Appelli

Appello delle donne di Rete Kurdistan a sostegno del Rojava 

L’esperienza democratica di successo che donne e uomini stanno da tre anni costruendo in Rojava è oggi a rischioper via dell’invasione del nord della Siria da parte dell’esercito turco, avvenuta la mattina del 24 agosto attraverso l’occupazione della città di Jarablus.

In questi anni, nel Nord della Siria e in particolare nella regione autonoma del Rojava, abbiamo seguito e supportato la crescita di un esperimento di democrazia diretta che si è posto come alternativa agli Stati-Nazione, al regime di Assad e alle forze dell’Isis, e che ha posto al centro del suo modello di società la liberazione e l’organizzazione autonoma delle donne in ogni ambito della vita come condizione primaria e necessaria per una trasformazione sociale e per uno sviluppo di convivenza pacifico per tutto il Medio Oriente.

Un progetto di democrazia diretta che si è mostrato al mondo con evidenza negli anni più recenti, ma che è in realtà radicato nella storia di quarant’anni di movimento, lo stesso che ha portato nel 2005 alla dichiarazione di Abdullah Öcalan del modello sociale del confederalismo democratico.

Con la liberazione della città di Manbij lo scorso 12 agosto ad opera delle Forze Democratiche Siriane, è iniziata una fase di consolidamento e ampliamento dell’esperienza democratica del Rojava: solo pochi mesi fa il sistema basato sul confederalismo democratico si è esteso oltre i tre cantoni del Rojava, portando avanzamenti per il progetto di convivenza pacifica tra popoli nella parità di genere, principi espressi non solo formalmente nella Carta del Contratto Sociale ma messi effettivamente in pratica ogni momento nei territori liberati, in ogni ambito della società.

Tutti i media occidentali hanno dato grande rilievo alla reazione immediata delle donne che sono scese in strada liberandosi dalle costrizioni imposte dall’ ISIS che le voleva completamente segregate in casa, mute e sconfitte. Ora però tacciono di fronte all’ingresso di forze islamiste e jihadiste che hanno l’intento di imporre nuovamente con la violenza condizioni di oppressione.

La guerra che la Turchia sta muovendo con l’invasione della Siria, oltre a violare il diritto internazionale e le regole di belligeranza previste per i Paesi NATO, pone una preoccupazione crescente nei confronti delle politiche del regime dittatoriale post-golpe di Erdogan contro cui è quanto mai ora necessario alzare la propria voce esprimendo la più forte opposizione.

Erdogan ha in questi mesi intensificato a dismisura il livello di repressione interno alla Turchia, con la distruzione di intere città curde in Bakur (Kurdistan del Nord), e con le migliaia di arresti (ricordiamo per esempio la detenzione della Madre della Pace 83enne Dılşah Özgen ad Amed in Turchia) e ha apertamente dichiarato più volte di volere la totale subalternità delle donne che dovrebbero secondo le sue dichiarazioni restare chiuse in casa con l’obbligo di fare almeno tre figli.

D’altro canto ha potenziato la politica di offensiva militare in Siria, supportata attraverso alleanze con le potenze internazionali e con la partecipazione diretta di bande di mercenari islamisti, e realizzata con il silenzio dell’opinione pubblica mondiale.

L’occupazione militare di Jarablus in Siria è avvenuta con l’appoggio degli Stati Uniti ed è stata preceduta da un’attentato di Daesh contro l’HDP con il presumibile supporto dei servizi di Intelligence turca durante un matrimonio curdo ad Antep in Turchia. L’occupazione di Jarablus viene condotta con il pretesto di combattere l’Isis, ma è proprio in accordo con le stesse forze dell’Isis che viene portata avanti: non è avvenuto infatti alcuno scontro sul campo dopo l’invasione dell’esercito turco.

Dopo l’occupazione della città, l’esercito turco sta ora bombardando i villaggi, compiendo fra l’altro un massacro a Bir El-Kûsa, a 13 km dal fiume Sacur.

La Turchia sta trovando appoggio sia dal regime di Assad, sia dall’Iran, sia dalla Russia. Le alleanze tra le potenze internazionali e le politiche di Erdogan non possono far altro che favorire gli spietati interessi strategici degli stati, aprendo pericolosamente le frontiere a nuove azioni fasciste di destabilizzazione dei gruppi di Daesh su più fronti, senza esclusione dell’Europa, cha anche ha assistito in un assordante silenzio all’invasione turca in Siria.

Riconosciamo come questa dichiarazione di guerra sia di fatto una guerra contro i valori universali di umanità e democrazia globale messi in pratica dall’alternativa curda e supportata dalle forze di autodifesa del Consiglio di Manbij e di Jarablus, e riconosciamo come l’aggressione genocida dello stato turco di Erdogan sia volta a distruggere i diritti conquistati dalla lotta delle donne nei territori liberati in Siria e nelle città curde al sud della Turchia. La guerra fascista di Erdogan, alleata del jihadismo, mostra chiaramente al mondo i suoi intenti di sopraffazione e di genocidio politico e culturale, di regime patriarcale, di oppressione dei generi, di gerarchia e di dominio: è una guerra condotta contro i popoli e contro le donne che in quei territori non hanno mai smesso di portare avanti la loro lotta per la democrazia e per l’intera umanità.

Non è più possibile stare a guardare in silenzio. Contro questa cinica aggressione richiamiamo a nuovi paradigmi di solidarietà.

Il nostro solidale appoggio va alle Forze Democratiche della Siria e alle Unità di Difesa del Consiglio Militare di Manbij che stanno conducendo le loro battaglie contro l’illegittima e odiosa occupazione dello stato turco in Siria.

Il nostro appoggio incondizionato va alle organizzazioni autonome e alla lotta di liberazione delle donne.

Donne Rete Kurdistan

29 Agosto 2016

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