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Kurdistan

La guerra turca contro i curdi – analisi attuale della situazione (1)

La visita in Iraq del Presidente del Consiglio dei Ministri Binali Yildirim a Bagdad e Erbil all’opinione pubblica è apparso come uno scambio. La Turchia deve ritirare i suoi soldati da Bashiqa (Mosul). In cambio Bagdad e Erbil dovranno spingere il PKK fuori da Sinjar (Shengal). La delegazione turca per questo ha messo sul tavolo tre opzioni: primo – “voi combattete il PKK”; secondo – “noi operiamo insieme“; terzo – se non si possono fare entrambe cose, allora lo facciamo noi con il nostro esercito.

Con questo piano di battaglia il Presidente del Consiglio dei Ministri turco Yildirim il 7 e 8 gennaio ha visitato Bagdad e Erbil. Le priorità che Yildirim ha esplicitato nelle conferenze stampa congiunte con Abadi e Barzani erano focalizzate sul PKK. La collaborazione economica era in secondo piano. Quello che è stato infiocchettato diplomaticamente in queste conferenze stampa, dal punto di vista politico nel concreto significa: se combattete contro il PKK io vi aiuto nei vostri problemi economici. A questo è seguita anche la nota minaccia: se non solo fate, combatterò il PKK a Sinjar con il mio esercito. Ma nella realtà, la politica non è così semplice come è stata rappresentata nelle conferenze stampa a Bagdad, Erbil e Ankara tra Binali Yildirim, Haydar al-Abadi e Masoud Barzani. Perché nessuno dei tre può trasformare le sue parole in fatti, dato che tutti devono combattere con problemi sia di politica interna che estera e tutti al momento devono combattere con problemi di politica interna che quella estera e sono sovraccarichi sia dal punto di vista economico che militare. Lo Stato irakeno, così come quello turco, si trova in una crisi di sistema. E anche il Governo Regionale curdo in Iraq deve combattere con una profonda crisi politica.

Trio dei deboli

Per questo al momento né Bagdad né Erbil possono aiutare la Turchia, anche se volessero farlo. Perché essi stessi devono ricorrere ad aiuti. La Turchia a sua volta e neanche la Turchia attualmente è in grado di dare sostegno a qualcuno.  Le cause dei problemi attuali in Iraq e in Turchia a un primo sguardo possono sembrare di natura politica. Ma in effetti si tratta di una crisi di sistema. Derivano dai modelli di Stato dei due Paesi. Per questo da ogni angolo diventano più forti le grida che invocano nuovi modelli di amministrazione. E né a Bagdad né agli USA con l’offensiva congiunta di liberazione su Mosul riesce a rafforzare lo Stato Iraq. Il problema va più in profondità.

Il modello in Iraq, che è stato messo in piedi dagli USA insieme agli arabi sciiti e sunniti, nonché ai curdi, continua a perdere di significato. L’auspicata ripresa dello Stato attraverso la liberazione di Mosul non è molto promettente, dato che la questione su cosa succederà dopo la liberazione militare resta ancora irrisolta. Mentre Bagdad insiste sulle vecchie strutture a Mosul, i popoli minacciati da IS cercano altre soluzioni. Tutti loro, che siano cristiani, o curdi yezidi o curdi Shabak, turkmeni sciiti- sunniti, ecc., cercano il diritto all’autodeterminazione. La richiesta di decentralizzazione dello Stato dell’Iraq diventa sempre più forte. Anche i curdi nel nord dell’Iraq chiedono più indipendenza.

Anche la Turchia deve combattere con le stesse sfide. La vecchia repubblica sta scoppiano. Primi tra tutti a spingere per un’autonomia democratica, ossia una decentralizzazione dello Stato, sono i curdi. La risposta dell’AKP è di trasformare lo Stato in un sistema a un solo uomo, ossia in una dittatura. Per questo AKP/Erdogan hanno disegnato una nuova costituzione che attualmente è in discussione nel Parlamento turco. E i tutori di Atatürk prendono la parola e proclamano la loro sfiducia in proposito.

Sia la Repubblica turca che l’Iraq federale hanno bisogno di un sistema democratico. Le dottrine basate su Stati Nazione pan-arabi o pan-turchi non hanno futuro. La guerra di IS ha capovolto l’idea del sistema degli Stati Nazione secondo Sykes-Picot e Losanna. I popoli e le comunità religiose della regione chiedono sicurezza, libertà e democrazia, cose che questi Stati non sono in grado di offrire.

