Sulla geografia politica della Turchia dopo il fallito tentativo di golpe del 15 luglio. Peter Schaber è autore del Blog ” Lower Class Magazine ” ( lowerclassmag.com ). Su queste pagine ha scritto l’ultima volta il 27 maggio sulla lotta dei peshmerga curdi nell’Iraq settentrionale contro lo “Stato Islamico (IS)”
Quando nella tarda serata del 15 luglio carri armati hanno occupato punti strategici nelle metropoli turche e un »consiglio di pace« ha dichiarato che i militari avevano preso il potere nel Paese, era chiaro: a prescindere da come finirà questo golpe, significherà una cesura nella storia della Turchia. Se i congiurati si fossero imposti, questo – con tutta la retorica »democratica« dei loro proclami – avrebbe significato la costituzione di una giunta militare dittatoriale e con molta probabilità una sanguinosa guerra civile.
Ma hanno fallito. Poche ore dopo l’inizio del colpo di stato il Presidente del Consiglio dei Ministri Binali Yildirim (AKP) ha potuto annunciare che il golpe era stato sventato. Dietro l’azione è stato individuato il movimento Hizmet dell’Imam residente negli USA Fethullah Gülen ed è iniziata un’ondata di arresti e licenziamenti di impiegati statali, la cui dimensione è immensa perfino rispetto alle condizioni turche. Decine di migliaia di soldati, poliziotti, giuristi e insegnanti sono stati licenziati o arrestati. Scuole e imprese mediatiche sono state chiuse, giornalisti indagati.
Il presidente Recep Tayyip Erdogan con il suo modo di governare autoritario ha riconosciuto l’opportunità che gli si offriva. Liste nere preparate già da tempo con oppositori da rimuovere sono ora in lavorazione, un’estesa »pulizia« e ristrutturazione del sistema statale è stata dichiarata apertamente come obiettivo. »Dio e la nazione saranno testimoni che continueremo la lotta fino a quando tutte le organizzazioni terroristiche che infestano questa patria saranno sterminate e le loro radici estirpate«, così il Ministro delle Finanze Nihat Zeybekci. Ma spesso quelli che vengono colpiti non sono affatto simpatizzanti di Hizmet.
Chi conosce la retorica del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi, AKP) al governo e la concezione estremamente ampia di »terrorismo« lo sa: si tratta di indebolire, abbattere o sottomettere qualsiasi opposizione politica. Per questo intento dopo la vittoria contro i militari insubordinati la situazione è positiva come raramente è avvenuto in precedenza. Perché il rifiuto del golpe è stato abilmente trasformato da Erdogan e C. in una mobilitazione di massa per i loro scopi. Nella discussione nata in questo modo, si fanno poche distinzioni. O con noi o contro di noi, è la massima della leadership di Ankara che ora si presenta come salvatrice della »democrazia« e della »nazione«.
Unità nazionale …
Il tentativo della leadership dell’AKP avviato con il golpe di soggiogare del tutto l’apparato dello Stato tuttavia non punta solo sulla repressione. Certamente una parte importante è costituita dalla rigorosa repressione e disattivazione violenta di oppositori, allo stesso tempo però il partito di Erdogan nel caos post-golpe cerca di formare nuove alleanze. Da una posizione politica di forza si avvicina al Partito Popolare Repubblicano (Cumhuriyet Halk Partisi, CHP) e al Partito del Movimento Nazionalista (Milliyetci Hareket Partisi, MHP) per avviare, a fronte della »minaccia per l’intera nazione«, una nuova fase di riconciliazione tra i tre partiti.
Recep Tayyip Erdogan e il Presidente del CHP Kemal Kilicdaroglu hanno ritirato le reciproche denunce; il Presidente del Consiglio dei Ministri Binali Yildirim ha invitato CHP e MHP per colloqui. Erdogan come Yildirim hanno ritirato migliaia di querele per – come ha detto il Presidente del Consiglio dei Ministri –un »nuovo inizio, aprire una nuova pagina e porgere la mano a tutti nel partito di governo, come nelle frazioni dell’opposizione«. Per il 7 agosto il capo di stato ha invitato personalmente i leader dei due partiti a una manifestazione comune a Istanbul – un gesto fino a poco fa impensabile. Yildirim, andando incontro al CHP kemalista, ha perfino sostenuto l’ardita tesi che »nessun cospiratore è atatürkista o kemalista. Non fanno parte delle forze armate, non vengono nemmeno dal nostro Paese.«
Certamente continua a esserci critica reciproca tra AKP, MHP e CHP, ma si può ben sostenere: così vicini come ora i tre non lo erano da tempo, ammesso che lo siano mai stati. La strategia è evidente. La leadership dell’AKP porta avanti una politica accorta, lascia ai partiti di opposizione l’occasione di una subordinazione volontaria. Solo con la repressione non si può regnare, serve la costruzione di un’egemonia.
