Kurdistan

Uno strappo attraversa il Kurdistan

In Iraq infuria una lotta di potere intorno alla consultazione sulla indipendenza della regione autonoma nel nord del Paese .

Retroscena: Referendum nell’Iraq del nord

Una settimana prima del discusso referendum sull’indipendenza curda nell’Iraq del nord, l’Alta Corte del Paese ha ordinato un arresto della consultazione. Il referendum sarebbe lesivo della Costituzione, ha comunicato la Corte lunedì da Bagdad. Tutte le misure per il referendum andrebbero fermate. In precedenza il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres aveva messo in guardia con insistenza rispetto alla prevista consultazione nella regione autonoma curda nel nord dell’Iraq. La »decisione unilaterale di tenere un referendum in questo momento«, sarebbe un ostacolo quando si tratta di sconfiggere, »il gruppo ›Stato Islamico‹, di ricostruire i territori riconquistati e di facilitare un ritorno volontario e dignitoso di oltre tre milioni di persone e persone scacciate «, ha dichiarato il portavoce di Guterres Stéphane Dujarric domenica a New York, che Guterres rispetta »la sovranità, l’integrità territoriale e l’unità dell’Iraq«.

Il Parlamento della regione autonoma curda venerdì scorso aveva fissato contro la volontà del governo centrale irakeno un referendum sull’indipendenza per il 25 settembre. Il governo regionale curdo da lungo tempo si scontra con Bagdad sulle esportazioni di petrolio e il controllo delle zone divise dal punto di vista etnico. Contro la consultazione popolare si schierano anche i Paesi vicini all’Iraq, Turchia e Iran. Temono che le loro minoranze curde possano sentirsi incoraggiate a perseguire anche loro l’indipendenza. Gli USA, un alleato di lungo corso dei curdi nell’nord dell’Iraq, considerano il referendum nel momento attuale un ostacolo per la lotta contro IS, alla quale i curdi prendono parte in modo determinante. Dopo il voto a Erbil, la Casa Bianca ha chiesto di rinunciare immediatamente al referendum.

Giovedì gli USA e altri Stati avevano fatto al Presidente della regione curda, Massud Barzani, una proposta per il rinvio della consultazione popolare. Si basa sull’allargamento dell’autonomia curda. Il Presidente curdo, che nel fine settimana ha di nuovo rifiutato uno spostamento del referendum, ha annunciato che si sarebbe pronunciato »rapidamente« sulla proposta. L’inviato speciale dell’ONU per l’Iraq, Jan Kubis, ha invitato il governo regionale curdo a trattative con Bagdad sotto l’egida del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Nel giro di due – tre anni in base a questo dovrebbero essere fissati »principi e accordi« per le future relazioni tra la regione curda e Bagdad. Per questo Barzani dovrebbe rinviare il referendum almeno fino al periodo dopo la fine del negoziato, ha detto Kubis. La prevista consultazione popolare non sarebbe vincolante dal punto di vista legale. (AFP/jW)

A Makhmur non c’è una polizia regolare. Lo Stato qui sembra essere molto lontano. Sulle case sventolano le bandiere del movimento delle donne curde e bandiere con l’immagine del Presidente del PKK Abdullah Öcalan. A Makhmur le persone si aiutano da sé, qui già molti anni fa hanno costruito un sistema di consiglio della democrazia di base che organizza tutto, dalle scuole, passando per lo smaltimento dei rifiuti fino alla vita culturale nella città. Makhmur, è un campo profughi in mezzo al nulla, nel deserto dei territori curdi nel nord dell’Iraq tra Kirkuk e la città di Mosul liberata solo circa due mesi fa da »Stato Islamico« (IS). Quando si verificano problemi tra gli abitanti, vengono risolti nei comitati di consenso.

