Cento anni fa, quindi il 16 maggio 1916, tra la Gran Bretagna e la Francia veniva firmato l’accordo Sykes-Picot per la spartizione del Regno Ottomano. Più tardi venne coinvolta anche la Russia. L’ufficiale britannico Mark Sykes e il diplomatico francese Georges Picot avevano elaborato una mappa segreta per il Vicino Oriente e il Nord-Africa e si erano spartiti le province ottomane.
L’accordo Sykes-Picot era espressione di potere imperiale senza riguardo per gli interessi e dei popoli della regione. Si trattava di arbitrio coloniale assoluto che pose la prima pietra per un riassetto della regione secondo i loro interessi. Nell’elaborazione del tracciamento dei confini la Gran Bretagna e la Francia tennero conto soprattutto delle ricche fonti di acqua e di petrolio della regione. La brutalità dell’accordo era che non teneva in alcun modo conto delle strutture di clan e di tribù delle diverse appartenenze etniche. Fino all’accordo non erano presenti confini di Stati nazionali. Per questo i clan, le famiglie, le tribù si muovevano su diversi territori. Con la definizione del tracciamento dei confini con il righello, queste tribù vennero poi suddivise tra Stati nazionali creati artificialmente. Sykes-Picot era un intervento operativo nella varietà dei popoli come i curdi, gli arabi, i turchi, di comunità religiose come i musulmani, i cristiani, gli ebrei, gli yezidi, gli sciiti, ecc. La regione è ancora occupata con le conseguenze di questo intervento brutale. Il risultato sono le guerre ancora in corso, conflitti e tensioni tra popoli e religioni. Questa condizione ha reso possibile alle potenze occidentali di fare e disfare a loro piacimento. Il gioco funzionava secondo il vecchio proverbio »quando due litigano, il terzo gode «.
La divisione della regione secondo l’accordo Sykes-Picot prevedeva:
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Russia: Trebisonda, Erzurum, Van, Bidlîs (Bitlis) e una parte dell’Anatolia sudorientale
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Francia: Mediterraneo settentrionale, Adana, Dîlok (Gaziantep), Riha (Urfa), Amed (Diyarbakır), Mûsil (Mossul) e le regioni costiere della Siria
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Gran Bretagna: Haifa, porto di Haifa, Baghdad, Bassora e Mesopotamia meridionale
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Costruzione di Stati confederali per arabi o di un nuovo Stato panarabo sotto il controllo congiunto franco-britannico
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Alessandretta come città portuale indipendente
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Amministrazione della Palestina da parte di una commissione internazionale
Gran Bretagna, Francia e Russia dalla fine del 19° secolo erano impegnate ad indebolire l’Impero ottomano per poi dividerlo in pezzi. Fin dall’inizio del 20° secolo, l’Impero si trovava già in uno stato di decadimento avanzato. La strategia europea del divide-et-impera ce l’aveva fatta a mettere popoli e comunità religiose contro l’Impero ottomano, ma anche l’uno contro l’altro. Regnava il puro caos politico e sociale.
Sykes-Picot: tutti contro tutti
Nel 1914 con la Prima Guerra Mondiale Gran Bretagna, Francia, Russia da un lato, Germania, Impero austro-ungarico, Impero ottomano dall’altro, erano impegnati in una guerra di potere. Dato che però la responsabilità nella regione era di Francia e Gran Bretagna, queste nel 1916 nel bel mezzo del caos avevano sviluppato l’accordo Sykes-Picot. Il completamento del controllo e dello sfruttamento della regione è seguito dopo la Prima e la Seconda Guerra Mondiale.
La rivoluzione di ottobre nel 1917 in Russia ha rappresentato un intervento nel piano di spartizione inizialmente previsto da Sykes/Picot. Per questo Francia e Gran Bretagna non hanno potuto realizzarlo esattamente come pianificato, dato che la Russia socialista seguiva una propria impostazione. Per questa ragione Lenin infatti aveva reso pubblico l’accordo, fino ad allora tenuto segreto, al fine di fare pressione per interessi propri, cosa che in parte gli è anche riuscita.