Inoltre »l’atmosfera positiva« tra le tre organizzazioni nazionaliste è una concessione a parti del capitale che si stanno innervosendo e che nell’aumento dei conflitti disputati in armi vedono un peggioramento del clima per gli investimenti. La nuova unità viene da loro valutata positivamente: il capo turco di Microsoft Murat Kansu per esempio ha preso parola con la dichiarazione citata il 28 luglio ripresa dall’agenzia stampa statale Anadolu, dicendo che la ricerca di consenso prodottasi dopo il tentativo di golpe è preziosa a livello di politica dei partiti: »Questo rafforzerà molto l’economia turca contribuendo alla stabilità politica.« Toni simili vengono dal settore finanziario. »Ora sta a noi assumerci responsabilità e dare ai media un ruolo centrale nella vanificazione del golpe«, ha promesso il capo della banca Is, il grande istituto di credito della Turchia, Adnan Bali.
… senza curdi e sinistra
Si nota al primo sguardo: ai diversi incontri di »tutti i partiti« non era invitato il terzo partito della Turchia, Halklarin Demokratik Partisi (Partito Democratico dei Popoli, HDP), di sinistra e filo-curdo. E: anche se Erdogan ha ritirato tutte le sue denunce per calunnia, da questa amnistia privata ha escluso esplicitamente tutti i componenti dell’HDP.
Già prima del tentativo di golpe la leadership dell’AKP aveva deciso di mettere il Partito Democratico dei Popoli fuori dalla vita politica. Dozzine di funzionari erano stati arrestati, le immunità dei deputati nella Grande Assemblea Nazionale revocate. L’obiettivo è la criminalizzazione della spiacevole organizzazione che con il suo successo elettorale nel giugno 2015 ha inflitto un duro colpo al partito di governo.
L’obiettivo è l’HDP – e con esso il movimento di liberazione curdo vicino al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) fuori legge nel suo complesso – attualmente il pericolo più grande per l’AKP. Non solo perché la guerriglia infligge grandi perdite all’esercito turco e alla polizia, ma anche perché qui viene proposta l’alternativa a neoliberismo, islamizzazione e autoritarismo e con questo ci si può ricollegare alle esperienze delle proteste di massa di Gezi del 2013 nella Turchia occidentale. All’epoca le proteste contro un progetto edilizio in un parco di Istanbul si erano ampliate creando in un largo movimento di protesta contro il modello di governo autoritario e neoliberista di Erdogan; anche la sinistra politica vi ha svolto un ruolo significativo.
Analogamente a come fa ora l’AKP, anche il movimento curdo ancora prima del golpe ha tentato di coinvolgere nel suo progetto altri partiti oltre le tradizionali divisioni. Si perseguiva un’alleanza con tutte le forze democratiche, compresa la »la sinistra, la parte socialdemocratica« del CHP, come aveva esplicitato Bese Hozat, co-presidente della KCK (Unione delle Comunità del Kurdistan), l’organizzazione di riferimento del PKK in un colloquio con junge Welt il 21 maggio.
Il ruolo del kemalismo
Ma per questo blocco democratico dopo che è stato stroncato il tentativo di golpe militare, le cose sono messe peggio di prima. Perché l’ala sinistra del CHP per via del prevalere dello spirito patriottico è diventata invisibile.
Ci sono ragioni per questo che sono da ricercare nella dinamica interna del Partito Popolare Repubblicano. Dato che si ricollega all’antenato della Turchia moderna, Mustafa Kemal Atatürk, si considera come »partito fondatore della nazione«. Lontano dall’aver mai avuto effettivamente aspirazioni socialiste, sull’onda degli anni ‚60 si è però sviluppata un’ala sinistra. A volte si è servita e si serve di una retorica assolutamente socialdemocratica.
Ma è rimasto dominante il paradigma nazionalista. »Nonostante il fatto che la socialdemocrazia dell’Europa occidentale nella fase iniziale è stata considerata un modello, oggi il risultato ne è molto distante – in particolare per quanto riguarda l’orientamento organizzativo e ideologico del CHP«, ha scritto il politologo Yunus Emre.
Emre, che nel suo libro pubblicato nel 2013 »Sosyal Demokrasi ve Sol: Türkiye’de Sosyal Demokrasi’nin Kuruluş Yılları 1960-1966« indaga la storia dell’ala socialdemocratica del CHP, sostiene la tesi che il Partito Popolare Repubblicano alla fine si è sempre deciso per un’impostazione politica basata sulle classi e di »identità politica« che si basava su due pilastri: »nazionalismo turco contro impostazioni politiche curde e laicità contro islamismo.«
Fino ad oggi esiste solo una minoranza socialdemocratica all’interno del CHP. Ma dopo le dimissioni di Deniz Baykals nell‘anno 2010 con il nuovo capo del partito Kemal Kilicdaroglu, la questione sociale ha di nuovo svolto un ruolo un po’ più rilevante. Allo steso tempo il nazionalismo e il laicismo sono rimasti i temi decisivi nel partito.
