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Opinioni e analisi

La crisi sul Golfo: Una sconfitta del Qatar significa una sconfitta della Turchia?

Nell’immaginario dell’opinione pubblica ci sono alcuni preconcetti rispetto al mondo arabo. Da un lato si pensava che Paesi come il Kuwait, il Qatar, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrain hanno tutti le stesse radici sociali e religiose e per questo avrebbero anche seguito la stessa politica estera. E dall’altro si pensava che tutti questi Paesi nella loro politica estera si sarebbero attenuti rigidamente al corso indicato dagli USA. L’ultima crisi sul Golfo per questo ha creato un certo scompiglio nelle teste delle persone.

La crisi è venuta alla luce in un momento poco prevedibile. Infatti solo poco prima, dopo la visita di Trump in Arabia Saudita, 50 Paesi musulmani avevano costruito un blocco comune contro l’Iran e anche il Qatar era parte di questo blocco. Per questo ci si aspettava piuttosto che d’ora in avanti si sarebbe inasprita passo per passo la linea nei confronti dell’Iran . Ma improvvisamente addirittura una serie di Stati di questo blocco si sono rivolti contro il piccolo Stato desertico del Qatar.

Sulle ragioni si è speculato molto. In questa sede voglio elencarne alcune:

  • Il fondo di investimenti del Qatar avrebbe acquistato il 19,5% delle quote dell’impresa mineraria russa Rosneft.

  • Il Qatar avrebbe pagato fino a 1 miliardo di dollari agli islamisti radicali e all’Iran.

  • La Russia attraverso i suoi hacker avrebbe disturbato l’unità nel Golfo (la crisi è iniziata dopo che l’Emiro del Qatar, pare su una homepage, ha definito l’Iran come più importante potenza islamica nella regione. Più tardi si è detto che l’Emiro non avrebbe fatto questa affermazione e che sarebbe stata pubblicata da degli hacker).

  • Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) avrebbero offerto allo United States Central Command (CENTCOM) di trasferire la loro base dal Qatar nel loro Paese.

  • Gli USA volevano vendere armi al Qatar.

  • Il Qatar avrebbe sostenuto i Fratelli Musulmani.

  • Il Qatar si sarebbe avvicinato all’Iran e agli Hezbollah.

  • Israele per via di questo avvicinamento avrebbe fomentato la crisi del Qatar.

Delle speculazioni sopraelencate, dal mio punto di vista appare più realistico: mentre le dinamiche nella regione cambiano rapidamente, il Qatar ha perseverato troppo nel suo corso. E mentre in passato si chiudevano gli occhi rispetto a limitate relazioni diplomatiche ed economiche con l’Iran, in tempi di graduale escalation del corso anti-Iran questo non viene più tollerato. Il Qatar ora è stato il primo Stato a percepirlo.

Il Qatar come una spina sul Golfo

Il Qatar ha meno di 300.000 cittadini, mentre fino 2,3 milioni di abitanti del piccolo Stato, nonostante molti anni di residenza nel Paese non ricevono una cittadinanza. Lo Stato nel deserto ha di tre particolarità: in primo luogo il Qatar ha le riserve di gas naturale più grandi al mondo. In secondo luogo 11.000 soldati USA si trovano nella base militare statunitense del Paese. In terzo luogo le relazioni del Qatar con gli Stati arabi nella regione, in particolare con l’Arabia Saudita, sono compromessi dagli anni ’90.

Un problema centrale del Qatar è che sul percorso di terra ha un unico vicino, ossia l’Arabia Saudita. In questo moto lo Stato vive nella perenne paura di essere inghiottito dal grande vicino o almeno di diventare dipendente da lui. Così ad esempio nel 1992 ci sono stati limitati scontri sul confine tra i due Paesi. Dopo che nel 1995 Hamad bin Chalifa Al Thani scaccio suo padre dal trono qatariota con un golpe, il Paese ha seguito un corso di politica estera che cercava di staccarsi dall’Arabia Saudita. Quando nel 2002 oppositori dall’Arabia Saudita nel vicino Qatar non trovavano solo rifugio, ma potevano anche esprimere le proprie opinioni in televisione, il grande Stato vicino ritirò il suo ambasciatore dalla capitale qatariota Doha e per i successivi cinque anni non mandò un sostituto. Solo dopo la guerra in Iraq del 1991 il Qatar aprì le sue porte per i soldati statunitensi prima stazionati in Arabia Saudita, un fatto meno disinteressato di quanto possa sembrare. Perché in questo modo la propria sicurezza statale è stata messa sotto tutela. Dalla presa del potere da parte di Tamim bin Hamad es-Sani nel 2013, il Qatar ha impostato la sua politica estera in modo più attivo.