Con la costituzione di Stati nazionali nella regione, dopo la Prima Guerra mondiale vennero creati meccanismi di controllo su popoli e comunità religiose. Gli Stati nazionali »moderni« vennero costruiti in base a dottrine razziste e nazionaliste che erano opposte alla varietà culturale, politica, etnica e religiosa dei propri cittadini. D’altro canto questi nuovi Stati si combattevano anche a vicenda. Questi significa che mentre lo Stato nazionale turco agiva contro curdi, armeni, assiri, allo stesso tempo era continuamente coinvolto in conflitti con gli Stati vicini Iran, Iraq e Siria. Punto di partenza erano i confini artificiali tracciati con il righello. Ci sono tutt’ora problemi ai confini tra questi Stati. Ma accanto a questi quattro Stati chiave della regione, anche la proclamazione dello Stato israeliano ha creato una miccia permanente tra ebrei e arabi. La Siria vedeva nell’esistenza di Israele la motivazione per uno stato di emergenza permanente. Non si comportava diversamente con Iran e Iraq. O Libia, Egitto, Giordania ecc., tutti gli Stati creati artificialmente si fondavano su una dottrina militarista dello Stato. Con questa impostazione combattevano i propri cittadini e percepivano i vicini come costante pericolo e minaccia.
La carta curda colonial-imperiale
Le potenze occidentali seguirono l’impostazione imperialista e colonialista di Sykes/Picot e completarono la spartizione nella conferenza di San Remo del 1920; a Sèvres nel 1920 e Losanna nel 1923 la profittabilità della carta curda venne riconosciuta da tutti. Perché dopo la Prima Guerra Mondiale questa fino a oggi si è rivelata adatta a trasformare in una condizione permanente l’instabilità interna degli Stati turco, arabi e persiano con i ribelli curdi che vi si opponevano. D’altro canto con l’asserzione »diritti per i curdi« si poteva scegliere questa carta per fare pressione dall’esterno su questi Stati appena si muovevano contro le potenze occidentali. Per i curdi a quel punto queste potenze si fingevano amici e sostenitori contro i cattivi turchi, arabi e persiani. Contrariamente alla dimensione israelo-palestinese, la dimensione del conflitto curdo è più complessa: si tratta del conflitto curdo-turco, curdo-arabo e curdo-persiano. Mentre turchi, arabi e persiani negli Stati Turchia, Iraq, Siria e Iran godevano di pieni diritti, i curdi in questi Stati erano privati di diritti, della loro identità, negati e oppressi. Per cento anni le relazioni dei curdi con questi Stati sono state determinate da ribellione, conflitti e guerra. Chi ha tratto profitto da queste guerre sono stati altri: le potenze occidentali. Il prezzo lo hanno pagato i popoli.
Cento anni di Sykes-Picot e il nuovo Kurdistan
Per via degli sviluppi a partire dal 2000 è diventato sempre più evidente che non era più possibile mantenere l’impostazione della negazione dei curdi e del Kurdistan. Il dato di fatto della regione di autonomia curda come parte dell’Iraq federale dal 2003 e la dichiarazione del »Sistema Democratico Federale del Rojava – Siria del nord« [Rojava = curdo.: »occidente«] nel marzo 2016 e l’autonomia democratica per il Bakur [curdo.: »nord«; Turchia sudorientale] dal 2015 mostrano che da parte curda Sykes-Picot non viene più accettato. Ma anche la »primavera araba« ha mostrato che la popolazione araba in maggioranza vuole un nuovo ordine politico e sociale. Le numerose rivolte nell’area araba rivelano che la centenaria costellazione coloniale non è più sostenibile. La situazione è simile per Iran e Turchia. E anche qui cresce l’insoddisfazione dei popoli. Per questo la fase degli Stati nazionali che si basano su un’etnia, una lingua, una religione, una bandiera, volge al suo termine.
