Nella sua visita a Bagdad e Erbil il Presidente del Consiglio turco ha proposto ai suoi ospiti un mercato delle vacche: datemi Sinjar (Shengal) e io ritiro le mie truppe da Bashiqa. Che la Turchia non si sarebbe ritirata tanto facilmente dal territorio irakeno, era chiaro. Perché Mosul per la Turchia un significato strategico e storico. Fino al crollo dell’impero ottomano, l’Iraq era diviso nei tre vilayet ottomani Mosul, Basra e Bagdad. Il territorio di Mosul all’epoca comprendeva tutte le zone di insediamento curde nell’attuale Iraq. Sia per la Turchia che per la Gran Bretagna, Mosul era una zona strategica, motivo per cui la sua spartizione non è avvenuta nelle quattro conferenze di Losanna nel 1923, ma è stata decisa solo con la diplomazia speciale tra turchi e britannici. Solo nel 1926 Mosul è stata consegnata da Ankara all’Iraq con un contratto. La Turchia fino ad oggi non lo ha digerito. Erdogan e l’AKP quindi hanno dichiarato come loro obiettivo strategico rendere questa zona parte della Turchia entro il 2023. A questo scopo l’AKP ha esplicitamente elaborato una mappa per la Turchia del 2023. Su questa mappa si vedono quelle che un tempo erano le province ottomane di Aleppo (Siria) e Mosul (Iraq). Aleppo in questo contesto significa l’intera regione Siria del nord /Rojava. Mosul significa tutto il Kurdistan irakeno. Nel 2023 l’accordo di Losanna avrà 100 anni e secondo affermazioni turche dovrà perdere la sua efficacia. Considerata da questo punto di vista, la promessa del Presidente del Consiglio turco non corrisponde a verità. Yildirim ha dichiarato all’opinione pubblica mondiale nella sua conferenza stampa del 7 gennaio a Baghdad, “la Turchia prenderebbe in considerazione di ritirare le sue truppe da Bashiqa “. Anche il Presidente del Consiglio irakeno ha accennato che la Turchia glielo avrebbe assicurato. Ma solo cinque giorni dopo la visita di Yildirim il Ministro della Difesa turco Fikri Isik ha dichiarato che la Turchia si ritirerà da Bashiqa solo quando Mosul sarà liberata.
Da Aleppo a Mosul
Dopo la sua sconfitta ad Aleppo nel dicembre dello scorso anno, la Turchia si concentrerà su Mosul. La Turchia può motivare la sua presenza nell’Iraq del nord con la capacità di combattere IS a Mosul. Con la sua offerta “Sinjar contro Bashiqa“ Binali Yildirim ha effettivamente cercato di prendere due piccioni con una fava. Vuole cacciare il PKK da Sinjar per mettere la regione sotto il proprio controllo e così controllare l’intera zona di confine del Rojava/Siria del nord. E anche se Iraq e KRG dovessero cedere su questo alla Turchia, è poco probabile che l a Turchia rispetti la sua parte dello scambio e si ritiri da Bashiqa. Quantomeno questo non è pensabile con questo AKP e la sua mappa per il nuovo regno turco per l’anno 2023.
E anche in questo sta la ragione per la quale lo Stato turco attualmente si sta trasformato in modo così rapido in una dittatura. Analogamente a quanto avviene in altre dittature, Erdogan crede di poter rinsaldare e trasformare lo Stato turco attraverso la dittatura di un solo uomo in qualcosa di più controllabile per compiere in questo modo l’espansione entro il 2023. La guerra contro i curdi, e soprattutto contro il PKK, viene condotta per le stesse ragioni. Perché le forze curde rappresentano l’ostacolo più difficile per l’espansione del sognato regno turco. E sicuramente in questo l’osso più duro è rappresentato dal PKK.
Inoltre gli yezidi a Sinjar con l’aiuto del PKK sono riusciti a costruire le proprie forze di difesa. Inoltre dopo l’attacco di IS nell’agosto 2014 hanno costruito anche proprie strutture amministrative. Sinjar è lo spazio vitale degli yezidi. E anche loro non si arrenderanno alla Turchia. Inoltre hanno la garanzia del PKK che in caso di emergenza starebbe al loro fianco. Gli yezidi di tutte le sfumature politiche credono nel PKK, dato che li ha salvati. Inoltre apprezzano la politica di „aiuto per l’auto-aiuto“ del PKK. Questo significa che il desiderio della Turchia di ripulire la regione i Sinjar dal PKK per stabilirvisi essa stessa, non è così facilmente realizzabile nemmeno con l’aiuto di Bagdad.