In realtà ci sono due Makhmur: una località più vecchia e un campo profughi con lo stesso nome nel quale oggi vivono circa 15.000 persone. È stato costruito negli anni ’90 da persone che venivano dal Kurdistan turco fuggendo dagli attacchi dell’esercito. »Quando siamo arrivati qui c’erano solo scorpioni e serpenti«, riferisce Berin, una donna anziana nel centro della cittadina. Non pochi bambini piccoli sono morti per via del caldo – in estate le temperature nel nord dell’Iraq arrivano fino a oltre 50 gradi.

Le due località sono divise solo da una pista polverosa piena di buche lunga circa un chilometro, ma tra le due Makhmur ci sono dei mondi: la località più vecchia è controllata dai peshmerga del capo di governo autocratico della regione autonoma, Massud Barzani. Ai margini della città dei profughi invece unità vicine al PKK controllano le auto. Le due località nel deserto della regione autonoma con questo rappresentano un modello del profondo stato di lacerazione del Kurdistan irakeno.

Spina nel fianco di Barzani

Gli abitanti attualmente sono chiamati a votare sull’indipendenza dallo Stato centrale irakeno, momento chiave è il 25 settembre. Ma solo recentemente il governo di Bagdad ha dichiarato illegale in referendum. Barzani con il referendum non solo vuole unire dietro di sé la popolazione curda – viene criticato da tempo perché già da due anni continua rinviare le elezioni parlamentari, da allora governa con leggi di emergenza. Tutto questo viene motivato con la lotta contro IS che nell’Iraq del nord ancora controlla ampie parti di territorio. Inoltre il Kurdis­tan irakeno è scosso da una profonda crisi economica, i proventi del commercio del petrolio a stento raggiungono la popolazione.

I tentativi di Barzani di segnalare unità verso l’esterno resistono appena di fronte alla realtà. Il sud della regione autonoma viene controllata dall’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK) dell’influente capo-clan curdo Jalal Talabani – e con questo dal maggiore concorrente di Barzani, il cui KDP (Partito Democratico del Kurdistan) domina il nord. E pio ci sono città e regioni nelle quali il Partito dei Lavoratori del Kurdistan PKK gode del maggior sostegno della popolazione – come a Makhmur, la città dei profughi. In un monumento commemorativo distante dalla via principale centinaia di foto incorniciate testimoniano dei molti caduti delle file del PKK e delle forze vicine nelle zone curde dell’Iran e della Siria. Molti dei caduti vengono proprio da Makhmur.

Per Barzani l’enclave del PKK è un a spina nel fianco. Gli abitanti di Makhmur fuori dalla città vengono discriminati in modo sistematico. Lavoratori provenienti da Makhmur, molti di loro sono impiegati nell’industria o nei supermercati della zona circostante, ottengono un lavoro solo se mascherano la loro origine e le loro idee, spiega Dilovan, che è attiva nei direttivi autonomi delle donne in città. In realtà ha un altro nome, ma non vuole leggere il suo vero nome nei media, perché solo poche settimane fa a Makhmur c’è stato un attentato contro due attivisti di sinistra, entrambi sono morti. Non è ancora chiaro chi sia dietro l’attentato con bombe a mano, a Makhmur si sospetta che si tratti o di jihadisti o dei servizi segreti turchi MIT.

Modello Rojava

Nei media occidentali si continua a parlare »dei curdi« come se questo gruppo di popolazione fosse un blocco monolitico. Ma la realtà è ben diversa – questo si vede non da ultimo nella regione autonoma curdo-irakena: Barzani e il PKK sono acerrimi nemici, il capo del KDP ha contatti stretti con lo Stato turco, mentre tra il regime di Erdogan e il PKK è di nuovo divampata una guerra civile aperta.

