Anche da Astana non può risultare una soluzione-Intervista con Riza Altun, componente del Consiglio Esecutivo dell’Unione delle Comunità del Kurdistan. Rojbin Deniz e Dicle Ito hanno intervistato Riza Altun a Behdinan nel Kurdistan del sud. È stata pubblicata il 22 gennaio dall’agenzia stampa curda ANF/Firat News. La riportiamo tradotta in tedesco molto tagliata.
La crisi in Siria risulta dal rafforzamento o dallo scioglimento dello Stato Nazione?
Noi come movimento pensiamo che gli Stati Nazione si trovano in una fase di decadimento. Hanno raggiunto un punto estremamente problematico e non sono nemmeno più in grado di svilupparsi ulteriormente e di proteggersi. Per questo a stento qualcuno si opporrebbe al loro superamento. Quello che viene definito “nuovo ordine mondiale” o “Greater Middle East Project” è una condizione nella quale il sistema degli Stati Nazione non è più in grado di rappresentare il capitalismo in modo sufficiente e non ammette in alcun modo maggiori libertà. Questa è la loro condizione generale. Descrive solo una delle diverse crisi del capitalismo. O si cerca di superarlo con molteplici forme di restaurazione o ha gravi conseguenze.
La situazione in Siria corrisponde a questo. Ciononostante dovrebbe essere affrontata in tutta la sua profondità storica. Questo significa che una spiegazione solo in base allo Stato Nazione sarebbe insufficiente e non comprensibile. Anche le sue basi sociali o geografiche sulle quali si fonda, sono significative. Il Medio Oriente è una regione che nella sua storia ha continuamente vissuto gravi conflitti e guerre, causate dai sistemi statuali e dagli egemoni.
Inimicizie tra diverse comunità etniche e religiose ci sono state anche prima dello Stato Nazione, realtà provocate da Stati, domini e grandi potenze.
Più tardi, durante le due guerre mondiali, quando anche in Medio Oriente si è maggiormente insediato un sistema mondiale, in seguito a questo sono stati fondati Stati Nazione. Non sono nati a ciel sereno, ma si sono sviluppati in mezzo a queste contraddizioni storiche [delle guerre mondiali, N.d.T.]. Chi era al potere, chi dominava, chi rappresentava la maggioranza, è stato in modo vero e proprio organizzato come Stato Nazione, sono diventati dominatori e forze egemoniche. Altre comunità sono state soppiantate. Questo ha portato al fatto che in conflitti già in essere si siano inaspriti.
In Siria i conflitti esistono senza soluzione di continuità fin da quando esiste lo Stato Nazione. Abbiamo a che fare con un potere che è cambiato a seguito di diversi golpe militari, messo il Paese costantemente in subbuglio, dove cambi di potere si sono compiuti attraverso interventi dall’esterno, fino alla crisi più recente. Quest’ultima crisi è una crisi dello Stato Nazione nel vero senso del termine. In regioni con un numero maggiore di società diverse, diversi strati sociali, la crisi dello Stato Nazione è più grande. Dovremmo vedere questa realtà. La Siria ne è un buon esempio.
Non possiamo sostenere che il regime di Assad sia esclusivamente un regime autoritario che si appoggia a una società monoetnica. Ma possiamo dire che la Siria è uno Stato Nazione fondato da una cerchia elitaria, soprattutto dall’elite reclutata in cerche sunnite e alauite. L’attuale situazione in Siria è un risultato naturale di questa creazione e conduzione.
Primi tra tutti sono gli alauiti a essere insoddisfatti del regime siriano. È stato sempre ritenuto che lo Stato Nazione siriano si appoggi agli alauiti, dei quali rappresenta gli interessi e dai quali viene dominato, ma non è così. I loro diritti sotto il regime in Siria sono limitati. Non hanno il diritto ad articolarsi e svilupparsi liberamente come gruppo di fede. Nel quadro delle contraddizioni sociali in essere sono stati effettivamente messi nell’angolo. Non è un segreto che anche la società sunnita è insoddisfatta del regime. Le altre comunità etniche non sono comunque in grado di muoversi e svilupparsi liberamente nello Stato Nazione in Siria. Lo Stato Nazione in Siria si è fondato nella forma di una repubblica araba. Alla domanda a quali aree sociali si appoggi il regime, la risposta sarebbe: in assoluto su nessuno. È costruito sulla negazione di queste aree sociali. Questa negazione avviene attraverso la repressione. Una società fondata sulla violenza, divieti e oppressione. Questa è la politica che viene praticata meglio dallo Stato Nazione.