Sia nell’area araba che in Turchia e in Iran, i popoli non riescono a realizzare un’alternativa ai regimi repressivi e anti-democratici, dato che mancano di un’avanguardia rivoluzionaria. I curdi fino ad ora sono l’unica avanguardia nella rivolta contro questi regimi. E questo perché hanno tratto conclusioni più giuste soprattutto dalle esperienze dei conflitti dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Il venire a mancare della cosiddetta polarizzazione ideologica, caratterizzata dalla guerra fredda, ha portato a un enorme vuoto politico. È nato il processo politico della multipolarità che ha offerto anche ai curdi la possibilità di partecipare a processi politici, in particolare di intervenire in modo più attivo e di attacco negli sviluppi politici, dato che la fase dopo il socialismo reale a molte potenze aveva fatto di nuovo venire appetiti per iniziare il nuovo ordine mondiale a partire dal Vicino Oriente. Molto presto soprattutto il PKK e Öcalan sono riusciti ad analizzare questo nuovo ordine. In particolare di fronte allo scenario di dove e come il Kurdistan viene collocato in questo nuovo ordine, il Greater Middle East Project (GME) come alternativa al caos esistente, in cui i curdi non avranno un particolare valore di posizione. Con il Kurdistan dovrebbero continuare a venire strumentalizzati per interessi sia locali che globali. Soprattutto per la leadership politica curda era chiaro che il »la macro-area Medio Oriente«, sviluppata come alternativa per il vuoto dopo il crollo del socialismo reale come nuovo ordine soprattutto per il Vicino Oriente, non sarebbe stato altro che la prosecuzione di Sykes-Picot.
Prosecuzione di Sykes-Picot tramite il GME
La svolta in Iraq (caduta di Saddam Hussein), la crisi dell’Afghanistan e il conflitto israelo-palestinese sono state lezioni importanti per il movimento curdo. Per quest’ultimo è iniziava la fase politica di considerare in modo critico gli Stati nazionali come causa di conflitti. Perché anche il Greater Middle East Project punta sui confini nazionali come soluzione. Da un Iraq unico sono state poste le basi per uno stato curdo, uno arabo-sunnita e uno arabo-sciita. Queste tre componenti ora possono essere staccate l’una dall’altra, in modo che possano nascere strutture di Stati nazionali ancora più piccole. In questa consapevolezza la leadership della regione curda in Iraq minaccia costantemente uno Stato nazionale curdo.
Anche nella guerra in Siria da tempo è prevista una scissione. Con riferimento alla situazione politica dell’Iraq, le potenze occidentali pensano di separare anche la Siria in arabo-alauita, arabo-sunnita e curda. Attraverso una costellazione di questo tipo, analogamente al caso Sykes-Picot, la regione può essere gettata in altri cento anni di caos e scontri. Ma questa volta non funzionerà altrettanto facilmente senza attriti. Perché le vittime effettive di questi piani globali, i curdi, non partecipano più come carta da usare in questo nuovo gioco. Questo significa che sarà difficile mantenere i conflitti curdo-turco, curdo-persiano e curdo-arabo a livello locale come un conflitto permanente.
I curdi combattono per la pace con i turchi, gli arabi e i persiani. Cercano la lotta comune con i popoli contro i regimi colonial-imperiali perché in questi vedono la causa della politica di mettere i popoli l’uno contro l’altro. Inoltre considerano tutte le comunità etniche e religiose come gli assiri, i turkmeni, i ceceni, gli yezidi, yaresani, kaka‘i, drusi, shabak, mandei come alleati naturali, ossia tutti coloro che sono in conflitto con i regimi al potere. La concezione curda si basa sull’unione politica e sociale di tutti coloro i quali sono stati e saranno vittime del moderno accordo Sykes-Picot, il GME.
