato servizi dalle zone contese. Loro rischiano pene detentive ancora più gravi di Cam Dündar. Lui e Erdem Gül – entrambi sono giornalisti – di recente sono stati condannati a cinque anni di carcere. Nel caso di Dündar sono addirittura cinque anni e dieci mesi. I due avevano riferito sulle forniture di armi a gruppi di jihadisti in Siria. Prima del processo c’è stato perfino un attentato contro Dündar. L’attentatore lo ha chiamato »traditore«. Dündar era già stato chiamato così da Erdogan (il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan). Per lui i giornalisti indipendenti sono nemici.
Jungewelt
Intervista: Carmela Negrete
Foto: REUTERS/Sertac Kayar