Per tornare alla domanda con quale sistema politico si potrebbe risolvere la crisi in essere, si può dire: non sulla base di uno Stato Nazione o di un sistema unitario. Questo non farebbe che inasprire la crisi. Nessuna forza tra quelle che combattono e/o dominano, fatta eccezione per quelle che si organizzano nella Federazione Democratica Siria del Nord, ha presentato un progetto di soluzione per la Siria. Perché per queste forze dominanti la Siria è solo un aspetto dell’ambito di interessi egemonici nel Medio Oriente. Dato che la vedono in questo modo, il loro problema non è esclusivamente la Siria. Sono impegnati su come possono garantire al meglio i propri interessi e perseguono un regime che corrisponda ai loro interessi. Lo Stato Nazione in Siria non può farlo. Non ha alcun significato, a parte il fatto che un’elite tiene in mano il potere come un asso. Non ha né confini definiti, né un ambito di potere definito. Non è in grado nemmeno di garantire e difendere il proprio centro di potere. Questi sono segnali del fatto che lo Stato Nazione in larga misura è fallito.
In questa attuale situazione di guerra forze diverse dispongono di ambiti di potere. I combattimenti hanno immediatamente a che fare con il fatto che vengono condotte lotte di potere tra diverse congreghe.
Il regime è impegnato a costruire un nuovo Stato Nazione sulla base dell’appoggio regionale e internazionale. Ma questo non sembra possibile. Perché in questo sistema di Stato Centrale si confrontano forze molte più grandi e più forti. Combattono anche in Siria nel senso dei propri interessi. Ma sono altrettanto frammentati. Accanto a queste ci sono numerose forze regionali come l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia, che anch’esse si impegnano per un regime che corrisponda ai loro interessi e a questo scopo strumentalizzano forze come IS, Al-Nusra e Ahrar Al-Sham. Combattono per uno Stato con una concezione del mondo salafita. Poi ci sono anche quelle forze che si organizzano nella Federazione Democratica Siria del Nord. Combattono per una Siria democratica. Accanto a loro sono attive anche forze non citate per nome. Tutti combattono per una Siria secondo i propri interessi.
Come va inquadrato il trio Russia/Iran/Turchia nell’attuale politica sulla Siria? I tre sostengono di voler sviluppare una soluzione per la Siria. Lei cosa ne pensa?
L’Iran è un alleato strategico della Siria e lì dall’inizio della guerra si impegna per una Siria unitaria, non c’è apertura per una soluzione diversa da quella di uno Stato Nazione. L’Iran agisce insieme al regime siriano.
Gli USA hanno un altro accesso alla pace, né con il regime né con i gruppi salafiti. Fino ad ora sono cauti rispetto ad esternazioni su una possibile soluzione per la Siria. Agiscono insieme a forze diverse. La Russia è entrata in Siria solo più tardi, con l’intenzione di intervenire a partire dalla Siria nell’intera regione in base a relazioni e investimenti ancora in essere dai tempi del socialismo reale. Il regime siriano aveva iniziato l’alleanza in modo naturale con l’Iran e l’ha estesa alla Russia. Questa alleanza ha portato a contraddizioni da un lato con gli USA e dall’altro con la Turchia che agisce in un blocco sunnita con i sauditi. Successivamente la situazione è cambiata.
Quando la Turchia si è avviata sul percorso di un cambio di politica rinunciando e addirittura tradendo le alleanze che aveva, ha iniziato a costruire la sua relazione con la Russia. Ora abbiamo a che fare con una situazione nuova nella quale si è avvicinata a Russia, Iran e Siria. La ragione per questo cambio è stata da un lato il fallimento della sua vecchia politica, nonché la sua strategia principale sempre più chiara di mantenere con ogni mezzo la negazione dei curdi e di impedire loro di raggiungere uno status garantito. Tutto questo ha portato al fatto che la Turchia sia entrata in modo crescente nel blocco con la Russia. In effetti per la maggior parte ha rinunciato ai suoi obiettivi di grande potenza nella regione, alle sue aspirazioni egemoniche ottomane e legate a vecchi alleati. Soprattutto la lotta di liberazione dei curdi in tutte le quattro parti del Kurdistan ha messo la Turchia sotto pressione fino al punto che non è stata più nemmeno in grado di difendere e mantenere i suoi confini nazionali e le sue strutture statuali. In seguito a questo ha modificato la sua politica. Mentre all’interno del Paese va alla deriva verso una dittatura fascista e deraglia dal punto di vista ideologico e politico, verso l’esterno sviluppa la sua politica anti-curda con l’ausilio di adeguate alleanze. In questo modo cerca di »proteggersi«. Nella sua percezione l’esistenza dei curdi significa la sua distruzione. Entra in alleanze con quest’ottica.
