Nei pressi di Dirbêsiyê (Al-Darbasiyah) che fa parte del cantone di Cizîrê nel Rojava, sono iniziati il lavori per la costruzione di un villaggio delle donne su base ecologica. Il villaggio e il progetto hanno il nome »Jinwar«. Abbiamo voluto parlare con il comitato incaricato per la costruzione e l’insediamento delle forme organizzative a livello economico, sociale e politico e dello stato di avanzamento del progetto. In proposito abbiamo posto delle domande a Heval Rûmet. Heval Rûmet ci ha spiegato che il progetto non sarà limitato solo a Jinwar, ma che la vita adeguata alle donne deve ritrovare le sue origini ovunque.
In primo luogo ci può spiegare e illustrare il progetto in modo più preciso e da che tipo di discussione è nato?
Come è noto la Rivoluzione del Rojava combatte ancora per l’equilibrio tra la donna, la società e la vita. Inoltre per il fatto che qualsiasi vita sia liberata dallo Stato, da meccanismi di dominio e oppressione. Con questo la Rivoluzione del Rojava deve ancora combattere. I popoli qui e le donne hanno vissuto la guerra, hanno sofferto persecuzione e massacri. Perché le loro ferite possano guarire e perché possano essere recuperati alla vita, serve una rivoluzione culturale.
Rispetto alla storia della cultura della nostra regione riconosciamo che i villaggi e le aree di vita delle donne per le donne hanno sempre mantenuto i loro significati.
Siamo liete e fiere del fatto di avere l’onore di poter costruire la storia viva dalle sue radici e di essere un enorme appoggio per le donne che hanno bisogno di una zona liberata.
I lavori per il »Villaggio della Donna Libera« sono stati iniziati per necessità. Questa urgenza sarà la risposta all’umiliazione della donna e renderà più chiara la sua forte volontà. Noi sappiamo che le donne sono esposte a ogni tipo di oppressione, assassinio e violenza. Nella consapevolezza di prendere in mano la propria vita, sviluppano le proprie alternative e che possono trovare da sé la risposta alla domanda »Come vivere?« abbiamo preso l’iniziativa e fatto nascere questo progetto. Dopo che ha trovato consenso, abbiamo iniziato ad ascoltare l’opinione di donne da tutte le aree. Da noi sono venute donne che hanno partecipato con progetti e visioni proprie, molte che hanno offerto lavoro quotidiano, molte persone e organizzazioni che hanno testimoniato la loro solidarietà.
Spesso siamo confrontate con la domanda su come si sia enucleato il cuore di queste idee. Il nostro Presidente Abdullah Öcalan aveva messo all’ordine del giorno questa discussione e in seguito il movimento delle donne curde ha sviluppato un suo progetto che era aperto alle discussioni. Per esempio nell’inverno più profondo, quando tutto era coperto di neve, ci siamo sedute con 24 giovani donne e abbiamo discusso di un villaggio ecologico per donne. Con questa discussione si sono scaldati i nostri cuori, si è rafforzata la nostra coscienza e alla fine si sono uniti anche i nostri cuori. Queste discussioni e visioni le abbiamo portate all’ordine del giorno nel Rojava e abbiamo trovato approvazione. Solo quando nel Rojava abbiamo iniziato a raccontare alle persone del nostro progetto e delle nostre visioni, abbiamo notato che nella stessa fase anche donne di altre zone stavano parlando di villaggio autonomo per donne e che avevano anche sviluppato dei progetti. In seguito a questo si è sviluppata una rete naturale e solidale. Dare la parola all’utopia delle donne è bastato. Dopo che abbiamo verificato le condizioni attuali per il villaggio, abbiamo iniziato immediatamente l’attuazione del progetto. Inoltre abbiamo costituito un comitato preparatorio che è fatto di donne che si sono prese a cuore la realizzazione del progetto.
Quali istituzioni hanno partecipato attivamente?
Per il progetto si sono messi insieme Mala Jin (Casa delle Donne), la Fondazione delle Donne Libere in Rojava, il Comitato di Jineolojî, la Cooperativa delle Famiglie dei e delle Combattenti Cadute/i, Kongra Star, il Comitato per la Diplomazia del Rojava e hanno elaborato piani concreti. Dalla tegola di argilla e dalla decisione di quali materiali vogliamo usare, passando per la scelta della paglia, di quali fiori piantare, fino all’istruzione dei bambini, abbiamo parlato di tutto e valutato ogni cosa. E così sono venute fuori anche le basi comuni della vita comunitaria.
