Ogni giorno diventa più chiaro quale aspetto assumerà in futuro la Siria. Della molteplicità di attori statali e non statali che hanno partecipato alla guerra civile in corso da sei anni, molti si sono ritirati e la situazione inizialmente poco chiara ora fa spazio a un’equazione un po‘ più chiara. Come attori principali rimasti, possono essere citati la Russia, l‘Iran, la Siria, gli USA e le QSD (Forze Democratiche della Siria). Attualmente fuori da questa equazione restano Qatar, Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, IS, il KDP e il Fronte Al Nusra. La Turchia e i gruppi FSA a lei collegati in questa equazione hanno assunto una posizione neutrale. Con gli sviluppi venturi è molto probabile che resteranno fuori dall’equazione.
Se i parametri attualmente esistenti non si modificano nettamente, questa equazione si stabilizzerà sempre di più. Non ci sono particolari segnali per il fatto che con gli USA e la Russia le due variabili indipendenti che potrebbero modificare questa equazione, possano modificare le loro politiche in tempi stretti. Anche se per gli USA esisterebbe una possibilità per una tendenza di questo tipo, dato che i loro alleati tradizionali si trovano al di fuori dell’equazione, le politiche non realiste che sono imposte dagli alleati stessi sono il più grande ostacolo per un cambio di linea di questo tipo.
L‘AKP e il suo sogno neo-ottomano
Per considerare questi nessi rispetto a curdi e cure nonché alla Turchia, è necessario rivolgere uno sguardo al passato. La Turchia è uno dei primi Stati che ha partecipato alla guerra civile in Siria e che per molto tempo ha svolto un ruolo influente. La Turchia partiva dall’idea di un crollo del regime siriano poco dopo la guerra civile e come l’Egitto aspettava che un regime sunnita (dei Fratelli Musulmani) impadronito il potere. Oggi si vede che il calcolo della Turchia non ha funzionato. La Turchia è parte dei perdenti nella guerra civile siriana. Ma perché si è arrivati a un’interpretazione del genere da parte del governo dell’AKP?
I governi oligarchici con paradigmi nazionalisti non hanno l’obiettivo di risolvere i problemi culturali, politici, economici o sociali delle società mediorientali. Che la regione del Medio Oriente viva una situazione di guerra continuativa e sia diventata una fonte di organizzazioni radicali, deriva dalla posizione delle potenze egemoniche dopo il periodo della Guerra Fredda. Gli Stati regionali che perseverano nello status quo, con la loro chiusura rispetto ai cambiamenti e alle trasformazioni e aggravamento invece della soluzione dei problemi, hanno costantemente offerto alle potenze egemoniche una base e una possibilità per intervenire. In base a queste esigenze la nuova strutturazione della regione è stata avviata secondo gli interessi delle potenze egemoniche. Questa fase è stata attualizzata con il Greater-Middle-East-Project (GME) e adattata alle nuove condizioni della regione. Il maggiore rinnovamento è stata l’aggiunta del concetto del cosiddetto Islam moderato. I conservatori della Turchia a questo proposito costituivano il prototipo. L’AKP nell’ambito di questo progetto è cresciuta. È stato aperto il percorso dell‘AKP vero il potere in Turchia e anche nell’area internazionale. La Turchia ai sensi del GME ora era il Paese del Medio Oriente da esibire.
L‘AKP, che ha sfruttato l’occasione che gli veniva offerta, all’interno del Paese ha cercato di impostare il potere a suo favore e doveva diventare popolare anche in Medio Oriente. Ci ricordiamo ai poster di Recep Tayyip Erdoğan portati in giro nelle strade arabe o il favore che veniva offerto nelle visite diplomatiche. Anche la rappresentazione mediatica esagerata nella stampa turca e occidentale fa parte di questo ricordo. La prima ragione per questo è come già detto, la creazione di un modello. La seconda ragione era la speranza delle aree democratiche che erano stanche dei regimi oligarchici e consideravano la Turchia come aspirante parte dell’UE relativamente democratica, era che anche i loro Paesi sarebbero potuti entrare in un processo di trasformazione simile. La terza ragione è costituita dall’immagine di Erdoğan come leader reginale contro Israele. Ricordiamoci solo del clamore a Davos nel dibattito su Gaza.
La risposta dell‘AKP nel mondo arabo erano quindi le possibilità mostrate dalle forze egemoniche e il sostegno derivante dagli sviluppi congiunturali. I seguaci dell’AKP e le aree conservatrici a loro vicine consideravano la simpatia per Erdogan o la Turchia negli Stati arabi da un punto di vista completamente diverso. Non faceva che rafforzare il loro sogno di un impero neo-ottomano.
La rivolta delle società arabe è stata interpretata secondo i propri interessi da una molteplicità di forze. Gli USA e gli Stati europei da un giorno all’altro sono intervenuti in Libia, sia per impedire sia la richiesta di giustizia e libertà sfidasse il sistema capitalista sia per un passaggio morbido nel GME da loro preparato.
Senza dubbio era esattamente questo il momento nel quale l’AKP ha potuto trarre profitto dal modello dell’Islam moderato preparato per questo caso. Ma Erdogan con l‘affermazione „Cosa ha da fare la NATO in Libia“ considerava gli avvenimenti come momento storico del sogno neo-ottomano. Proprio su questo punto si sono mostrare sempre più chiaramente le differenze iniziate nell’anno 2010 tra gli obietti di USA-UE e della Turchia. Mentre UE-USA per gli Stati islamici prevedevano governi più moderati e avevano preparato l‘AKP come modello per questo, l‘AKP ha usato il suo credito e aspirava alla realizzazione del suo sogno ottomano.
