La politica del Presidente Erdogan è anche contro le donne. Ma loro si organizzano. Colloquio con Feleknas Uca-Feleknas Uca è deputata dell’HDP (Partito Democratico dei Popoli) a Diyabarkir.
Questo giovedì a Berlino e Aschaffenburg organizza un’iniziativa sulla politica del Presidente turco Recep Tayyip Erdogan. In quell’occasione vuole parlare della resistenza delle donne contro di lui. Com’è la situazione a Diyabarkir?
Parliamo di una città con oltre un milione di persone che il governo dell’AKP ha fatto distruggere quasi completamente dai militari turchi. In alcune strade ancora c’è il coprifuoco. Gli abitanti non hanno accesso né ai viveri né a farmaci, corrente o acqua. Non possono uscire di casa e nessuno può andare da loro per aiutarli. A Diyabarkir e nelle altre regioni curde nel giro di un anno sono state uccise 1.161 persone, tra cui 108 donne e 107 bambini. Nel quartiere di Sur alcuni sono morti dissanguati perché l’ambulanza non riusciva a raggiungerli. Molti di coloro che sono fuggiti, al ritorno non hanno trovato più la loro casa.
Le donne vengono oppresse anche dove non si combatte?
Erdogan rappresenta il progetto dell’AKP: ogni donna deve avere almeno tre figli. La forza di resistere delle donne deve essere distrutta e vanno impediti sviluppi democratici. Erdogan si arroga il diritto di decidere fino nei minimi particolari il comportamento quotidiano delle donne: come ridono, si vestono, cosa pensano politicamente. Sul mercato del lavoro, nella formazione scolastica, questa discriminazione arriva fino nei centri di accoglienza per i profughi. Le donne che lavorano difficilmente hanno la previdenza sociale, in molti settori vengono mobbizzate perché se ne vadano.
Che aspetto ha la resistenza contro tutto questo?
Le donne in Turchia, soprattutto le curde, da tempo si sono riunione in iniziative e associazioni. Il gruppo delle donne dell’HDP, del quale fanno parte 23 donne, è la prima associazione formata solo da donne nella storia del Parlamento turco. Si riunisce una volta al mese per sostenere i diritti delle donne in Parlamento e nelle commissioni. Per esempio discutiamo su come affrontare gli aumenti di aggressioni sessuali e crimini contro le profughe. O cosa fare in caso di matrimoni forzati di ragazze. Nei quartieri delle zone occupate dai militari turchi nel Kurdistan del nord le donne si riuniscono e si organizzano. Molte coinvolgono uomini nella lotta per la libertà delle donne. Il fatto nuovo è che ci dobbiamo muovere in una situazione di guerra.
Recentemente è stata revocata l’immunità di molti deputati dell’HDP. Anche lei è colpita dal provvedimento?
Già solo la mia partecipazione alla manifestazione per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne il 25 novembre 2015 ha portato alla revoca della mia immunità. A Diyabarkir sono arrivate richieste di questo tipo, ora si procede contro di noi per via giudiziaria. Ci aspettiamo condanne e pene detentive. L’AKP ha deciso di tenere il nostro partito democratico e filo-curdo fuori dal Parlamento. Così porterà la Turchia in una crisi profonda e in un sistema fascista. Chi non la pensa come Erdogan viene punito. Che siano sindaci, artisti, politici, accademici o donne. Ma noi dopo un arresto torneremo.
Lei è ancora in libertà – e in Germania. Spera di avere aiuto dalla Germania? E se sì, da chi?
Al momento con la nostra delegazione stiamo conducendo colloqui con il gruppo della Linke a Berlino che continua a portare la nostra situazione all’attenzione del Parlamento tedesco e di quello europeo. Se in Turchia ai parlamentari viene revocata l’immunità per le loro dichiarazioni e poi vengono incarcerati, questa è un’ulteriore escalation. Questo i democratici di tutti i partiti e le organizzazioni internazionali per i diritti umani non possono accettarlo. Se la cancelliera Angela Merkel avesse posto dei limiti a Erdogan prima, forse non si sarebbe arrivati fino a questo punto.
Intervista: Gitta Düperthal
Jungewelt