Consapevolezza diversa nonostante repressione e violenza sessuale nella parte occupata del Rojava. Un colloquio con Lydia Gottschalk. Lydia Gottschalk ha vissuto diversi anni nel territorio dell’amministrazione autonoma curdo-siriano del Rojava. A Amburgo ne parlerà domenica 29 prime durante un’iniziativa.
Come le è venuta l’idea di andare in Kurdistan e cosa ha fatto quando era lì?
La decisione era strettamente collegata al mio percorso di vita e anche un risultato di sviluppi sociali e politici. Ho iniziato presto a lottare per i diritti delle donne, contro l’energia nucleare e contro il razzismo. All’epoca compresi che non conosciamo veramente né la storia dei movimenti sociali in Europa né mettiamo in pratica le nostre richieste nelle nostre vite. Ho strutture imperiali e post-coloniali che vengono tenute in piedi dagli Stati con tutta la loro forza. Così mi sono chiesta, se ci fosse una situazione come all’epoca in Spagna e in Catalogna, tutti i movimenti anticapitalisti sarebbero in grado di agire insieme? Ho girato il mondo e ho conosciuto molte idee, ma non avevo mai visto un movimento di donne così forte come quello curdo. Sono andata in Kurdistan, ho raccolto impressioni, imparato il curdo e ho conosciuto la situazione delle persone in molte città e regioni. Ho lavorato nei consigli delle donne e nel settore della formazione su piani per un nuovo sistema scolastico, imparato a vivere nelle comuni e a ascoltare. Oggi considero mio compito più importante riportare in Europea le esperienze, in parte della guerra ma anche la forza e la speranza della rivoluzione in Rojava.
Com’è la situazione delle donne in Rojava rispetto a quella in altre zone del Medio Oriente?
In Rojava le donne hanno voce in capitolo in modo netto. Sono le prime a prendere la parola nelle assemblee. Sono quelle coraggiose che prendono le armi prima contro IS e ora contro la Turchia. Perché? Perché amano la vita e le persone. Hanno orgoglio e grazia e prendono iniziativa in tutti gli ambiti della società. Non solo le curde. Allo stesso modo le arabe, turkmene, ezide, assire.
Le ha lavorato anche nei campi profughi. Che tipo di posti erano e come si organizza lì il movimento delle donne?
A Machmur si trovano persone che negli anni ’90 sono fuggite in Iraq dal Kurdistan del nord perché l’esercito turco aveva bruciato i loro villaggi e torturato la popolazione. A Sengal nel nord dell’Iraq »Stato Islamico« dopo il ritiro del »Partito Democratici del Kurdistan« ha commesso un genocidio della popolazione ezida.
Le donne delle YPJ del Rojava hanno svolto un ruolo guida non solo nella protezione dei sopravvissuti, molto sostegno è arrivato da loro anche nell’approvvigionamento in ambito civile. Sono stati fondati sia consigli autonomi delle donne sia consigli comuni.
Come funziona l’organizzazione autonoma delle donne?
In tutti gli ambiti della vita, sia la comune, l’istruzione e la cultura, la difesa, la diplomazia, ci sono sia consigli comuni con doppi incarichi sia consiglio autonomi delle donne. Ma ci sono difficoltà nel superare gli schemi di ruolo. È ancora minore il numero di donne che vogliono partecipare al lavoro diplomatico rispetto al numero nella costruzione di cooperative e comuni.
Attualmente viene costruito un canale televisivo di donne: Jin TV. Perché?
Jin TV può portare la forza delle donne del Rojava nel mondo e superare i confini nelle teste. Le donne qui possono fare tutto da sé, dalla giornalista alla regista, dalla redattrice all’addetta alle telecamere, dalle tecnica alla moderatrice. Una cosa del genere non esisteva ancora.
Qual è la situazione delle donne nel Cantone di Afrin dall’ingresso della Turchia?
Sono in contatto con conoscenti sul posto – la situazione è molto critica. Tra i profughi si diffondono malattie. Molti bambini sono morti perché le donne non possono più allattare. Manca tutto, ma non hanno perso la loro dignità. Le donne che sono rimaste a Afrin vivono cose ancora peggiori. Lì bambine a partire dai nove anni vengono sequestrate e fatte sposare a jihadisti. Anche a una famiglia che conosco è successo questo. Donne che vanno in strada non accompagnate da un uomo sono vittima di violenze sessuali.
Ma le donne di Afrin sono libere nelle loro menti. Non accetteranno mai l’occupazione da parte della Turchia e degli jihadisti.
Intervista: Anja Flach
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