Anche se la parola boicottaggio è un concetto vecchio di 139 anni, come atteggiamento collettivo ha la stessa età della socializzazione. Il boicottaggio non è solo un concetto di accusa e di condanna. Piuttosto è uno strumento di pressione organizzato, politico, sociale e economico. Il suo valore di posizione fondamentale lo acquisisce attraverso la sua natura organizzata.
Non importa se un individuo boicotta un’altra persona, un marchio, un’azienda o un paese. Un ruolo questo atteggiamento però lo svolge quando migliaia o addirittura centinaia di migliaia o milioni di persone sviluppano questo atteggiamento in modo organizzato. La storia più recente è piena di innumerevoli esempi per questo.
Per esempio negli anni ’50 c’è stato il boicottaggio degli autobus di Montgomery. Era una protesta del movimento per i diritti civili dei neri negli USA contro la politica di segregazione razziale. Centinaia e migliaia di neri boicottarono i viaggi con gli autobus, crearono comunità di trasporto, usarono taxi o andarono a piedi e svilupparono con questo nuove forme di protesta. Rosa Parks diventò il simbolo di questa ondata di proteste. Venne arrestata perché si era rifiutata di liberare il suo posto a sedere per un passeggero bianco. E dopo tutte le proteste, la segregazione razziale negli autobus finì.
Anche nel 1974 sotto la guida dei Comitati Anti-Apartheid che negli anni ’60 e ’70 erano stati costituiti in Europa, vennero avviate campagne di boicottaggio contro merci prodotte in Sudafrica. Con questo volevano sostenere anche la lotta condotta nella loro patria contro l’Apartheid. La prima grande campagna è stata la campagna Anti-Outspan. Era nata in Olanda e era rivolta contro la vendita di arance della ditta sudafricana Outspan. Tra l’altro con manifesti e banchetti informativi si tennero manifestazioni davanti ai supermercati contro un tour pubblicitario di Outspan. Manifesti con le scritte »NON MANGIATE ARANCE OUTSPAN«, »NON SPREMETE SUDARFICANI« invitavano i consumatori a boicottare le arance e altra frutta proveniente dal Sudafrica. Gli attivisti usarono consapevolmente un linguaggio provocatorio per animare la popolazione a riflettere. Perché obiettivo della campagna era anche indurre gente comune a mettere in discussione il consumo e a consideralo da un punto di vista morale e di coscienza. Nell’acquisto infatti, le persone prestano a stento attenzione alle condizioni nelle quali questa merce è stata prodotta. Spesso sottovalutiamo che alla base di prezzi bassi spesso c’è un forte sfruttamento. Detto in breve: molto pochi di noi consumano in modo consapevole o prestano attenzione al commercio equo, perché molti vivono in condizioni economicamente confortevoli e con questo diventano passivamente parte di questo ingranaggio. Del resto pensiamo spesso che il comportamento solo da parte nostra rispetto ai consumi non otterrebbe nulla di positivo o di negativo.
Morale, politica e consumo
In questa sede dovremmo parlare dell’aspetto morale e di coscienza del boicottaggio. La modernità capitalista punta a distruggere la vita morale attraverso un comportamento nei consumi che è orientato al profitto e alla proprietà. Cerca di convincerci del fatto che il consumo non è politico, anche se questo si trova comunque in collegamento diretto con morale e politica. Per questo è importante sviluppare una cultura del consumo consapevole per una società morale e politica. E a maggior ragione quando questa società è sottoposta a assedio e occupazione.
A fronte dei seguenti fatti non possiamo chiudere i nostri occhi: anche se non lo facciamo intenzionalmente, contribuiamo all’economia di un regime fascista che occupa la nostra terra che distrugge il nostro spazio vitale e conduce una battaglia di annientamento guerresca contro di noi. In particolare attraverso il consumo di merci di imprese vicine al governo, attraverso le vacanze sulle coste della Turchia, sosteniamo l’economia di guerra. Anche per lo Stato è caro condurre una guerra. In tempi del genere, gli Stati cercano di ottenere maggiori guadagni con aumenti delle tasse e più elevate entrate dall’esportazione. Per questo è esattamente il momento giusto per proclamare un boicottaggio economico, proprio quando l’economia per via della guerra è in declino. Perché in tempi del genere il crollo del regime fascista può essere accelerato.