Stato nazionale curdo come riserva del GME
Il Greater Middle East Project non prevede eventuali correzioni di Sykes-Picot. In questo contesto la creazione di uno Stato nazionale curdo in Iraq viene tenuta nel cassetto. Ogni qual volta si dovessero verificare conflitti tra Hewlêr (Erbil) e Baghdad o Ankara e l’occidente, i politici curdi in Iraq minacciano uno Stato curdo indipendente. E questo quando in effetti i curdi avrebbero tutto il diritto a un proprio Stato. Il problema è solo il perché viene sempre usato come minaccia. Proprio su questo punto è legittima la domanda a chi servirebbe uno Stato del genere, se è pensato come strumento di pressione. Il Kurdistan, in modo paragonabile all’impostazione di Sykes/Picot e della dichiarazione Balfour, deve svolgere il ruolo di una seconda Israele? Proprio come gli arabi, certamente anche gli ebrei hanno il diritto a uno Stato. Come i palestinesi. Il fatto che lo Stato di Israele venga ancora concepito come un pericolo in questa regione, ha a che fare in modo immediato con il calcolo politico di Sykes/Picot. Viene spesso sostenuto che la fondazione dello Stato di Israele sia stato un successo dei sionisti. Questo è certamente vero, ma il sionismo e i suoi precursori si erano da tempo spesi per uno Stato. Il dato di fatto che Sykes/Picot voleva avere la responsabilità in Medio Oriente tramite tre aree di potere occidentale – di Gran Bretagna, Francia e Israele – spiega anche la dichiarazione Balfour del 1917 e la legittimazione per lo Stato di Israele. Il prezzo per questo calcolo hanno dovuto pagarlo gli ebrei/israeliani e i palestinesi. Il conflitto israelo-palestinese negli ultimi decenni ha contribuito alla polarizzazione della regione tra arabi e israeliani. Si tratta di due popoli antichissimi della regione, che potrebbero senz’altro convivere senza conflitti.
Ora, cento anni dopo, ci sono riflessioni su un gioco simile con i curdi.
Con questo ritorniamo al vecchio atout curdo contro turchi, arabi e persiani. Eppure le potenze occidentali dispongono di altri mezzi per contenere Turchia, Iran, Iraq e Siria. I curdi non faranno una guerra per procura, anche se oggi molti li applaudono come »i – e le – più valorosi e coraggiosi combattenti contro lo Stato Islamico«.
Questo contesto chiarisce anche che oggi non sarà più facile imporre ai curdi come devono vivere. Decideranno da sé sulle loro strutture politiche e sociali.
Autonomia democratica contro centralismo
Ora è molto evidente che i curdi non vogliono più seguire il loro status quo del 20° secolo. Il crollo del piano Sykes-Picot ha di nuovo provocato caos, conflitti e agitazione. Nella regione si sente un grande vuoto politico e sociale. Gli equilibri politici si spostano quasi quotidianamente. Amici diventano presto nemici e nemici amici, infuriano scontri di potere puramente basati su pragmatismo e interessi. Morte, fuga e distruzione di ricchezze ideali e materiali sono una minaccia permanente. Con la criminale banda di IS, diversi Stati possono condurre il loro scontro di potere come una confacente guerra per procura. Questa guerra si concentra soprattutto in due parti del Kurdistan. Sia il Rojava che il Başur [curdo.: »sud«; Iraq del nord] si trovano di fronte a grandi sfide perché IS ha le due basi più importanti a Raqqa nella Siria settentrionale e a Mûsil (Mossul) nell’Iraq settentrionale.
Si vuole disputare la polarizzazione apparente tra il blocco sunnita e sciita sul Kurdistan. Da un lato la Turchia, come forza responsabile nel cosiddetto campo sunnita, presenta rivendicazioni su vuoto politico in Siria e in Iraq, dall’altro lo fa l’Iran per la parte sciita. Dato che entrambi sono impegnati in un’aspra competizione, oggi non gli è più così facile creare un alleanza anti-curda rispetto alla questione curda sollevata artificialmente come pericolo per un intero secolo. E questo anche se la Turchia soprattutto dopo la creazione della Federazione Democratica Rojava – Siria del nord si è spesa molto per rinnovare le sue relazioni sia con l’Iran che con il regime di Assad in Siria. Gli sforzi continuano.