Attraverso gli enormi introiti derivanti dal commercio del gas, il Qatar è riuscito a fare ovunque nel mondo investimenti nei settori più disparati e in questo anche ad accrescere continuamente la propria influenza politica. In parallelo, lo Stato ha costruito la sua politica estera, che non necessariamente doveva coincidere con la linea degli altri Stati di Patto di Cooperazione del Golfo (GCC). Doha ha invece puntato sempre di più su un corso che voleva rappresentare un contrappeso rispetto alla politica estera dell’Arabia Saudita.

Il Fondi di Investimenti qatariota fondato nel 2005 che ormai amministra 335 miliardi di dollari (Qatar Investment Authority) ha sparso i suoi investimenti in numerose imprese in Paesi come gli USA, il Regno Unito, la Cina o la Germania. Si punta sulla diversificazione e così gli investimenti vanno dall’industria automobilistica, fino ai distributori di gas e il settore bancario, fino al’industria cinematografica.

Inoltre il Qatar è riuscito costruire nel centro della capitale Doha il progetto„Education City” e a spingere numerose università statunitensi come Georgetown, Carnegie Mellon, Northwestern, a costruire alcune facoltà nella città desertica. Anche rinomati Think-Tank dagli USA come Rand o Brookings hanno aperto filiali a Doha. E con l’emittente televisiva Al-Jazeera i regnanti del Qatar sono riusciti a diffondere la loro influenza in tutto il mondo arabo.

Qatar Airways e la Qatar National Bank sono altre due insegne dell’orgoglio qatariota. A questo si aggiunge la ripulitura dell’immagine da parte dell’impegno di sponsorizzazione della Qatar Foundation. Per poter ospitare i campionati mondiali di calcio nel 2022, per poter trasmettere al mondo il proprio splendore, lo Stato desertico è rimasto coinvolto perfino in scandali di corruzione.

Forzare in modo eccessivo le proprie possibilità

Se il Qatar avesse continuato a limitarsi a queste misure di influenza „blande”, probabilmente oggi la condizione del Paese sarebbe migliore. Ma dal 2013 il Qatar ha anche iniziato a seguire in Medio Oriente un proprio corso opposto a quello del mainstream. Soprattutto nella loro politica di alleanze e nelle loro ostilità nei confronti di altri attori, il Qatar si è messo in una situazione con la quale ha creato un disordine ancora maggiore nelle già di per sé molto confuse geografie di potere del Medio Oriente. Se il Qatar si fosse accontentato del suo ruolo di „onesto broker” con il quale gli era in effetti riuscito anche di presentarsi bene come mediatore in conflitti come nel Libano, nello Yemen o in Sudan, la situazione oggi probabilmente sarebbe diversa. Il Qatar allora sarebbe qualcosa come la Norvegia del Medio Oriente. Ma il ruolo di mediatore a un certo punto non è più bastato ai regnanti a Doha. E così lo Stato è entrato nell’arena della „politica estera dura”.

In questa arena il Qatar ha poi assunto immediatamente una posizione dalla quale gli Stati arabi vicini si sentono disturbati. Questo si è espresso in particolare con la vicinanza all’Iran e agli Hezbollah libanesi. Il Qatar stesso attraverso la vicinanza all’Iran sperava di potersi insediare come contrappeso rispetto al grande Stato vicino Arabia Saudita. Così tra Doha e Teheran è nato un regolare rapporto diplomatico. Anche a livello economico sono stati stipulati diversi contratti e accordi. Da ultimo è stato perfino concordato di costituire in futuro una zona di libero scambio tra il Qatar e l’Iran. Cosa che pesa quasi di più è che il Ministro degli Esteri qatariota durante la sua ultima visita in Iraq avrebbe incontrato anche dei generali iraniani. Questo almeno è quanto sostengono i media sauditi. Se questa notizia sia vera o meno, non può essere stabilito in modo più preciso. Sta di fatto però che nell’opinione pubblica saudita dopo i corrispondenti rapporti, il malumore nei confronti del piccolo vicino è visibilmente aumentato.