»Barzani non rappresenta i nostri interessi«, inveisce l’attivista del movimento delle donne Dilovan. Il PKK e i suoi alleati sono scettici di fronte all’imminente referendum, perseguono un’autonomia fondata sulla democrazia di base nella regione curda. »Gli Stati sono parte del problema, un altro Stato non migliorerà la situazione per le persone qui«, dice Dilovan. »Quello che vogliamo è una democrazia senza Stato, una democrazia che parte dalla base.«

Nel Rojava, il nord della Siria caratterizzato dai curdi, questo modello viene sperimentato già dalla rivoluzione proclamata nell’anno 2012. Il Rojava ha raggiunto notorietà a livello internazionale in particolare da quando le milizie popolari curde all’inizio del 2015 hanno liberato la città di Kobane da IS. Nel farlo ci si sarebbe orientati anche in base alle esperienze dell’autogoverno a Makhmur, dice Dilovan e versa del tè. Di questo qui si è fieri.

A metà degli anni ’90 tra KDP e PUK è divampato un conflitto militare aperto, si trattava del controllo delle vie del contrabbando – il governo centrale di Bagdad in precedenza aveva messo un embargo sulla regione, cosa che ha reso necessario il contrabbando. Inoltre anche l’intero Iraq era sottoposto a un embargo da parte dell’ONU, per questo non era possibile un commercio con i Paesi vicini della regione curda. Anche oggi nel conflitto tra KDP e PUK il punto sono in prevalenza interessi economici: Barzani controlla i territori ricchi di petrolio nel nord della regione autonoma, Talabani avrebbe volentieri una fetta più grande della torta.

Sulla strada tra Kirkuk e Makhmur all’orizzonte si vedono costantemente le enormi fiamme delle raffinerie di petrolio. 120.000 barili di petrolio da qui vengono pompati quotidianamente in direzione della città portuale turca di Ceyhan, l’equivalente di circa 20 milioni di litri. Circa due anni fa il governo Barzani ha deciso di non condurre più il commercio petrolifero attraverso Bagdad, ma attraverso la Turchia. Per il governo centrale irakeno questo è stato l’equivalente di una dichiarazione di guerra, anche lì si teme una crescente influenza di Ankara. E non da ultimo Barzani consente alla Turchia di stazionare circa 2.000 soldati nella regione – contro la volontà del governo centrale di Bagdad.

Il capo di governo turco Recep Tayyip Erdogan nelle settimane passate ha più volte criticato il referendum, così come anche altri capi di governo nella regione. Il Ministero degli Esteri turco ha definito le aspirazioni indipendentiste un »grave errore«. Ma a Makhmur molti ritengono questo sia solo un puro calcolo, Erdogan nel dubbio si accontenterebbe anche di uno Stato Nazione curdo nel nord dell’Iraq, di questo Dilovan è convinta – almeno fino a quando questo Stato corrisponde anche gli interessi turchi e il petrolio continua a scorrere.

Critiche a livello internazionale

Per questo a Makhmur si è scettici davanti al piano di indipendenza di Barzani. Qui si continuerà a puntare sull’autogoverno, afferma Dilovan. È attiva anche nel Consiglio Generale di Makhmur che è composto da circa 90 componenti. I componenti in parte sono vengono da consigli di quartiere, per il resto dai comitati il cui lavoro copre i diversi ambiti della vita: c’è il comitato sociale nel quale sono organizzati i lavoratori, i proprietari dei negozi e i pastori. Anche per l’educazione e l’istruzione nelle cinque scuole della località, per la stampa e la cultura ci sono comitati specifici.

Attualmente a Makhmur si cerca inoltre di costruire una cooperativa di supermercati che non abbia a che fare con il profitto privato, ma con l’approvvigionamento il più possibile economico della popolazione – solo le sigarette lì non si possono comprare, quelle in fondo sono malsane, spiega con un sorrisetto un socio della cooperativa. Naturalmente a Makhmur ci sono problemi, dice Dilovan. Dai litigi tra giovani fino alla cattiva situazione degli approvvigionamenti. Ma di queste difficoltà in futuro ci si occuperà in modo autonomo, così l’attivista. Per questo non serve uno Stato.

 

di Anselm Schindler, Makhmur

 

Junge Welt

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