Quando la Turchia non ha avuto da Europa e USA il sostegno sperato, si è rivolta verso la Russia che ha accettato questo avvicinamento in modo molto pragmatico per potersi servire della Turchia nella regione.
La Turchia in questa relazione fa valere il criterio che la Russia rispetto ai curdi e alla loro richiesta di uno status non mostra accondiscendenza. Fino a quando la Russia si attiene a questo, la Turchia dovrà acconsentire a tutte le richieste russe. Una modalità di avvicinamento di questo tipo ha incluso automaticamente anche l’Iran e la Siria. Anche l’Iran è contrario a uno status per i curdi. La Siria si trattiene un po’, perché l’attuale regime non governa tutto il Paese, ma nelle circostanze di una volta agirebbe anch’esso contro i curdi. Di conseguenza è nata questa nuova alleanza Turchia, Siria, Russia e Iran. Ma alla domanda se sarà di lunga durata ed efficace risponderei di no. Se si considerano le relazioni tradizionali e storiche tra Russia e Turchia, si vede che erano inquinate. Anche il loro diverso orientamento ideologico-politico diminuisce la probabilità di una comune relazione strategica. Quindi per le relazioni tattiche tra Russia e Turchia sono arrivati all’ordine del giorno i colloqui di Astana. In questo quadro da Astana non risulterà uno sviluppo significativo.
Le relazioni tra Turchia e Iran sono di natura simile, perfino più complicate. L’Iran è sciita e con il suo orientamento ideologico e politico orientato al Medio Oriente. Persegue aspirazioni egemoniche nella regione. In Turchia invece c’è un apparato che è stato preso in consegna dagli ottomani e oggi è deragliato fino al salafismo. Una struttura politica che da ultimo ha collegato il nazionalismo dell’MHP con il fondamentalismo dell’AKP. È un apparato rivolto piuttosto verso il blocco sunnita. Un ritrovarsi insieme di questi due Stati, che fanno politica su base confessionale, nel Medio Oriente è estremamente difficile. Non è possibile che elevino le loro relazioni su un livello strategico. Non è un problema attuale ma storico.
L’indirizzo sciita dell’Iran e l’orientamento dell’Impero Ottomano nella storia hanno sempre portato a grandi guerre. A fronte dell’ultimo secolo, del secolo degli Stati Nazione, questo conflitto sembra essersi un po’ allentato, ma non è rimosso.
Cosa succede attualmente nella regione? Non sarà semplice mantenere a lungo termine ed approfondire le relazioni tra Iran e Turchia esclusivamente sulla base di una politica anti-curda, mentre Iran e Turchia perseguono diverse aspirazioni egemoniche con il blocco sunnita. In questo scenario non andrebbero riposte grandi aspettative in questo avvicinamento.
Sulla relazione con la Siria: la Turchia è uno dei principali responsabili per l’attuale condizione della Siria. C’è il conflitto storico intorno alle rivendicazioni territoriali su Hatay, ora integrate dalla politica della Turchia di voler sostenere il regime. Probabilmente gli arabi in Siria non permetteranno che il regime lì ignori le attività della Turchia e rinunci alle sue storiche rivendicazioni territoriali ad Hatay. Per questo le grandi contraddizioni interne dell’attuale »alleanza«, che racchiudono il potenziale di sfociare in ogni momento in scontri, non andrebbero trascurate.
In precedenti interviste aveva fatto riferimento ad Al-Bab come luogo dove si scioglieranno quelle forze che fanno rivendicazioni rispetto alla Siria. Trova conferme negli sviluppi?