E l’isteria in ampie parti della società dopo il tentato golpe si è diffusa anche nel CHP. La sua ala socialdemocratica ora è marginalizzata, il Cumhuriyet Halk Partisi si mette al »servizio della nazione« e così tendenzialmente dalla parte di Erdogan.
Nella situazione di nuovo ordine succeduta ai drastici eventi, oggettivamente per l’opposizione politica sono aperte solo due strade: o la formazione di una nuova alleanza per la democratizzazione della Turchia oltre le linee di divisione tradizionali tra gruppi kemalisti, socialisti e curdi nell’ambito di un »blocco democratico«. O la subordinazione dei due maggiori partiti di opposizione CHP e MHP all‘AKP al governo nell’ambito di un »blocco di unità nazionale«. Tutti gli indizi indicano che sarà quest’ultimo a formarsi.
Appare assolutamente realistica la valutazione del co-presidente dell’HDP Selahattin Demirtas, che sembra più pessimistica rispetto a precedenti dichiarazioni: »Anche noi siamo favorevoli al fatto che ci unisca. Ma la base per una simile unione è importante. Un’alleanza che si basa sul rivolgersi al passato, sul nazionalismo e il fascismo, non aiuta nessuno. AKP, CHP e MHP vogliono creare un’alleanza del genere«, ha spiegato il politico il 28 luglio in un colloquio con il WDR. Attualmente per questi motivi non sono previste azioni comuni con il CHP.
Fare il bagno nel sangue
L’egemonizzazione della discussione da parte della retorica ultranazionalista inoltre rinvigorisce forze islamiste ed elementi mafiosi fascisti. Così durante »presidi per la democrazia« per i quali hanno fatto appello i vertici dello Stato, sulla piazza Taksim a Istanbul si sono visti manifesti con il nome »Sedat Peker«. Sedat Peker – condannato anche in Turchia per diversi reati, ma sempre rilasciato dopo brevi periodi di carcerazione – fa parte dei più noti esponenti fascisti della Turchia. La sua organizzazione mafiosa ha collaborato più volte con lo Stato contro la sinistra, per lungo tempo ha intrattenuto contatti con i »Lupi Grigi« fascisti. Oramai Peker si professa seguace di Erdogan. Agli oppositori del Presidente all’inizio del 2016 ha detto: »Faremo il bagno nel vostro sangue.« Dal tentativo di golpe richiama nelle piazze migliaia dei suoi seguaci.
A Erdogan si è avvicinato anche il partito ultranazionalista Vatan Partisi (Partito della Patria). Il gruppo che si spaccia per »socialista« e »anti-imperialista« che già prima del 15.7. mostrava forti tratti fascisti, nel clima sociale che si è determinato vede la possibilità di avere maggiore ascolto per le sue posizioni.
Con le manifestazioni di massa sono diventati visibili anche gli jihadisti di diverse associazioni islamiste, da Milli Görüs fino simpatizzanti delle Brigate Abdulhamid che combattono in Siria, o gli » Hizbullah turchi« organizzati nel sudest del Paese – un gruppo sunnita che non ha alcun legame con il partito e la milizia sciiti Hezbollah in Libano. Hanno riempito le strade con slogan religiosi e hanno costituito il sostegno più forte del governo nelle ore critiche del golpe.
Tutte queste forze possono contrare sul fatto che ora verranno ricompensate con posti all’interno dell’apparato dello Stato. Quando il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo di Erdogan all’inizio degli anni 2000 è arrivato al potere come prima forza dell’Islam politico, non aveva abbastanza funzionari capaci per occupare tutti i posti. Per questo ha agito insieme al movimento Gülen caduto in disgrazia alcuni anni fa e ora dichiarato nemico principale. Con le »purghe« attualmente in corso nell’esercito, nella polizia, nella burocrazia e nel settore scolastico si creano posti vuoti che l’AKP deve riempire al più presto.
In questo contesto è sorprendente anche il dibattito sulla riabilitazione di militari, giornalisti, politici e imprenditori condannati nei due più grandi processi contro i »congiurati«. Nell’ambito del processo contro la presunta organizzazione clandestina nazionalista Ergenekon e i responsabili di un ipotetico piano di colpo di stato di alcuni militari venuto alla luce nell’anno 2010 con la parola chiave Balyoz (mazza da fabbro) durante il mandato dell’AKP centinaia di persone sono state arrestate per il tentativo di far cadere il governo. Ora potrebbero essere riattivate – da un lato come concessione all’ala nazionalista del CHP, dall’altro per riempire vuoti nell’apparato dello Stato.