Alcuni potranno pensare che il boicottaggio non colpisce lo Stato, ma i lavoratori. Ma lo Stato si mantiene in ogni caso attraverso lo sfruttamento del lavoratore. Perché la situazione che l’economia turca ha raggiunto ora, l’inflazione e la perdita di valore della Lira turca, colpisce maggiormente le persone che lavorano. Quindi il boicottaggio andrebbe considerato come una modalità di resistenza. Inoltre le campagne di boicottaggio dovrebbero affrontare anche il tema dello sfruttamento.
In particolare la campagna di boicottaggio condotta in Olanda contro il regime razzista di Apartheid in Sudafrica, entra nella storia come il lavoro più efficace e convincente del movimento Anti-Apartheid. Anche il movimento delle donne protestanti qui figura tra le forze guida. Una ragione del perché la campagna è stata così efficace, sono stati i materiali preparati. Banner specifici, flyer e opuscoli che mostravano esattamente quali prodotti dovevano essere boicottati sono stati stampati e distribuiti a milioni. Così è stata creata un’opinione pubblica molto ampia per informare tutte le persone. Il boicottaggio in questo contesto è anche un lavoro rispetto alla consapevolezza.
Andrete ancora in vacanza nell’Egeo o nell’area mediterranea?
Per questo è importante condurre una campagna di boicottaggio efficace contro lo Stato turco per informare e mettere in moto in questo modo un’opinione pubblica ampia. E da questo punto di vista tutte le persone hanno qualcosa da fare. Andrebbero organizzate e coinvolte nel boicottaggio.
Dobbiamo essere consapevoli del fatto che con i prodotti che acquistiamo e con le vacanze che facciamo sulle coste turche sosteniamo lo Stato che conduce una guerra di annientamento in Kurdistan. Inoltre dovremmo identificare anche aziende nei Paesi che collaborano con lo Stato turco e inserirle nella campagna di boicottaggio. Dobbiamo diffamare pubblicamente queste imprese che collaborano economicamente con il regime fascista. Per esempio dovrebbero essere incluse nel boicottaggio anche imprese turistiche che collaborano con il settore turco del turismo. Ogni Euro che viene speso per l’economia di guerra turca si trasforma in una pallottola che deve versare sangue.
Ma la cosa più importante è rendere note pubblicamente tutte le aziende che vendono armi alla Turchia e in questo modo far cessare questa collaborazione. In particolare andrebbe preso contatto con i lavoratori nelle fabbriche e dovrebbero essere incoraggiati a esercitare pressione sulle aziende interessate. Un gran numero di imprese europee vende componenti all’industria bellica turca. Come Mercedes. Una campagna di boicottaggio complessiva e organizzata dovrebbe esporre anche tutte queste aziende.
Non partecipare al boicottaggio sarebbe espressione dell’opportunismo, sulla base del quale il regime fascista acquista il suo potere. Il boicottaggio è soprattutto un atto politico. E questo agire politico può essere efficace solo quando viene organizzato e condotto insieme. Per questo dobbiamo in primo luogo cominciare da noi stessi e guardarci intorno. Dovremmo aprire le credenze nelle nostre cucine, guardare cosa consumiamo. Poi guardare gli altri prodotti che usiamo nella quotidianità. E attraverso questo dobbiamo diventare attivi. Non possiamo dire No. Se necessario modificheremo radicalmente le nostre abitudini di consumo e con questo non daremo nemmeno un centesimo al regime fascista di AKP-MHP. Se necessario, quest’anno non andremo a casa. Perché se non agiamo oggi, forse non potremo tornare per anni nel nostro Paese, forse il nostro villaggio allora non esisterà più.
È esattamente il momento giusto per il boicottaggio. Perché le possibilità di mettere alle strette il regime fascista attraverso il boicottaggio, quindi attraverso sanzioni economiche organizzate, sono migliori che mai. La cosa più importante è trovare insieme alla nostra famiglia, ai nostri amici e colleghi, una collocazione nella campagna di boicottaggio. L’importante è che non diciamo, »mi è indifferente «.