Sì. È molto interessante che non ci sia una potenza rilevante che non avrebbe acconsentito all’ingresso della Turchia a Jerablus. Gli USA, la Russia, il regime e il KDP del Kurdistan del sud erano d’accordo. I loro rappresentanti nel giorno dell’ingresso turco a Jerablus erano ad Ankara. Il Ministro degli Esteri iraniano, dal Kurdistan del sud Barzanî, i rappresentanti USA e il rappresentante estero della Russia, erano tutti lì. Fino a un certo punto si può comprendere la loro approvazione dell’ingresso. Perché tutte queste forze perseguono una politica nella regione. Ma poi gli sviluppi hanno assunto una forma che mette tutti in ugual modo sotto pressione. Nessuna delle forze è in grado di stabile il suo potere esclusivo in Siria. Né gli USA, né la Russia, né l’Iran, né tantomeno il regime possono farlo. Quale forza fa progressi? Le Forze Democratiche della Siria FDS. Perseguono una strategia con la quale si doveva allargare la Federazione Siriana Libera [Federazione Democratica Siria del Nord] attraverso Jerablus, Minbic e Al-Bab fino ad Afrin. Uno sviluppo di questo tipo contraddice gli interessi delle altre forze, una soluzione per la Siria per loro al momento non è opportuna. Quindi cosa sarebbe dovuto succedere? O avrebbero dovuto contrapporsi essi stessi a queste forze di liberazione e iniziare una nuova fase di guerra o lasciar passare un volontario. Questa è stata la ragione per la quale hanno acconsentito all’ingresso della Turchia in Siria. Questo inizialmente era legato a condizioni. Gli USA per esempio avevano permesso alla Turchia operazioni in una striscia larga 20 km all’interno della Siria. Non è chiaro fino a che punto arrivasse l’approvazione di Iran, Russia e del regime. Quando la Turchia è entrata a Jerablus, inizialmente è avanzata per 20 km come consentito dagli statunitensi. Con la sua penetrazione è stato impedito che la Federazione Democratica Siria del Nord includesse l’intera Siria del nord.
Poi la Russia ha permesso alla Turchia di procedere fino ad Al-Bab. Qual è stata la contropartita? Che la Turchia lasciasse alla Russia le bande con le quali coltivava contatti e che sosteneva. Questa contropartita fornita da Erdoğan. Ha messo tutte le forze dell’opposizione di Damasco in una posizione di tregua, reso non in grado di combattere quelle ad Aleppo e più tardi ha spostato le forze da Damasco e Aleppo a Idlib. Damasco e Aleppo sono state lasciate al regime. La contropartita quindi è stato il tradimento delle forze di opposizione da parte di Ankara. La Russia ora persegue la politica di rafforzare la posizione militare e politica della Turchia ad Al-Bab, da un lato per appoggiare di più il regime e dall’altro per minacciare le conquiste curde. Un attacco a Minbic in questo scenario non è da escludere. L’attuale relazione tra Russia e Turchia al momento si limita a questo.
E quale politica persegue la Turchia? Viene determinata dalla sua ostilità nei confronti dei curdi. Come i 20 km iniziali dell’intervento militare della Turchia nella Siria del nord servivano agli USA, ora l’avanzata verso Al-Bab serve alla Russia. Vuole ulteriormente allargare le sue intenzioni politiche con Astana. Con questo si vuole rafforzare ulteriormente il regime, produrre il suo potere in tutto il Paese e rivitalizzare il vecchio sgretolato Stato Nazione unitario. In questo scenario i colloqui di Astana, per le forze che combattono per una vera soluzione in Siria significano essere escluse perché la Russia possa continuare a usare la Turchia per i propri interessi.
Come ha detto in modo molto pertinente, ad Astana non sono state invitate le FDS ma le forze dell’ENKS. Quale soluzione si può sviluppare in condizioni del genere?
Anche nei colloqui di Ginevra a guida USA era stato fatto il tentativo di cercare una soluzione con l’esclusione dei curdi. In questo gli USA hanno sacrificato i curdi per poter strumentalizzare per i propri interessi le bande organizzate dalla Turchia. Quando all’epoca la Russia era in una posizione più debole, continuava a chiedere che anche il Partito dell’Unione Democratica PYD dovesse essere incluso nei colloqui. Ora su iniziativa della Russia e della Turchia e con il sostegno dell’Iran e in parte della Cina vengono condotti colloqui ad Astana. Ora la Russia stessa esclude i curdi. Ora è spiegabile in base agli USA, che anche le forze curde dovrebbero essere ad Astana. Già solo in base a questo esempio diventano chiare molte cose. Russia e USA credono di avere il diritto di poter strumentalizzare tutti secondo i loro interessi. Sono disonesti.
Con questa disonestà si possono risolvere problemi importanti in Siria? Gli USA cercano di curare i loro interessi attraverso i colloqui di Ginevra, la Russia i suoi attraverso i colloqui di Astana. E ciascuno vuole includere gli altri nell’ambito di relazioni tattiche. Come all’epoca l’esclusione dei curdi da Ginevra ha lasciato quei colloqui senza successo, oggi la loro esclusione da Astana lascerà quei colloqui senza successo. Una soluzione che non include la Federazione Democratica Siria del Nord non ha possibilità di successo. Una soluzione forzata attraverso la loro esclusione potrà essere raggiunta solo con grandi massacri e sconfitte.