Cambio di linea in politica estera?
Alla ristrutturazione in politica interna corrisponde un aumento delle tensioni in politica estera. Fethullah Gülen, la presunta mastermind dietro il tentativo di golpe viene considerato – non solo dall‘AKP – un tirapiedi degli interessi statunitensi ed europei. Quest’accusa (per altro difficile da smentire) porta al fatto che a Washington viene imputata una partecipazione diretta nei preparativi del tentato golpe.
Il pubblicista vicino al governo Melih Altinok, ha scritto di aver sostenuto per molti anni come giornalista la »comunità internazionale e progetti della società civile come l‘UE«. »Ma man mano ho iniziato pensare che le semplici teorie morali dei nazionalisti sono vere: Gli USA, l’Europa, l’occidente, sono nostri nemici. Parlano con noi, ma sostengono sempre i nostri nemici.«
La citazione rispecchia un sentimento molto diffuso. Il Presidente Erdogan e il Premier Yildirim hanno accusato apertamente l’occidente di sostegno del »terrorismo« e cercano di rappresentarsi come propugnatori di una Turchia indipendente dalle influenze esterne.
Ma i conflitti di interesse tra gli USA e il loro tradizionalmente più importante alleato nella regione già prima del 15 luglio erano diventati sempre più forti. In Siria gli Stati Uniti da ultimo avevano avuto sempre meno riguardi per lo stato d’animo di Ankara. La conquista della città siriana di Manbij attualmente in corso da parte di forze curde e forze arabe alleate con loro, per lungo tempo è stata una linea rossa per Ankara. Tuttavia gli USA hanno appoggiato attivamente le milizie vicine alle YPG (Unità di Difesa del Popolo) in questa avanzata. Ankara accusa le YPG di avere stretti rapporti con il PKK.
Ciononostante il bellicismo è potuto restare temporaneo. I collegamenti tra l’occidente e la Turchia hanno una lunga tradizione che ha superato molte crisi. Gli intrecci economici, politici, di servizi segreti e militari, sono così sviluppati che una rottura completa, che significherebbe anche un’uscita di Ankara dalla NATO, sembra piuttosto improbabile. Ma: Erdogan e Yildirim potrebbero sfruttare la situazione tesa per alzare il tiro e strappare concessioni agli alleati.
Nuova Turchia
Erdogan non ha mai fatto mistero del fatto che entro il giubileo della fondazione della Turchia nel 2023 persegue la formazione di una »nuova Turchia«. Oltre i proclami ufficiali su questa »visione 2023« gli obiettivi sono chiari: un regime accumulatore neoliberista, vicino al capitale, un sistema presidenziale autoritario, ritagliato sullo stesso Erdogan; una strisciante revoca delle tradizioni laiche del Paese e l’islamizzazione della società attraverso una pressione statale e sociale e alla fine un posizionamento come potenza regionale con proprie aree di influenza.
Il fallito tentativo di golpe ha messo nelle mani della leadership dell’AKP i mezzi per accelerare questo processo. Nondimeno il nuovo schieramento di rapporti di forza per il partito di governo non è solo un’opportunità, ma allo stesso tempo una sfida difficile da superare. Le contraddizioni tra le forze che ora si sono radunate sotto il motto della »difesa della nazione« non sono scomparse. La gestione degli interessi effettivamente contrapposti tra laici-nazionalisti e islamisti, anche per il politico di potere Erdogan sarà un compito sfidante.
Per la sinistra rivoluzionaria – e indipendentemente dal fatto che sia o meno pro-curda – il furore nazionalista e le sue conseguenze politiche in ogni caso significheranno maggiore pressione rispetto a quella che comunque già regnava negli anni dopo Gezi. Chi non vuole partecipare nella grande unità »patriottica« verrà marchiato come traditore della patria.
La caccia ai seguaci di Gülen ne offre tutte le possibilità: La scorsa settimana a Dersim è stato sospeso lo scienziato di sinistra Candan Badem. »Sono ateo e marxista. Come vogliono fare a rappresentarmi come seguace di Fethullah Gülen?« ha chiesto Badem. La risposta è arrivata prontamente: dato che nella sua biblioteca è stato trovato un libro di Fethullah Gülen, Badem è stato arrestato. A Istanbul una collaboratrice del quotidiano socialista Evrensel, Hazal Ölmez, è stata malmenata in mezzo alla strada. Perché si vestiva in modo così »peccaminoso« hanno chiesto gli aggressori. »Sei una seguace di Gülen«
Chi sia gülenista ora lo decidono gli autonominati »eroi della nazione«. La sinistra rivoluzionaria presto dovrà ricorrere a misure protettive contro queste violenze. E dovrà farlo oltre i confini del partito.
di Peter Schaber
Junge Welt