Dal punto di vista della Turchia e dell’Iran, ma anche delle Siria, è comprensibile che nell’attuale caos politico preferiscano lo status quo del 20° secolo con l’aggiunta della riconquista di vecchi territori persi a seguito di Sykes-Picot e Losanna. E soprattutto non sono interessati a condividere parti dei territori dei loro Stati con strutture autonome federali con un’amministrazione curda. Come Stati assolutamente centralisti, per un secolo hanno approfittato dello status coloniale del Kurdistan. Che succederebbe se la Siria perdesse il suo nord ricco di petrolio, gas e acqua cedendolo al Rojava e inoltre il confine con la Turchia come strumento di pressione nei confronti dei turchi? Per la Turchia la situazione sarebbe simile nel caso in cui i curdi in un futuro vicino dovessero allargare gradualmente la loro dichiarata autonomia democratica ad altre città nel Kurdistan settentrionale. Perderebbero molto, non solo il controllo sui due fiumi Eufrate e Tigri che riforniscono di acqua la zona araba, ma anche i confini con Iraq, Siria e Iran. Perché finora la Turchia era considerata bastione della NATO verso oriente/Asia. E con questo perderebbe il suo significato come baluardo contro il temuto Iraq. Ma il Bakur è anche percorso di trasferimento di energia per petrolio e gas verso est e verso ovest. Il movimento curdo quindi negli ultimi anni, soprattutto negli ultimi tre anni del processo di trattative tra il Presidente dell’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK) Abdullah Öcalan e lo Stato turco a Imralı, si è impegnato per smentire queste preoccupazioni. La Turchia continua a non fidarsi dei curdi. Per questo a Sykes-Picot bisogna concedere una cosa: i suoi ideatori con la carta curda sono riusciti ad intimorire gli Stati nazionali creati artificialmente Turchia, Iran e Sira in modo tale che la base per la fiducia sia pari a quasi zero.
Eppure i curdi con l’autonomia democratica nelle zone curde per mezzo decentralizzazione vogliono praticare una soluzione. In realtà ne trarrebbero profitto entrambe le parti. La democratizzazione e decentralizzazione renderebbe possibile ai curdi costruire proprie strutture di governo e offrirebbe a Turchia, Iran e anche alla Siria la possibilità di non dover temere continuamente una secessione. È proprio questa preoccupazione ad aver reso questi Stati strutture incredibilmente militari. Vivere nel tempo con la paura impedisce anche la crescita politica, economica e sociale di uno Stato. Inoltre conduce al fatto che la popolazione entri in un’alleanza di scopo con lo Stato e non si intenda come cittadini liberi dello stesso.
La decentralizzazione significa anche che lo Stato accetta la varietà sociale e la partecipazione politica libera e rende possibile il diritto universale alla libertà di opinione. Detto in parole semplici, se la Turchia non consente questo, allora i cittadini se lo costruiranno da sé. Il Bakur attualmente si trova in un processo di questo genere. L’autonomia democratica in questo contesto significa che i cittadini in opposizione alla privazione di diritti attraverso il centralismo, prendono iniziativa in modo autonomo.
La democratizzazione e decentralizzazione vengono praticati nel Bakur dal 1999, quando i partiti curdi per la prima volta hanno presentato dei sindaci. Da allora i comuni curdi sono comunque guidati da curdi. L’infrastruttura politica e sociale è già stata creata. In materia di amministrazione i curdi dispongono di sufficiente esperienza per gestire città metropolitane o con milioni di abitanti come Van e Amed (Diyarbakır). Da quasi due decenni nel Bakur vengono poste le basi per l’auto-organizzazione e l’iniziativa autonoma dei curdi e con questo anche la prima pietra per l’autonomia democratica.
Dell’esperienza dalla rivoluzione nel Bakur si è servito anche il Rojava e così è stato in grado di costruire la sua infrastruttura in breve tempo nonostante la brutale guerra di IS. Questo significa che la solidarietà tra le parti del Kurdistan ha creato anche una coscienza di sé moderna e nazionale. Curdi imparano da curdi. Lo scambio di esperienze tra le quattro parti del Kurdistan rende possibile che ciascuna parte sia in grado di utilizzare i momenti storici.
