Nel processo davanti alla corte d’appello di Amburgo la procura accusa Zeki Eroglu di essere stato in Germania dal marzo 2013 fino alla fine di agosto del 2014 come quadro a tempo pieno del PKK. Eroglu è stato estradato il 6 luglio 2016 dalla Svezia in Germania ai fini dell’azione penale. Nel processo i difensori cercano di far notare ai giudici il fatto che i curdi in Turchia da decenni si trovano in uno status di persecuzione e provazione di diritti e che non hanno alcuna possibilità giuridica e legale di opporsi a questo stato delle cose, che questa situazione giustifica una resistenza in armi.
Il »dilemma dell‘impunità« viene affrontato in modo molto pertinente nel testo »Crimini contro i diritti umani in tribunale. Sull’attualità del Processo di Norimberga« di Rainer Huhle, pubblicato dal Centro di Norimberga per i Diritti Umani (Nürnberger Menschenrechtszentrum). Vi si legge che: »›La giustizia è un diritto umano‹, ha esordito l’Alto Commissario per i Diritti Umani, José Ayala Lasso, nel suo discorso alla conferenza a Norimberga ›Crimini contro i diritti umani in tribunale‹. In modo analogo si è espresso nell’accusa a L‘Aia Richard Goldstone: ›La giustizia non è solo una questione di punizione di crimini di guerra e violazioni dei diritti umani. È anche una questione di riconoscimento della sofferenza delle vittime. E per le persone colpite questo in molti casi costituisce una componente fondamentale del processo di guarigione‹ Quello che qui viene formulato da due rappresentanti ufficiali in postazioni chiave del sistema dell‘ONU centra la sostanza del dibattito sul problema della ›impunità‹ delle violazioni dei diritti umani (…). Il sospetto che non si tratti di giustizia, ma di vendetta, un topos ostinato nella discussione di chi contestò la legittimità del processo di Norimberga, fino ad oggi si esprime senza mezzi termini nei confronti delle vittime delle dittature. Ma chi pensa di poter ottenere la rinuncia alla vendetta con la negazione della giustizia si rifiuta di vedere il vero nesso tra vendetta e giustizia dal punto di vista della storia umana e giuridica. Lo sviluppo di un sistema giuridico differenziato e frettoloso ha preso il posto della vendetta, ha sottratto le conseguenze distruttive per entrambi le parti ed ha invece offerto una giustizia sancita a livello sociale e statale. Dove invece la giustizia in modo eclatante non procede in questo senso, il ritorno all’esercizio della vendetta non è solo a portata di mano, è anche difficile negarne la legittimità. (…) A differenza di questo è devastante quando lo è lo Stato stesso a diventare persecutore o viene tacitamente a patti su qualcosa con persecutori come gli squadroni della morte. A quale legalità devono allora riferirsi i sentimenti di giustizia in uno Stato così ingiusto?«
Il processo contro il politico curdo Zeki Eroglu alla corte d’appello di Amburgo in base al paragrafo 129 b del codice penale volge al termine. Questo paragrafo criminalizza un ampio numero di organizzazioni politiche come »associazioni terroristiche all‘estero«, tra loro continua a esserci anche il Partito del Lavoratori del Kurdistan PKK.
Nelle ultime settimane la difesa ha presentato un gran numero di richieste che – come anche le ultime dichiarazioni dell‘imputato – chiariscono che in Turchia le violazioni die diritti umani nei confronti die curdi sono all’ordine giorno e che il governo Erdogan stesso non rifugge da continui crimini di guerra. Ciononostante numerose organizzazioni curde continuano a essere criminalizzate e perseguite.
Il Ministero della Giustizia nel 2011 aveva assegnato una »autorizzazione a procedere« contro il PKK come associazione terroristica all‘estero. Da allora 14 curdi sono stati arrestati come quadri dirigenti del partito. Altri otto di loro sono stati condannati a pene pluriennali anche se, come nel caso di Eroglu, non sono accusati di reati concreti. Nel loro caso piuttosto viene dichiarato »delitto« che come componenti della comunità curda in esilio si sono impegnati per la pace, operato per la conciliazione di conflitti e organizzato manifestazioni.
Tramite una revoca della divisione die poteri »la politica estera viene fatta attraverso il diritto penale« dato che i tribunali seguono la volontà definita del governo federale, hanno dichiarato i difensori di Eroglu, Britta Eder e Alexander Kienzle già nel 17° giorno del processo il 17 febbraio scorso. Negli ultimi 14 giorni del processo, la difesa ha presentato un gran numero di richieste per rendere chiara la sistematicità delle violazioni die diritti umani e crimini di guerra attuati da decenni da esercito e polizia contro la popolazione civile, così come contro la guerriglia del PKK.
A questo scopo sono stati ascoltati anche Michael Brune, psicologo ed esperto riconosciuto a livello internazionale per il trattamento dei traumi, che ha abbozzato le conseguenze della guerra psicologica e dei continui massacri per la quotidianità delle persone nelle province curde della Turchia. Su richiesta è stata illustrata anche la situazione della città di Cizre, dove secondo testimoni oculari nella primavera del 2016 oltre 100 civili sono stati bruciati vivi dai soldati all’interno di cantine. La città, come Sirnak, Nusaybin, la città vecchia di Diyarbakir e altre città, è stata in ampia misura distrutta dall’esercito turco con carri armati e missili nell’ambito di stati di emergenza. Inoltre dei civili sono stati uccisi da cecchini, tra loro anche dei bambini.
Venerdì scorso la difesa ha chiesto la comparizione di un ulteriore esperto. Günter Seufert della Fondazione Scienza e politica (Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP)) dovrà spiegare che, a partire dal massacro di Dersim nel 1938 fino ad oggi in nessun momento sono stati affrontati dal punto di vista giuridico né sociale i crimi di guerra e crimini contro l’umanità che vi sono stati commessi da parte della Turchia. L’avvocata Eder ha sottolineato che le spiegazioni di Seufert sono elementi probatori fondamentali. Questo anche a fronte dello scenario che i giudici della corte d’appello avrebbero già rilevato, che in Turchia fino ad oggi vige l‘impunità così come la tortura sistematica.
Martin Dolzer
Junge Welt