Il lavoro ci ha entusiasmate e comprende molte parti della società. Dopo che sono state fatte in tutto 17 riunioni con rappresentanti dell’amministrazione cittadina, dell’agricoltura, dell’economia e di altre istituzioni, il progetto si è concretizzato. Abbiamo discusso in quasi tutte le lingue con diversi ingegneri e ingegnere di molti settori. C’è stata davvero una gara ufficiale per il progetto. I progetti di sette ingegnere e ingegneri sono stati verificati e messi insieme. Fino a questo punto le istituzioni non avevano fatta alcuna richiesta finanziaria. E dall’inizio del progetto il capitale, ossia il denaro, non è nella nostra agenda. Forse proprio per questo il progetto ha trovato un posto speciale nel cuore delle donne ed è stato accolto come un progetto del futuro. Dopo che abbiamo concretizzato questo e avevamo trovato un accordo fino nei dettagli, alla fine abbiamo iniziato il prima possibile a passare alla pratica.
Con il progetto volete presentare un modello esemplare?
Naturalmente … Questo progetto si è dato come obiettivo di rafforzare il legame delle donne con la vita e con la natura e mira anche a costruire 50 case. Inoltre sappiamo anche che migliaia o addirittura milioni di donne sentono il bisogno di ambiti della vita liberi. Questo modello in fondo è orientato contro la cultura della vita cittadina, ha l’ambizione di dispiegare una vita alternativa, naturale e ecologica. Non vogliamo costruire blocchi di cemento a più piani, vogliamo case naturali abitabili. Siamo contro quella produzione basata sulla manipolazione dei geni, le donne manderanno avanti l’agricoltura e l’allevamento del bestiame con la loro volontà e la loro forza. Fondamentalmente vogliiamo superare la cultura del modo di vivere cittadino. La nostra prospettiva va lontano e non vogliamo realizzare questo progetto in un solo villaggio, ma anche in molti altri.
Come avete scelto le donne che vivono nel villaggio? Quello che voglio chiedere è – lì vivranno solo donne che hanno sofferto della violenza della guerra e della violenza maschile? Ci sono anche altre donne che lo ritengono necessario? Su quale base stabilite le vostre priorità?
Le donne che vivono in questo villaggio decidono da sé sulla loro vita, i loro figli, la loro economia, ecologia, la natura, la sanità e molto altro. Come Comitato per la Costruzione nel Rojava abbiamo individuato le donne che hanno bisogno di questi spazi di vita. Abbiamo scelto preferibilmente i figli, le meglio di caduti con le loro visioni e i loro progetti. Il villaggio è aperto a ogni donna che può fare propria la concezione collettiva della vita.
La domanda più importante è come sarà organizzata la vita nel villaggio?
Quando i nostri preparativi saranno conclusi, il villaggio avrà anche una sua accademia. Sarà un’accademia di scienza delle donne o nel nome originale un’accademia di Jineolojî. Qui verranno raccolte le esperienze di vita e la conoscenza delle donne e applicate passo per passo alla vita del villaggio. In effetti questo è esattamente l’argomento che interessa di più le donne e che suscita la loro curiosità.
Oltre a questa accademia verrà costruito un centro per la medicina naturale che si fonda sulla saggezza delle donne in questa regione. Questo villaggio avrà anche un luogo di istruzione per i bambini, stalle per il bestiame e terreni agricoli, possiamo dire che il raccolto di quest’anno è stato il più efficiente di tuta la regione. L’agricoltura è già iniziata. Tutte le capacità delle donne sono presenti e il progetto vive attraverso la gioia delle donne.
Così come a livello sociale vengono formati consigli e comuni, anche nel nostro villaggio poi ci saranno un consiglio, una comune e un’amministrazione.
In questa fase di sviluppo noi come comitato di costruzione prenderemo in carico l’organizzazione della vita, le misure formative e proseguiremo il nostro lavoro su questa base.
Quando il contratto sociale del villaggio, il consiglio e la comune saranno completati, le donne potranno rivendicare le loro decisioni e i loro diritti. In generale è previsto un modo di vivere aperto ai cambiamenti. I loro bisogni sono fondamentalmente la base per le decisioni comuni delle abitanti del villaggio e per coloro che vogliono andarsene o stabilirsi qui.
Approfondiamo un po’ di più il tema dell’economia. È un obiettivo distante quello di creare un’economia dello scambio per donne o sarà già ora una base della vita economica?
Oggi i problemi economici vengono valutati solo dal punto di vista della mentalità capitalista e su questa base. Vita, morale e etica, cultura, usanze e tradizioni sono i valori spirituali dei popoli. In nome dell’economia questi valori oggi vengono distrutti e trattati pezzo per pezzo sul mercato. Religione, cultura, tradizione, storia e perfino artefatti storici vengono abusati in nome dell’economia. Se come reazione a questo citiamo l’economia dello scambio, questo suscita preoccupazione, anche se l’economia dello scambio è già presente nella tradizione delle donne.