Una ragione importante per la quale il Qatar in effetti deve mantenere le relazioni con l’Iran, è la realtà che il gas naturale qatariota viene esportato attraverso il Golfo Persico (Golfo di Basra). E per tenere aperta questa via di esportazione, la relazione con l’Iran è inevitabile.

Relazioni complicate con gli attori islamisti nella regione

Dare uno sguardo alla rete di relazioni del Qatar con gruppi islamisti in tutto il Medio Oriente non è affatto semplice. Ciononostante è necessario affrontare questo tema, perché l’accusa centrale alla fine è il „finanziamento del terrorismo”.

Il Qatar intrattiene relazioni relativamente aperte con diverse propaggini della Fratellanza Musulmana in tutta la regione. Anche le relazioni dirette con il talebani in Afghanistan e con Al-Qaeda sono difficili da negare. Ma l’avvio lo ha dato il Qatar con il sostegno ad Hamas dopo la sua vittoria elettorale in Palestina nel2010. Da allora il Qatar si è presentato apertamente come sostenitore di questa organizzazione. Quando il leader di Hamas Chalid Mashal più avanti è dovuto fuggire dalla Siria dove aveva trovato protezione, il Qatar gli ha aperto le sue porte. Nel 2012 l’ex Emiro del Qatar ha anche visitato la Striscia di Gaza.

Durante l’intera Primavera Araba il Qatar è poi stato il più importante sostenitore dei Fratelli Musulmani. In particolare in Egitto, Libia e Tunisia le organizzazioni locali del Fratelli Musulmani sono stati rafforzati finanziariamente e dal punto di vista della propaganda dal Qatar. Quest’ultima cosa ha funzionato soprattutto attraverso il canale televisivo qatariota Al-Jazeera che in tutto il modo arabo gode di un vasto pubblico. Per mantenere l’equilibrio, il Qatar nelle in Bahrain e nello Yemen si è schierato dalla parte dell’Arabia Saudita. Ma quando dopo il golpe in Egitto è caduto Mursi e molti appartenenti ai Fratelli Musulmani hanno cercato rifugio in Qatar, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrain nel 2014 hanno interrotto le loro relazioni diplomatiche con Doha.

Nel 2013 il Qatar inoltre ha lasciato che aprisse un ufficio del talebani all’interno dei propri confini nazionali. Attraverso questo ufficio i talebani hanno condotto colloqui con diplomatici afghani e statunitensi.

Il mantenimenti di questa intera rete di relazioni con partner assai discutibili, alla fine è passata con la benedizione degli USA. Perché mentre gli USA non possono permettersi determinate relazioni e canali di comunicazione per via di possibili danni all’immagine, di certo hanno sfruttato bene le possibilità che risultavano attraverso il partner Qatar. Per questo le relazioni del Qatar, nonostante occasionali critiche, venivano complessivamente tollerate.

Con la Primavera Araba poi la politica estera del Qatar in effetti sembrava troppo fuori dalle righe. Perché ci si impegnava, per lo più in parallelo, in Paesi come Libia, Egitto e la Striscia di Gaza, lo Yemen e soprattutto in Siria. Dato che con le sole possibilità finanziarie non si può realizzare tutto, i potenti del Qatar hanno cercato sempre di più la vicinanza con la Turchia. Mentre lo Stato desertico si occupava del lato finanziario delle questioni, il partner turco doveva coprire il livello militare e di intelligence. E attraverso questa cooperazione poi sia in Libia che in Siria sono stati sostenuti un gran numero gruppi islamisti che attraverso il Qatar e la Turchia cercavano di rafforzare la propria influenza nella regione. Soprattutto in Arabia Saudita si sentiva sempre più disturbata da questo impegno, dato che sembravano svilupparsi molte cose al di fuori della sua iniziativa. E così i sauditi hanno aspettato un’occasione adatta per preparare il contraccolpo. Questo momento si è verificato, quando il Presidente USA Trump si è presentato a Riad assicurando il suo sostegno. E così il Qatar di colpo si è trovato confrontato con un’enorme resa dei conti per il suo corso degli ultimi anni in politica estera. Fatta eccezione per l’Oman e il Kuwait tutti i Paesi arabi della regione hanno interrotto le loro relazioni diplomatiche ed economiche con il Qatar. Così si voleva mettere in ginocchio lo Stato del deserto.