UE e USA che per molto tempo hanno avuto sospetti sulla politica dell‘AKP, forse perché non c’era altra possibilità, hanno dato spazio alla Turchia nei loro piani. La prima impresa è stata quella di organizzare e finanziare in Giordania le forze sunnite con la partecipazione di Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Turchia. Solo poco tempo dopo un’organizzazione fino ad allora relativamente sconosciuta di nome IS improvvisamente ha occupato metà della Siria e dell’Iraq e ha proclamato il califfato a Mosul. In Tunisia, Libia ed Egitto c’è stato un cambio di potere e così tutti si aspettavano anche in Siria e Iraq un cambio potere promosso da IS.
La ragione principale per la politica interventista dell‘AKP contro la Siria era una simile atmosfera e interpretazione politica. Ma l’analisi della realtà storica, sociale e politica del Medio Oriente con l’aiuto di progetti e sogni ha portato al fatto che i piani non sono andati a buon fine. L’organizzazione definita IS, che era la colonna portante del progetto nella regione, in Medio Oriente in tempi rapidissimi ha intimorito perfino i suoi proprietari. IS in rapida espansione doveva estendersi fino all’Egitto e alla Libia.
Il blocco USA-UE che comprendeva la difficoltà dell’impresa schiacciò il freno e consigliò anche ai suoi alleati tradizionali di fare lo stesso. Mentre i Paesi UE, a parte le esplosioni di bombe nelle capitali e la crisi die profughi, hanno tolto la questione della Siria completamente dall’ordine del giorno, gli USA per via della loro responsabilità per la sopravvivenza del sistema capitalista e il pericolo per i propri interessi dato dall’intervento della Russia, si sono focalizzati sul fare ordine. Agli USA nella regione non rimaneva alcuna forza alla quale potersi appoggiare. Anche il tentativo di addestrare oppositori moderati è stato interrotto dopo un periodo di tempo dopo aver considerato gli altri esempi falliti che erano stati sostenuti nell’ambito del GME.
I curdi e il paradigma della nazione democratica
In una fase nella quale gli USA a fronte delle realtà nella regione sono rimasti senza alternative, i curdi sono diventati l’unica alternativa. C’era una forza che combatteva con armi semplici, che resisteva contro un’organizzazione brutale che aveva occupato oltre la metà della Siria e dell‘Iraq, vinceva eserciti consolidati e diffondeva paura in tutto il mondo. Questo vale in particolare per le combattenti curde che opponevano resistenza a questa mentalità nemica della democrazia e che vende le donne nei mercati degli schiavi. Con il loro paradigma della nazione democratica garantivano un futuro equo e libero per tutti i popoli, le culture e i gruppi religiosi. Popoli e orientamenti religiosi che per anni sono stati aizzati l’uno contro l’altro, nel modello Rojava combattono insieme per la libertà e la democrazia. Anche se in Siria milioni di persone sono fuggite dalle guerra e nonostante l’embargo da parte della Turchia e del KDP, il Rojava è riuscito a tenere. I curdi, che sono riusciti a costruire in sistema alternativo nelle condizioni date da una guerra civile, rispetto alla regione hanno davvero offerto un piano per l’uscita dalla crisi.
Anche se il modello Rojava dal punto di vista ideologico non va bene agli USA, con la loro cultura laica e democratica e la rappresentazione di un modello di soluzione ideale, sono l’unica forza per la regione che può essere sostenuta.
L’equazione attuale: La Federazione Democratica Siria del Nord
La buona analisi e interpretazione della struttura storica, sociale, culturale e politica della regione, nonché la capacità di organizzare politica in modo conforme ha aperto la strada ai curdi nel Medio Oriente. La politica della „terza via“ proposta e portata anche avanti dai curdi dall’inizio della guerra civile oggi è diventata un punto sul quale si incontrano gli USA e la Russia. In questo senso la Federazione Democratica Siria del Nord è diventata più realistica che mai. I curdi hanno colto nel migliore dei modi il momento storico che si apriva davanti a loro.
Che la sicurezza di Minbic dopo i bluff della Turchia sia stata presa in carico dagli USA e dalla Russia, non è uno sviluppo casuale. Rispecchia il modello di soluzione che gli USA e la Russia prevedono per la Siria. Allo stesso modo gli USA sono consapevoli del fatto che la Russia ha fatto un accordo per la permanenza con il cantone di Afrin. Entrambe le forze sul tema della Siria concordano su una soluzione che non deve diventare ancora più cara. Ci possono essere alcuni punti sui quali USA e Russia non sono d’accordo ma rispetto alla posizione della Turchia in Siria sono sulla stessa lunghezza d‘onda. Entrambe le forze non vogliono né la Turchia né l‘Iran in Siria. Inoltre anche la Turchia e l‘Iran sono in contrapposizione. Mentre l’Iran dispone di maggiori vantaggi, la Turchia nell’equazione Siria è in una posizione neutra.
Insomma; il modello dell’Islam moderato non ha trovato eco nella regione. Una soluzione sarebbe quella di sviluppare le relazioni con la Federazione Democratica Siria del Nord invece di ostacolarla. In questo senso è ancora possibile per la Turchia fare la pace con i curdi per garantire la pace all’interno e mantenere influenza in Siria e in Iraq.
Abdulmelik Ş. Bekir, Gazete Karınca