In questo villaggio l’economia comunitaria è un elemento fondativo. Tutte vengono retribuite in base ai loro bisogni, ma in base al fondamento del lavoro comune. Per questo non faremo ricorso a una serie di leggi, regole, richieste e divieti, ma il bisogno di tutte verrà calcolato e la produzione verrà distribuita di conseguenza. Considerare l’eccesso produttivo come merce della vita comune comunitaria e del lavoro collettivo è costruttivo. Inoltre donne arabe e curde dei dintorni ci offrono il loro aiuto. Mangiamo insieme, lavoriamo insieme e sviluppiamo una comunicazione. Molte di noi non capiscono le rispettive lingue, ma le nostre anime sono collegate da questa costruzione.
Abbiamo piantato insieme il giardino del nostro villaggio. Le verdure verranno utilizzate insieme alle donne dei dintorni, si potranno offrire per esempio pomodori e cipolle per uno scambio e allora è anche indifferente cosa ci verrà dato in cambio. Questo è il metodo più semplice dell’economia dello scambio. Da questo punto di vista la nostra iniziativa è già iniziata e noi vogliamo continuare in questo modo.
Ci sono anche voci contrarie che mettono in dubbio il fatto che questo progetto possa offrire uno spazio di vita alternativo per donne. Abbiamo saputo anche che queste persone evidentemente hanno creato un fronte e vogliono distruggere questa coesione sociale. Cosa ha da dire in proposito?
Viviamo in una fase nella quale non sono state create regole, leggi e direttive in favore delle donne. Le leggi esistenti sono sessiste e costruite dallo Stato e vengono varate sotto l’ala protettiva dello Stato. In queste leggi non possiamo riconoscere alcun tipo di spunto risolutivo per la liberazione dei generi e per una vita paritaria, dato che qui manca la consapevolezza dei problemi. Perché le leggi e i modi di vita odierni vengono sviluppati solo a favore di un genere in particolare a favore dell’uomo, del sistema patriarcale. Se per esempio una donna si sposa, nessuno si preoccupa di come vivrà, di come se la caverà, di quali saranno le sue necessità. Anche se a volte vengono fatte riflessioni in proposito, non diventa mai argomento di discussione perché l’uomo che questa donna alla fine ha sposato, avrà il controllo su di lei, la responsabilità piena. Per la società questo sembra essere un modo molto semplice, dato che è stata abituata a questo in modo socio-strutturale. In questo senso quando arriva all’ordine del giorno un modo di vivere senza uomini, si pongono improvvisamente delle domande: »Le donne sono in grado di sviluppare la loro forza, possono agire in modo economico, sociale, culturale e politico, ma come andrà a finire tutto questo …?« Ma noi sappiamo anche che una donna, dovunque sia, è in grado di soddisfare i suoi bisogni biologici con una volontà forte e la consapevolezza. È solo che non ha potuto liberare la sua energia e il suo potenziale, dato che ne è stata derubata in tutti gli ambiti della vita.
È più opportuna la domanda di come l’uomo possa dare il suo contributo a questo progetto e a questo spazio di vita. Se la donna stabilisce se stessa, i suoi figli, la sua terra e la sua consapevolezza di sé e la sua saggezza nella vita, allora con questo processo rafforzerà la sua coscienza e la sua autodifesa. Di questo siamo convinte. Noi pensiamo che le altre obiezioni siano fuori luogo. Inoltre le donne che hanno preferito una vita indipendente dall’uomo sapranno anche spezzare questa modalità della mentalità maschile e sviluppare spunti di soluzione.
Potrebbero anche sorgere riserve e sensibilità, ad esempio rispetto al fatto che la donna viene isolata dalla società. Anche quando le combattenti nel Rojava hanno preso il ruolo guida nella rivoluzione non si sono isolate. Al contrario, dal punto di vista della solidarietà sociale, si sono organizzate in modo molto più forte. Allo stesso modo le donne a Jinwar hanno anche il potenziale di promuovere il cambiamento insieme alla società. Questo è uno dei nostri più grandi obiettivi. La vita comunitaria non si svilupperà solo nei confini del villaggio e non si limiterà a un villaggio. Il nostro obiettivo è di intensificare e arricchire questo lavoro con i nostri primi e di prepararlo in tutti i settori. I nostri lavori, che portiamo avanti in un’area di circa trenta ettari, attualmente sono nella loro fase più feconda, perché siamo impegnate nella costruzione delle case. Abbiamo finito 21 case, la costruzione delle altre dura ancora. Pianifichiamo il completamento di tutte le case entro la fine del 2017 e cerchiamo di creare l’infrastruttura corrispondente.
Il nostro progetto è aperto a ogni tipo di sostegno materiale e morale. A questo scopo potete mettervi in contatto con noi tramite la pagina seguente: www.jinwar.org
Sozdar Dersim sul villaggio delle donne libere; per Kurdistan Report settembre/ottobre 2017