Quale ruolo assume la Turchia in questa crisi?

Tradizionalmente la Turchia si tenuta fuori dalle crisi in Medio Oriente. Questo in particolare per quanto riguarda le crisi nei Paesi arabi. Spesso è stato detto come rimprovero che questo dipendeva dalla mancanza di iniziativa del kemalismo. O semplicemente per il fatto che la Turchia kemalista aveva voltato le spalle al Medio Oriente. Oggi questo però va analizzato in modo nuovo. Perché di fronte allo scenario della situazione attuale, il”tenersi fuori” dei tempi passati sembra un atteggiamento di fondo ben ragionato della politica estera turca. Con l’AKP comunque c’è stata una rottura con questo corso tradizionale. Attraverso l’indirizzo neo-ottomano, islamico e da ultimo sunnita della politica estera, la Turchia ora è diventata parte dell’ultima crisi nel mondo arabo. E in questa crisi ha preso il suo posto al fianco del Qatar.

Ci si può sicuramente immaginare che questa è una politica molto rischiosa. Perché dall’altra parte ci sono Stati come Egitto, Arabia Saudita, Bahrain e gli Emirati Arabi Uniti. Se dovesse sorprendentemente delinearsi un’uscita rapida dalla crisi del Qatar, questi Stati potrebbero poi volgersi contro la Turchia.

Perché può senz’altro succedere che il Qatar abbassi la cresta e rientri nel corso dell’Arabia Saudita e degli USA. In questo caso il sostegno al Qatar da parte della Turchia non solo perderebbe il suo significato. La Turchia di questo potrebbe anche dover rendere conto.

Importante è anche la questione della base militare turca che si vuole costruire in Qatar. Non è chiaro se la Turchia abbia calcolato bene i rischi che questo piano comporta. Se l’attuale crisi dovesse allargarsi, assumendo magari un carattere militare, allora potrebbero verificarsi problemi seri per Ankara. Di un’escalation del genere attualmente non se ne parla, ma un certo rischio resta comunque.

Se si arriva alla questione sul perché la Turchia si mette dalla parte del Qatar, questo dipende pria di tutto dalla cooperazione economica. Infatti il Qatar ha comprato il canale turco pay-per-view Digitürk, tanto quanto le banche Finansbank e Abank. A questo si aggiungono innumerevoli investimenti nel settore edile e dell’edilizia abitativa turchi. Stime partono da investimenti per un ammontare di 13 miliardi di dollari.

Naturalmente ci sarebbe anche l’impegno comune di Qatar e Turchia per quanto riguarda la Primavera Araba, che si esprime in particolare attraverso il sostegno all’ESL e a numerosi gruppi islamisti.

Con lo scoppio della crisi e la dichiarazione di sostegno di Erdoğan al Qatar media vicini al governo hanno subito espresso con titoli come “Tieni duro Qatar” o “Il 15 luglio qatariota” (1), hanno subito dichiarato che l’obiettivo non è solo il Qatar, ma contemporaneamente anche la Turchia. La crisi potrebbe senz’altro risultare nel fatto che con la crisi la Turchia perda il suo alleato Qatar. In questo caso la Turchia avrebbe perso anche l’ultimo partner nell’intera regione.

Questa analisi è stata pubblicata originariamente il 19.06.2017 con il titolo “Körfez’de kriz: Qatar yenilirse Türkiye de yenilmiş sayılır mı?” su Gazete Duvar.

Un’analisi dell’accademico İlhan Uzgel sulla più recente crisi nel mondo arabo e il ruolo della Turchia, 31.06.2017

(1) Il 15 luglio 2016 è la data del fallito colpo di stato militare in Turchia

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