Lotta dei dominatori contro lo spirito del tempo
E poi c’è anche la questione di Mosul. La Turchia è solo uno di diversi attori che allungano i propri tentacoli sulla città. E anche se diversi attori nella missione di scacciare IS da Mosul si sono messi insieme, non c’è unità tra loro su come dovrà andare avanti la città dopo IS.
Mosul con le sue molte comunità etniche e religiose è come una versione dell’Iraq in piccolo. Per questo la ricerca di una soluzione per il futuro di questa città comporta anche una messa in discussione su come è stato amministrato l’Iraq fino ad ora. Sinora l’Iraq è suddiviso in 19 Gouvernements. La regione autonoma del Kurdistan ne ospita quattro. Anche se nella Costituzione irakena, democrazia e pluralismo sono scritti in maiuscolo, finora questo è stato valido per i tre grandi gruppi sociali del Paese: i curdi, i sunniti e gli sciiti. Dopo che IS il 9 giugno 2014 ha attaccato la regione di Mosul, soprattutto gli sciiti turkmeni, i cristiani, gli yezidi e i curdi Shabak sono stati le loro prime vittime. Il trauma dell’esperienza ha costretto questi gruppi a prendere in mano da sé il loro diritto all’esistenza. Oggi perorano una soluzione che vada oltre la regolamentazione dei Gouvernements. Così ad esempio i cristiani chiedono per la regione di Ninova un’autonomia cristiana con una propria difesa, istruzione, ecc. Gli yezidi che vivono a nord di Mosul nella regione di Sinjar, vogliono il loro proprio esercito, amministrazione, istruzione, ecc. Gli sciiti turkmeni nella zona di Tel-Afar chiedono lo stesso. Nessuno può togliere a questi popoli e comunità religiose il diritto all’autodeterminazione, da che nell’Iraq attuale sono particolarmente in pericolo.
Anche se yezidi, kakai, yaresan, faili, shabak, dal punto di vista etnico fanno parte dei curdi, contrariamente ai curdi in maggioranza caratterizzati come musulmani, hanno una filosofia di vita completamente diversa e una propria fede. Coloro che vivono nei confini del KRG vogliono più diritti autonomi. A questo si aggiunge anche che i curdi hawraman nella regione autonoma curda chiedono il diritto all’istruzione nel proprio dialetto, quindi Hawrami anziché Sorani. Simili richieste nei confronti del KRG vengono anche dai cristiani. La lista dei gruppi religiosi ed etnici che hanno richieste simili, si potrebbe allungare ulteriormente.
Per ora i rappresentanti dei tre gruppi dominanti in Iraq si oppongono a queste richieste. La ragione per questo sono i loro interessi di potere per via dei quali puntato su maggiore centralizzazione e controllo della società. Ma le richieste „dal basso“ di maggiore sicurezza, pace, democrazia e welfare vanno di pari passo con le richieste di decentralizzazione, autonomia e autogoverno. Il centralismo per questo in questa zona in prospettiva non ha più alcuna possibilità.
La via verso la dittatura totale presenta difficoltà
Accanto ai problemi economici Ankara, Erbil e Bagdad devono affrontare anche difficoltà dal punto di vista militare. Se a questo poi si aggiunge anche uno scarso sostegno dalla propria popolazione, è difficilmente immaginabile che alle recenti minacce contro il PKK possano seguire anche azioni.
In Turchia ad esempio l’AKP per via dell’irrisolta questione curda, ha già problemi massicci a mettere in pratica il suo piano di dittatura totale. A questo si aggiunge che è solo una questione di tempo fino a quando la rabbia silenziosa della popolazione turca nei confronti dell’AKP si rifletterà nelle strade. Già ora l’insoddisfazione e la paura dei kemalisti e socialdemocratici rispetto alle intenzioni dell’AKP creano diffusa agitazione. Si schierano contro la nuova Costituzione che prevede il sistema presidenziale. Internamente la Turchia si trova di fronte ad una decisione strategica. Manterrà il sistema parlamentare già di per sé debole, o potere esecutivo, legislativo e giudiziario d’ora in avanti sarà unicamente sotto il controllo di Erdogan come previsto da nuovo disegno di legge presidenziale. Il Parlamento da giorni discute di questa bozza.
