A Parigi inizia un tribunale internazionale sulle atrocità turche contro i curdi. Un ricordo dei massacri a Cizre, Sur e Nusaybin- Nel 2016 sono stato per due volte come giornalista per un periodo prolungato nel sudest curdo della Turchia – a gennaio e febbraio, poi a aprile. C’era la guerra. Il regime dell’KP faceva »ripulire« città dopo città dagli attivisti dell‘opposizione, come lo ha espresso il presidente Recep Tayyip Erdogan. Vennero usati carri armati e artiglieria, migliaia di soldati pesantemente armati e forze speciali della polizia e della gendarmeria combattevano contro alcune centinaia di giovani curdi che si erano riuniti nelle cosiddette Unità di Difesa Civili (YPS).
Quasi tutte le città curde più grandi – Amed (Diyarbakir), Nusaybin, Cizre, Gever (Yüksekova) – nell’ambito del crimine di guerra spacciato da Ankara come »operazione anti-terrorismo« sono state ridotte in macerie. I campi di battaglia non si distinguevano dalle città siriane: bombe grandinavano da anelli di accerchiamento nei quartieri residenziali sbarrati, i fischi striduli del fuoco dei cecchini si mescolavano alle sorde esplosioni del fuoco dei carri armati.
Centinaia di civili assassinati
Quante siano in tutto persone le persone morte è difficile da dire. Le Nazioni Unite nel marzo 2017 fecero sapere che circa 500.000 civili erano stati espulsi nel corso dei combattimenti tra il luglio 2015 e il dicembre 2016, 2.000 persone, tra cui 800 appartenenti alle forze di intervento turche, avrebbero perso la vita. Se i numeri, che si rifanno a fonti governative turche, siano veritieri, è dubbio. Indagini indipendenti in Turchia sono state avversate con grande impegno da Ankara. E tribunali internazionali o la giustizia di Paesi partner come la Germania, non si interessano dei crimini della soldatesca di Erdogan.
Mi ricordo ancora molto bene di Mustafa Cukur. Quando alla fine di aprile arrivai nel centro culturale Dicle-Firat nella grande metropoli di Amed per parlare con lui, disse immeditatamente: »Perché nessuno si interessa di quello che succede qui? Perché guardate dall’altra parte? Perché il tuo Paese« – intendendo la RFT – »sostiene queste stragi?« Aveva tutte le ragioni del mondo per essere adirato. La maggior parte dei media occidentali non si occupavano di quello che stava succedendo lì. E i governi da Berlino fino a Washington almeno indirettamente davano sostegno.
Mustafa Cukur era infuriato per questo. La sua figlia 17enne era stata uccisa nel conteso quartiere della città vecchia Sur da soldati turchi. Per mesi ha dovuto aspettare per poter seppellire la sua Rozerin. Anche questo gli veniva negato dalle autorità. Insieme a altri padri e madri teneva una veglia di protesta nel centro culturale. Sopra i genitori in lutto, era appeso un manifesto con i nomi dei loro figli scomparsi o assassinati: Turgay Gircek, Rozerin Cukur, Mahmut Oruc, Hakan Aslan, Cihat Morgül, Gündüz Amese, Welat Bilen, Erhan Keskin, Ramazan Ögüt.
Per i nomi dei morti che lo Stato turco fece assassinare nel febbraio 2016 a circa 250 chilometri di distanza da Amed-Sur, non basterebbe lo spazio su questa pagina di giornale. A Cizre, un’altra roccaforte del movimento di liberazione curdo, c’erano scontri come a Amed-Sur. Alla fine dei combattimenti le forze armate di Erdogan assassinarono dozzine di civili che avevano cercato rifugio nelle cantine di alcuni edifici. Dato che vennero bruciati vivi, i loro resti sotterrati o portati via in sacchetti di plastica e le case sono state spianate, fino a oggi non è chiaro di quante persone si sia trattato. L’associazione turca per i diritti umani IHD e l’organizzazione di medici IPPNW parlano di 178 vittime.
Simbolico, ma importante
La giustizia turca, ormai da tempo sottomessa agli obiettivi politici di Erdogan, non si è mai impegnata per fare luce sulle atrocità che sono state commesse nella guerra intorno alle città curde negli anni 2015 e 2016. Anche all’estero sono state ignorate. Una denuncia di noti giuristi contro il governo turco presso la procura generale non portò a niente, Berlino mantenne il suo sostegno attivo dei crimini di Ankara.
Anche i media borghesi iniziarono molto tardi, se in assoluto, a parlare dei massacri delle cantine di Cizre, degli omicidi a Amed-Sur o della distruzione nella città di confine di Nusaybin. Sulle prime pagine della cosiddetta stampa di qualità, i tormentati e torturati a morte, gli sparati e dilaniati dalle bombe non sono riusciti a arrivare.
Riportare alla memoria i sanguinosi eventi degli anni 2015 e 2016 è ciò che vogliono fare giuristi, attivisti di sinistra, intellettuali e politici che il 15 e 16 marzo si incontreranno a Parigi. Il »Tribunale Permanente die Popoli« sulla Turchia è, così uno dei giudici, il giurista tedesco Norman Paech, »un processo simbolico che non dispone di strumenti legalmente riconosciuti di condanna e sanzione«. Tuttavia assolve alla funzione dell’indagine, documentazione e memoria delle azioni dell‘amministrazione Erdogan. »Serve alla giustizia e alla memoria dei popoli«, così Paech.
di Peter Schaber
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