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Il filo della memoria non si spezza

Sono passati quarant’anni, dalla morte di Giorgiana Masi, non dimentichiamo cosa avvenne Il 12 maggio del 1977. In Italia era stato imposto il divieto di manifestare, ciò non impedì alle tante donne di celebrare a Roma, la vittoria del referendum sul divorzio. Sappiamo come questa manifestazione si trasforma da subito in un omicidio ad opera dello Stato: infiltrati della polizia mettono in atto piani di attacco e una durissima repressione secondo le strategie di violenza assassina elaborate dall’allora Ministro dell’Interno Francesco Cossiga. Uno sparo colpisce a morte, al centro di Piazza G. Belli, la femminista diciannovenne Giorgiana Masi.

Come donne curde e compagne solidali al movimento delle donne curde che lottano ogni giorno contro la violenza statale, sessista e del neoliberismo, guardiamo alla storia di tutte le lotte e i continui provvedimenti repressivi del governo dittatoriale di Recep Tayyip Erdogan, che sta chiaramente mostrando al mondo intero un sempre maggiore accanimento contro ogni opposizione democratica al suo partito, nel beneplacito delle potenze internazionali. In Turchia sono stati dati, con brogli elettorali, pieni poteri ad Erdogan ed è in corso un regime di repressione fortissimo. Eliminazione di ogni dissidente, censura, chiusura dei media curdi e di opposizione, confisca dei libri, divieti di manifestazione, arresti e torture per i compagni e le compagne che lottano e resistono ad una dittatura feroce, sono all’ordine del giorno.

L’accordo tra l’Unione Europea e la Turchia sulle migrazioni, che giocherà i suoi effetti sulla vita di moltissime persone e questo è connesso e funzionale al mantenimento della sporca guerra che sta avendo luogo in Siria, e del sistema che vige in Turchia e in Europa. Questo accordo sull’esternalizzazione del controllo dell’accesso alle frontiere alla Turchia concretamente acuisce il genocidio fisico e culturale in atto, non solo lo rende possibile con controlli demografici delle aree, di fatto lo legittima.

In Siria, nella Confederazione Democratica del Nord della Siria e in Rojava abbiamo visto invece come le combattenti delle YPJ, Unità di difesa delle donne, da anni si organizzano su ogni livello per una società senza Stato, mettono al centro delle loro pratiche, la liberazione delle donne e l’autodifesa non solo come diritto all’esistenza ma come una forza cosciente per una società libera, per la democratizzazione del Paese e in tutto il Medio Oriente.

Il 25 Aprile, una data significativa per l’Italia, in Kurdistan si ricordava il 102 anniversario del genocidio armeno e questo giorno ha rappresentato, la data di un massacro: lo Stato turco quella mattina del 25 Aprile ha bombardato il Rojava 26 volte, caddero in questo attacco, più di 12 delle donne combattenti.

Nel corso del tempo le donne hanno combattuto e stanno resistendo contro la mentalità del maschio dominante, sacrificando la loro vita.  Non ci consideriamo separate dalle lotte precedenti e attuali, non smettiamo di lottare contro il sistema patriarcale. Contro ogni dittatura, si combatte attraverso la memoria collettiva in ogni luogo e momento, guardare in modo diverso alla storia significa per noi concretamente costruire un futuro diverso.

Contro la violenza e il potere assassino degli Stati il nostro slogan

Jin Jiyan Azadi   – Donna, vita, libertà

Donne – Rete Kurdistan

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