Combattendo con difficoltà interne del genere, non è possibile fare una politica estera forte. L’escalation della guerra con il PKK contribuiscono a distrarre l’opinione pubblica da questa realtà e ad „intrattenerla“. Così è più semplice anche far approvare la nuova costituzione da parte del Parlamento, con maggiore agio, evitando l’attenzione dell’opinione pubblica.
Anche l’Iraq si trova in una crisi di sistema
Problemi politici interni ci sono anche a Bagdad. Il regime non è in grado di garantire la sicurezza della propria popolazione. Nella capitale Bagdad di continuo esplodono bombe negli stessi punti del bazar. E le forze di sicurezza non riesco ad impedire nemmeno questo. Le ondate di fughe dalle regioni contese rappresentano un’ulteriore problema che Bagdad non è in grado di risolvere.
Inoltre le comunità etniche e religiose in Iraq mettono sempre di più in discussione il sistema di Stato attuale. Un tempo il sistema „federale“ era stato elaborato insieme agli USA. Oggi minaccia di fallire. Perché dai diversi gruppi e comunità si fa più forte la richiesta di autonomia. Inoltre i curdi nel nord del Paese minacciano continuamente la loro separazione e la fondazione di uno Stato curdo. Anche gli arabi sciiti chiedono più diritti, di quanti ne possano offrire le leggi attuali. Gli attacchi di IS dal 2014 hanno fatto pensare tutti i gruppi etnici e religiosi minacciati a difendersi da sé d’ora in avanti, dato che non vedono garantita la propria sicurezza né da Bagdad né da Erbil.
Anche il territorio autonomo del Kurdistan non si trova in condizioni migliori. Da oltre un anno il Parlamento è abrogato nei fatti. Il governo si è sviluppato in un duetto dei partiti PUK-KDP. I due partiti a loro volta hanno proprie zone di potere e confini. In quasi tutte le città ci sono proteste quotidiane contro la miseria economica. Il divario tra ricchi e poveri si allarga sempre di più. Il sistema dell’istruzione è quasi fermo, dato che gli insegnanti sono continuamente in lotta per le proprie retribuzioni. Questa crisi si manifesta anche nel settore sanitario. I medici preferiscono trasferirsi all’estero per migliori condizioni economiche. Nel giro di un anno molti studi medici e ospedali sono stati chiusi. La catena della miseria può essere allargata con molti altri esempi.
La vittoria ad Aleppo porta al rafforzamento dell’offensiva dell’Iran
L’interessante nella triade Ankara-Erbil-Bagdad è che ciascuno sa della cattiva situazione dell’altro. A questo si aggiunge una combinazione controversa dal punto di vista della politica estera. Mentre Bagdad si barcamena tra Washington e Teheran e in questo per motivi religiosi (Bagdad-Iran sono sciiti) propende più per l’Iran; il KRG tende verso Washington-Ankara. Ma sia l’Iran che gli USA attualmente hanno un problema con la Turchia. Dopo la loro vittoria ad Aleppo, al momento l’Iran si trova all’attacco. Per questo osserverà il suo partner strategico Iraq con la massima attenzione nello scambio con la Turchia.
Per questo non appena il Presidente del Consiglio turco Binali Yildirim ha lasciato Bagdad, è stata annunciata una visita di alto rango dall’Iran. Bijan Namdar Zanganeh, Ministro iraniano per il petrolio, arriva con il progetto di portare sul mercato il petrolio curdo da Kirkuk attraverso l’Iran anziché attraverso la Turchia. Con questo progetto l’Iran vuole esercitare influenza sulla politica economica tra Erbil-Ankara. La maggior parte del petrolio proveniente da Kirkuk viene fornita dal KRG alla Turchia a prezzi molto convenienti e con questo rafforza la debole economia turca. Non il KRG, ma la Turchia tra vantaggio da questo scambio. Mentre l’Iran per quanto riguarda la guerra civile siriana siede allo stesso tavolo con la Turchia nella capitale kazaka Astana, Teheran cerca contemporaneamente di indebolire la Turchia con ogni mezzo. Di questo fa parte anche al commercio di petrolio tra Turchia-KRG-Iraq. Inoltre l’Iran con la milizia sciita dispone di una presenza militare in Iraq, in particolare nei dintorni di Mosul.