Un dilemma politico simile lo vediamo anche nella zona autonoma curda in Iraq. La crisi di sistema nella KRG si esprime nella miseria economica. I problemi interni non raggiungono tanto l’estero, dato che per via delle quasi quotidiane visite diplomatiche di alto rango dall’estero vengono messe in secondo piano. Già da tempo la gente in Kurdistan non chiede uno Stato curdo, ma chiede pane e democrazia. Il divario tra ricchi e poveri cresce di giorno in giorno. Qui si è creato un Kurdistan che è caratterizzato da due classi: i ricchi e i poveri. I ricchi allo stesso tempo sono anche i governanti. Negli ultimi anni attraverso la propagazione di uno Stato indipendente credevano di poter distrarre le persone dai problemi sociali esistenti. A parte i governanti, nessuno nel territorio autonomo curdo parla di uno Stato curdo.

Per molto tempo il PKK è stato rappresentato mediaticamente come oppositore dello Stato dei curdi. Ma questo non ha dato frutti, dato che il PKK ha dichiarato di non immischiarsi nella politica interna del KRG (Kurdistan Regional Government). Ha invece proposto di discutere tra le altre cose anche di questo tema in un Congresso Nazionale del Kurdistan.

La fondazione di uno Stato dei curdi è stato un sogno dei curdi durato secoli. Ma ora le persone nel territorio autonomo del Kurdistan del sud vedono che con la fondazione di un proprio Stato i problemi non sono risolti. La domanda che viene posta è, se questo Stato propagandato con l’attuale stile di comando abbia la possibilità di assumere un carattere democratico? Anche questo sogno purtroppo è diventato vittima della politica di dominio curda in Iraq.

L’aiuto dei bisognosi di aiuto

Le promesse di Binali Yildirim nei confronti del KRG che la Turchia aiuterà il KRG a superare la crisi economica, non è altro che una farsa. I fatti reali dell’economia turca dimostrano il contrario. Per via della crisi politica, anche gli investitori stranieri si ritirano dalla Turchia. Il turismo è a terra. La Lira turca continua a perdere valore. Il ceto medio, che finora è stato sostenuto dall’AKP con le risorse statali, presto non avrà più questa opportunità e si farà sentire. Non è giusto credere che la “maggioranza“ della popolazione turca sostiene l’AKP per motivi ideologici. Piuttosto c’è una dipendenza economica reciproca. Durante il suo governo l’AKP ha instaurato in modo diffuso una politica di dipendenza economica. Un tempo questo passava sotto il nome di “politica economica verde“. Il verde qui vuole rappresentare l’Islam.

A questo si aggiunge il corso di guerra totale dell’AKP. La guerra è costata al Paese molto dalle casse dello Stato. La Turchia conduce una guerra in Siria, Iraq e tende le sue braccia verso altri Paesi del Vicino Oriente e del Nord Africa. Questo costa caro al Paese. In questo contesto la promessa di Binali Yildirim di voler aiutare il KRG o Bagdad attraverso la collaborazione economica, è solo di natura verbale. La Turchia stessa ha bisogno di aiuto.

Ma anche dal punto di vista miliare né la Turchia né quelle forze alle quali la Turchia ha chiesto aiuto, quindi Erbil e Bagdad, hanno la capacità militare di condurre una guerra di successo contro il PKK. L’esercito turco dopo il fallito golpe del 15 luglio ha perso la sua motivazione per combattere. Migliaia di appartenenti all’esercito si trovano in carcere. Molti se ne sono andati all’estero. Da ultimo è attraverso un decreto con carattere di legge (KHK) al capo di stato maggiore Hulusi Akar, quindi il più alto esponente militare dell’esercito turco, sono state strappate le sue competenze che sono state passate a Erdogan.

A causa della sua debolezza militare, la Turchia anche in Siria si è vista costretta a rinunciare ad Aleppo e a concentrarsi contro i curdi nel nord della Siria. Quelli che finora hanno combattuto la guerra per procura turca in Siria, come l’Esercito Siriano Libero, Al Nusra e Ahrar al-Sham ad Aleppo si sono sentiti traditi e venduti dalla Turchia, motivo per cui oggi non possono più combattere a al Bab (Siria del nord) come si desiderava. Per questo ora l’esercito turco combatte sul fronte più avanzato e deve accettare grandi perdite nelle proprie file. È quasi impossibile procedere con un esercito convenzionale contro IS o altre bande del genere, dato che questi seguono tattiche di guerra asimmetriche. Ciononostante la Turchia impegna tutta la propria forza ad al Bab, solo per impedire che i curdi qui aprano un corridoio tra i cantoni di Afrin e Kobane.

Ma anche l’esercito irakeno con tutte le unità speciali della milizia sciita, dallo scorso ottobre a Mosul si trovano in una strada senza uscita. Hanno subito pesanti perdite, cosa che ha avuto come conseguenza la perdita della motivazione a combattere dei soldati. Queste perdite si creano nonostante il generoso aiuto dagli USA e dall’Iran. Ma anche i Peshmerga del KDP, nonostante generosi aiuti dall’estero, non riescono a raggiungere gli obiettivi sperati.

Nilüfer Koc, Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK)
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