Rassegna Stampa

Forza dimostrata

Panoramica 2017. Oggi: Kurdistan. Nuovo inizio in Siria, guerra in Turchia: il movimento di liberazione si consolida. Il 17 ottobre le Forze Siriane Democratiche (FSD) hanno annunciato la »liberazione completa« dell’ex capitale dell’autoproclamato califfato della milizia terroristica »Stato Islamico« (IS) che nella regione è noto con il nome di Daesh. Il caso di Raqqa ha avviato la completa decadenza di IS in Siria. Già all’inizio di dicembre il vice capo di stato maggiore russo Sergej Rudskoj aveva dichiarato: »Nella Repubblica Araba di Siria oggi non c’è più un solo luogo e un solo distretto che si trovi ancora sotto il controllo di IS.« Il fatto che Daesh alla fine del 2017 almeno in Siria possa essere considerato sconfitto è dovuto soprattutto al movimento curdo, le cui Unità di Difesa del Popolo (YPG) dalla difesa della città di confine Kobani in Siria del nord nell’anno 2014 in poi, hanno respinto sempre di più gli islamisti.

Contemporaneamente nel nord della Siria, a partire dalla regione curda di fatto autonoma del Rojava, è stato costruito un sistema multietnico basato su consigli locali. Per il consolidamento di questo processo politico della Federazione Democratica Siria del Nord – questo il nome ufficiale della zona amministrata in modo autonomo – nell’autunno del 2017 si sono svolte elezioni. 3.700 comuni hanno eletto i loro rappresentanti tra oltre 12.000 candidati, la partecipazione è stata del 70 percento. È seguita la votazione per i consigli cittadini e distrettuali a dicembre, a gennaio 2018 è prevista l’elezione del Parlamento di tutti e tre i cantoni della Federazione, del Consiglio Democratico del Popolo. La bozza di Costituzione rinnovata per il territorio, anch’essa al momento in discussione, prevede la costruzione di un socialismo democratico e la creazione di parità tra i generi.

Al consolidamento a livello di politica interna corrisponde la prospettiva di un riconoscimento a livello internazionale. La cooperazione militare con la »Coalizione Anti-IS« a guida USA, nonostante i tentativi del governo turco di silurare la collaborazione, sembra continuare. Anche le relazioni tra Mosca e il movimento curdo ultimamente sono visibilmente migliorate. Così rappresentanti dell’amministrazione del Rojava su invito della Russia nel prossimo mese di febbraio parteciperanno al »Syrian National Dialogue Congress« a Sochi.

Crisi nel Bashur

Se la situazione nei territori curdi in Siria si è stabilizzata, invece nella regione autonoma curda nel nord dell’Iraq (KRG, detta anche Bashure) dopo un referendum per l’indipendenza totale è caduta in una crisi profonda. Il capo del potentato locale Masud Barzani, leader del Partito Democratico del Kurdistan (KDP) e tradizionalmente fermo oppositore del movimento di liberazione curdo, ha fatto svolgere la votazione a settembre per rafforzare la sua pozione nella KRG. Ma i suoi alleati di un tempo, soprattutto Ankara e Washington, si sono rivolti contro di lui.

Anche se effettivamente oltre il 92 percento die votanti ha votato per un proprio Stato. Ma il governo centrale irakeno ha reagito con un’avanzata militare al tentativo di distaccamento dei territori curdi. La regione autonoma ha perso il controllo di ampie parti del territorio che aveva conquistato nella lotta contro IS. Anche la regione ricca di petrolio intorno a Kirkuk è andata a Bagdad e alla milizia Hashd Al-Shaabi controllata dall’Iran.

Bese Hozat, co-Presidente dell’Unione delle Comunità del Kurdistan, vicina al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), in una presa di posizione dopo il referendum ha sottolineato che anche il movimento di liberazione ovviamente »non è contraria a un Kurdistan indipendente«, ma che la votazione è stata tenuta per altre ragioni: »Il KDP ha progettato questa impresa per uscire dalla crisi nella quale si trovava. E per mettere a tacere l’opposizione. Tutto il potere è nelle mani del KDP, più ancora nelle mani della famiglia Barzani.«

Guerra in Turchia

Nel 2017 è proseguita senza diminuire anche la guerra nel Bakur, il territorio curdo in Turchia. Alla distruzione di quasi tutte le città a maggioranza curda della zona da parte dell’esercito turco è seguita un’offensiva del PKK con centinaia di azioni di guerriglia da parte delle Forze di Difesa del Popolo vicine al PKK. Secondo stime caute dell’International Crisis Group dalla metà del 2015 fino all’inizio di dicembre 2017 avrebbero perso la vita complessivamente 3.302 persone, tra cui 1.035 soldati e poliziotti turchi.

Ankara nello scontro con l’opposizione curda si serve di mezzi sempre più apertamente fascisti. Esecuzioni extragiudiziali, tortura e arresti di massa non sono una rarità. Il partito curdo di sinistra HDP, che nelle elezioni parlamentari nel novembre 2015 ha ottenuto oltre il dieci percento dei voti, di fatto è stato fatto a pezzi con l’arresto dei suoi dirigenti e di migliaia di iscritte e iscritti.

Il fondatore del PKK Abdullah Öcalan che dal 1999 si trova sull’isola carcere turca di Imrali per tutto il 2017 è rimasto in isolamento inasprito. Nelle regioni curde e all’estero dalla metà del 2017 si svolgono manifestazioni di massa con decine di migliaia di partecipanti per chiedere la sua liberazione. Questa viene considerata una condizione per una soluzione pacifica della questione curda in Turchia.

Tuttavia sembra più lontana che mai. Il regime di Erdogan vuole ottenere militarmente l’annientamento dell’identità dei curdi e si esercita – nonostante le perdite – in slogan sul tenere duro. Ankara l’ingresso nel cantone curdo-siriano di Afrin, bombarda regolarmente obiettivo nelle regioni montuose del nord dell’Iraq, considerate quartier generale della guerriglia, e continua a sostenere islamisti nel nord della Siria.

Nell’esilio repressione

A livello internazionale intanto l’AKP turco è sempre più isolato. Gli USA come la Russia ignorano le richieste di interrompere i contatti con il movimento curdo. Solo tra Berlino e Ankara almeno rispetto alla questione curda non sembra essere cambiato quasi nulla. Il governo federale continua a procedere con durezza contro i sostenitori del PKK. Dalla primavera del 2017 praticamente tutte le bandiere del movimento curdo sono considerate vietate, sono state vietate diverse iniziative, altre attaccate dalla polizia. Mentre processi contro Imam turchi, accusati di attività in favore di Erdogan, sono stati fermati, le autorità tedesche perseguono attivisti che portano bandiere curde durante le manifestazioni o le postano su Internet.

di Peter Schaber

Da Junge Welt

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