Nel Kurdistan meridionale come parte federale dell’Iraq, i curdi dal 1991, ma in particolare dal 2003, hanno imparato ad assumersi la responsabilità del governo di un paese di circa cinque milioni di abitanti.
La destinazione del Kurdistan di un tempo come colonia sia regionale che internazionale, non si può più realizzare in modo così semplice perché la consapevolezza di sé dei curdi a livello politico e sociale è enormemente cresciuta.
Già solo il fatto che sotto la loro guida nel marzo passato è stata proclamata la Federazione Democratica Rojava – Siria del nord, è una rottura con la storia coloniale. A partire da Sykes-Picot fino alle odierne conferenze sulla Siria a Ginevra, le decisioni sui curdi, Kurdistan e il Vicino Oriente sono sempre state prese all’esterno, in occidente. Per la prima volta i curdi insieme ad altri gruppi di popoli e comunità religiose nella propria terra, nel Rojava, hanno fatto uso del diritto all’autodeterminazione.
Né la Turchia, né la Siria sono capaci di misure di democratizzazione. Sono impegnate a restare come sono e vogliono soprattutto mantenere il Kurdistan come loro colonia. L’attuale terrorismo dell’AKP e di Erdoğan non è altro che una reazione alla decolonizzazione del Bakur. Il silenzio dell’occidente su questo terrorismo di Stato è discutibile e fa sospettare che indirettamente legittimi l’AKP e Erdoğan ad addomesticare i curdi riottosi. Perché questi curdi non vanno bene né alla Turchia né all’occidente. Sono certamente ottimi combattenti contro IS, ma anche teste capaci quando si tratta della costruzione di progetti politici alternativi per il Kurdistan e il Vicino Oriente. Naturalmente con questo urtano l’arrogante suscettibilità di coloro che finora hanno definito come »figliastri di Allah«, »turchi di montagna« o »gente del selvaggio Kurdistan« e che con queste attribuzioni volevano vedere in quel ruolo. L’antichissimo popolo per la sua esistenza è sopravvissuto già a parecchi imperi, genocidi, torture, devastazioni, guerre, saccheggi e repressioni.
Per cento anni con la carta curda è stato garantito il caos nel Vicino Oriente e allo stesso tempo impedita la democratizzazione dei quattro Stati chiave. In questo contesto i curdi grazie alle istruttive analisi di Abdullah Öcalan hanno individuato il valore di questa carta curda. Finora la si è potuta trattare solo in modo distruttivo. Ora Öcalan, cento anni dopo Sykes-Picot, è riuscito a far capire ai curdi il significato dell’effetto fino ad ora destabilizzante di questa carta e ad incoraggiarli a voltare pagina. Attraverso la soluzione di questa carta, i curdi cercano di raggiungere la loro libertà e parallelamente a questo democratizzano gli Stati coloniali. Per questo la loro rivendicazione di autonomia è allo stesso tempo una rivendicazione di democrazia per questi Stati. Un sostegno alle rivendicazioni curde o un loro rifiuto darà la misura della serietà della democrazia. Se l’occidente lo capisce, questo processo può svolgersi senza ulteriore spargimento di sangue. Per questo Turchia, Iran e anche la Siria possono essere portati con sistemi politici, diplomatici e legali a riconoscere i diritti dei curdi, ma anche di altri popoli e comunità religiose che hanno sofferto sotto questi regimi.
Una cosa è certa: l’accordo Sykes-Picot del 1916 in Kurdistan è stato superato. Una prosecuzione, che si presenti come GME o in altro modo, non verrà più accettata dai curdi. Il motto è: Bakur libero autonomo – Turchia democratica; Rojava-Siria del nord federale – Siria democratica; Rojhilat [curdo.: »oriente«; Iran nordoccidentale] autonomo –Iran democratico; Başur federale –Iraq democratico. Con questi progetti i curdi elaborano e sviluppano il loro modello contro il progetto Sykes-Picot. E sono sulla buona strada per la riuscita. Con questo danno anche il loro contributo alla trasformazione democratica della regione.
Analisi aggiornata di Nilüfer Koç, co-presidente del Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK)
Kurdistan Report 185 | maggio/giugno 2016