La Turchia è la principale promotrice di queste forze salafite in Siria. Sono state tenute in piedi dalla Turchia con armi, denaro e logistica. Sono con la Turchia in una relazione di dipendenza. Fino a quando finanzia queste forze, manterranno la loro relazione con la Turchia. Ma al momento ci sono problemi. Che si sia ritirata da Damasco e Aleppo e che queste città siano state lasciate al regime, che la Turchia allarghi le sue relazioni con la Russia, porta malumore e disagio tra le bande. La loro esistenza a Idlib li mette in grande pericolo. Lo vedono. Corrono il rischio di avere un destino simile ai Tamil. La loro posizione assediata a Idlib, dove possono essere facilmente bombardati, li preoccupa. Questo a sua volta porterà al fatto che si disgregheranno e si attaccheranno a vicenda, cosa che a sua volta indebolirà molto la Turchia ad Astana. Una Turchia che non ha nulla da offrire per la Russia perderà il suo fascino. Il problema quindi non solo che siano state escluse le FSD, ma anche la situazione delle bande è carica di conflitti. Questi gruppi già sono discussi. Alcuni non hanno preso parte ad Astana. Le forze vicine all’Arabia Saudita sono discusse, anche quelle vicine al Qatar. Quelle che collaborano con la Turchia le ho già citate. Un gruppo di opposizione alcuni giorni fa è stato pesantemente colpito da bombardamenti. Tutti questi sviluppi avranno effetti sui colloqui di Astana. Già ora si può dire che lì un successo è molto problematico. I colloqui di Astana in effetti sono una riunione di forze che si impegnano affinché la Siria diventi un regime ancora più reazionario. Questo non dobbiamo dimenticarlo.
Gli attori ad Astana forgiano piani che in nessun modo prevedono uno sviluppo democratico della Siria perché non è nel loro interesse. La Turchia p.es.: vuole una Siria democratica? No, vuole impedire con ogni mezzo che i curdi, e con essi anche gli altri gruppi etnici, ottengano i loro diritti e la loro libertà. L’Iran vuole una Siria democratica? No. La Russia non è affatto interessata in ciò che sarà della Siria. L’importante è che siano salvaguardati i suoi interessi, che sia tramite un regime fascista, dittatoriale o democratico. Quindi in condizioni simili come si può sviluppare una soluzione? Supponiamo che si arrivi a una soluzione. La Turchia per esempio dichiara di non rifiutare Assad, Iran e Russia per il momento vogliono Assad. Quindi le forze principali di Astana sono favorevoli al fatto che resti al potere e che resti in essere il vecchio sistema. E Assad agisce come il capo di tutti, ad Astana si allea anche con loro. Che tipo di Siria può nascere sotto questa alleanza? Il vecchio Stato Nazione, il vecchio sistema unitario. Se si tratta di questo, se tutto deve restare com’era, come si spiega quindi il clamore degli ultimi cinque anni? Ora tutti lo riconosceranno e ritorneranno al proprio posto? Questo significherebbe riconoscere gli IS e gli Al-Nusra e arrendersi al regime. Significherebbe che le FSD dovrebbero accomiatarsi dalla loro lotta di libertà. È possibile questo? No, non ci sarà un distacco dal progetto della Federazione Democratica Siria del Nord. Coloro che combattono per questo, continueranno fino all’ultimo. Anche se dovessero soccombere nel loro intento, non può esserci alcuna alternativa. Lo hanno già dichiarato.
IS e Al-Nusra mantengono ancora la loro posizione. Hanno un’altra idea del futuro della regione per la quale combattono. Anche loro resteranno fermi nel loro intento. La loro lotta ad Al-Bab contro la Turchia, lì può perfino portarla in una situazione senza uscita. Si crede davvero che le forze portate ad Idlib manterranno la loro relazione con la Turchia se vedono come questa si vende dalla Russia e all’Iran? No, non lo faranno. Si scioglieranno, forse formeranno un nuovo gruppo o rafforzeranno IS e Al-Nusra unendosi a loro. Quindi che fine fa la soluzione? In questa costellazione e in queste condizioni da Astana non può nascere una soluzione.
Kurdistan Report 190 | marzo/aprile 2017