Intorno a Mosul sono attive sia la milizia sciita, nota come Hashd al-Shaab, che le milizie sunnite Hashd al-Watani. Queste ultime sono guidate dall’ex governatore di Mosul, Asil Nuceyfi, che ha rapporti molto stretti con Ankara. E così le milizie Hashd al-Watani vengono generosamente sostenute dalla Turchia. A questo si aggiunge anche che un esercito paramilitare della Turchia con il nome di SADAT addestra militarmente questi gruppi sunniti. Ufficialmente SADAT è un’azienda per la consulenza e il sostegno nelle questioni militari. Il suo capo Adnan Tanriverdi è un ex-generale dell’esercito turco e dall’agosto 2016 uno dei principali consulenti di Erdogan.
Anche per quanto riguarda Mosul, l’Iran ce la metterà tutta perché si possa realizzare il sogno dell’annessione di Mosul nel 2023. Anche se la Turchia dopo la sconfitta di Aleppo a Mosca sedeva allo stesso tavolo con l’Iran e lo farà di nuovo il 23 gennaio ad Astana, questo non significa che la lotta turco-persiana per il potere nel Medio Oriente sia finita. L’Iran continua a perseguire la strategia di potere di allargare la mezzaluna sciita (Iran, Iraq, Libano, Siria ecc.) e farà di tutto per impedire l’espansione della posizione di potere sunnita nella forma della Turchia. Questo finora è avvenuto attraverso la guerra per procura in Siria e Iraq.
Dopo la vittoria della Russia, dell’Iran e del regime Baath ad Aleppo, la Turchia ha dovuto accettare la propria sconfitta e compiuto un’inversione di rotta, dallo scontro attivo alla collaborazione apparente. La sconfitta turca in Siria e nel Rojava ha costretto Ankara a trasformare i nemici in amici. Dall’inizio della guerra in Siria nel 2011 la Turchia, grazie al sostegno di organizzazioni come IS, Al-Nusra ecc. era determinante per il „campo sunnita“. Allo stesso modo curava vive relazioni diplomatiche, economiche e militari con l’Arabia Saudita e il Qatar e con loro combatteva il campo sciita. Questo trovava espressione in particolare nell’atteggiamento radicale anti-Assad. Ma questo atteggiamento ora appare appartenere più al passato.
Il peso della relazione USA-Turchia
Di fronte alle critiche da Washington e Bruxelles, la Turchia ha minacciato di allontanarsi dall’occidente e di rivolgersi a est, in particolare in direzione dell’Organizzazione di Shanghai per la Collaborazione (SCO). Punto di partenza per questo cambio di direzione è soprattutto l’intervento militare della Turchia in Siria. Alla Turchia era stato lasciato un certo margine per l’intervento in Siria in forma di un ingresso a Jarablus alla fine di agosto dello scorso anno. Questo gli USA ovviamente lo hanno fatto a spese dei curdi Ma gli USA presto hanno dovuto aprire gli occhi, dato che la Turchia non voleva accontentarsi di Jarablus. Alla spinta per andare avanti per raggiungere Aleppo è stato poi posto termine da regime, Russia e Iran. A seguito della sua capitolazione dopo Aleppo, la Turchia si è rivolta al blocco sciita. Il tono da Washington diventava sempre più brusco, motivo per cui tra l’altro ci sono state forti perdite nel cambio della Lira.
Nella terza e ultima parte dell’analisi, Nilüfer Koc parla delle provocazioni della Turchia per far divampare un conflitto tra curdi. Affronta anche più nel dettaglio i cambiamenti nella politica estera turca rispetto al blocco di potere sciita e descrive la contro-strategia del movimento di liberazione curdo di fronte alla politica espansionistica turca.
Nilüfer Koc, Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK)
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