Interviste

Intervista a Yilmaz Orkan, dell’Ufficio Informazione del Kurdistan in Italia

Abbiamo intervistato Yilmaz Orkan, dell’Ufficio Informazione del Kurdistan in Italia (UIKI onlus) sull’attuale situazione di curdi e yazidi, mimacciati dal fascismo islamico della Turchia.

È indiscutibile che le YPG (Unità di protezione popolare) e le Forze Democratiche Siriane hanno rappresentato l’essenza delle forze di terra nella lotta contro il Califfato, pagando un prezzo molto alto con la vita di migliaia di combattenti per la libertà. Ma questo non ha fermato gli attacchi di Ankara contro le regioni autonome curde nel Nord della Siria. Si può parlare di un ennesimo tentativo di pulizia etnica da parte della Turchia? Quali sono stati i precedenti?

Prima di creare la Repubblica in Turchia, l’impero ottomano e il movimento Ittahat-Teraki (Giovani Turchi) volevano creare una popolazione omogenea. Per questo motivo hanno compiuto il genocidio contro gli armeni, nel 1915. Quando nel 1923 ci fu la nascita della Repubblica Turca, iniziò il processo di assimilazione di tutte le differenti etnie che vivevano in quelle terre. Così ebbe inizio la politica di annientamento che vediamo tuttora applicata dalla Turchia contro il popolo curdo. Al momento, mentre tutte le altre etnie sono state eliminate, i curdi continuano a resistere. Ciò è il prodotto di una politica nazionale, applicata da tutti i governi che si sono susseguiti, fino ad arrivare a oggi. Dopo il 25 aprile 2015, il governo di Erdogan ha cambiato modalità: ha attaccato i curdi nelle città del sud-est dell’Anatolia (Kurdistan del Nord) uccidendo 299 persone solo nella città di Cizre, e per la prima volta ha iniziato ad attaccare i curdi al di fuori dello Stato turco. Per questo motivo ha appoggiato l’ISIS e i gruppi jihadisti, i quali sono stati prima addestrati in Turchia, e poi inviati a combattere in Siria. Una parte di questi combattenti tra l’altro fanno parte dell’intelligence turca. Quando il governo turco ha capito di non poter sconfiggere i curdi utilizzando questi jihadisti, ha deciso di formalizzare un’alleanza con questi e ha attaccato e invaso Afrin, nel nord della Siria. Questa minaccia continua ancora oggi: l’esercito turco ha infatti invaso anche una parte del Kurdistan Iracheno.

Il ritiro, totale o parziale, degli USA dal Nord della Siria fornirebbe alla Turchia l’occasione per un’invasione su larga scala. La Francia sembrava proporsi come garante dell’incolumità delle popolazioni curde. Vedi le recenti dichiarazione dell’ex presidente Hollande a Kirkuk e gli appelli del Partito Socialista francese. Vedi anche l’appello all’Unione Europea di Generation-s per “creare una zona di protezione sotto l’egida dell’ONU nel Nord della Siria”. Una vostra opinione e un vostro commento sull’eventuale ruolo sia di Parigi sia delle Nazioni Unite…

Gli Stati della Coalizione Internazionale hanno collaborato con i Popoli del Rojava e solo assieme sono riusciti a sconfiggere l’ISIS. Oggi i popoli autoctoni hanno creato un sistema confederale e democratico in cui le diverse etnie e religioni vivono assieme. Questa è una grande vittoria. Nonostante l’ISIS stia per essere eliminato fisicamente nella zona del Rojava, la minaccia jihadista non è ancora finita. In migliaia sono stati arrestati e sono detenuti nei campi di prigionia, mentre le loro famiglie – donne e bambini – si trovano nei campi di sorveglianza. Adesso vorremmo istituire un Tribunale Internazionale per procedere contro i crimini di guerra commessi da questi foreign fighters. Fino a quando ciò non accadrà, la Coalizione Internazionale non potrà ritirarsi. Siamo noi i primi a chiederci dove potrebbero andare a finire tutti questi combattenti. La guerra civile non si è ancora fermata in Siria. Secondo noi, la Coalizione dovrebbe avere un ruolo di garante per la creazione di una Siria che sia realmente federale e democratica. Se si dovesse ritirare prima, tutti gli sforzi fatti fino a ora rischierebbero di essere inutili e altre forze regionali, come Iran e Turchia, occuperebbero questi territori in pianta stabile. La Francia così come i dirigenti degli Stati Uniti sono a conoscenza di tutto ciò.

Soldati dell’YPG.

L’offerta del movimento curdo a Damasco per una soluzione che comporti una Siria decentralizzata, federale, ha qualche possibilità di essere recepita? Cosa ha risposto Damasco finora?

Fino a ora il regime non ha ancora un nuovo progetto per la Siria. Assad vorrebbe ritornare alla situazione preesistente all’inizio della guerra. Vorrebbero ritornare al 2010. Qualcuno, all’interno del suo entourage, propone una autonomia culturale per i popoli. Ma dopo 8 anni di guerra, dopo migliaia di feriti e caduti, questo non è più possibile. Oggi tutte le popolazioni, le diverse etnie di diverse religioni, chiedono libertà. Quando andiamo a vedere il sistema creato nel Rojava, ci rendiamo conto che questo impianto funziona. Per questo proponiamo un sistema che sia federale o confederale.

Scioperi della fame a oltranza, sia di Leyla Guven, sia di altri prigionieri ed esponenti politici… La risposta della solidarietà internazionale è stata adeguata alla gravità della situazione? Vi sembra siano state comprese correttamente – da parte dell’opinione pubblica e delle istituzioni internazionali, Unione Europea in primis – le ragioni profonde di tale lotta estrema, radicale (ossia la fine dell’isolamento per Ocalan)?

Quando Leyla ha iniziato lo sciopero della fame, voleva dare un messaggio per far capire la gravità della situazione sotto il regime di Erdogan in Turchia e in Kurdistan. Dopo il 25 aprile 2015 (data della fine delle trattative del Tavolo di Pace tra Turchia e il popolo curdo, per il tramite di Ocalan), è iniziato un processo di islamizzazione del Paese. Erdogan ha distrutto l’apparato statale rendendo de facto inutili le istituzioni governative. L’unico elemento di garanzia per garantire la pace erano le trattative con Abdullah Ocalan e la mediazione del partito HDP. L’inizio dell’isolamento del presidente e l’inizio dell’incarcerazione dei rappresentanti del partito HDP rappresentano il momento in cui è finito il periodo di pace e ha avuto inizio la guerra. Gli istituti europei e internazionali hanno capito cosa sta accadendo, ma ancora non hanno deciso che tipo di politica adottare nei confronti della Turchia. Noi abbiamo motivo di credere che anche la CPT (Commissione di Prevenzione della Tortura) voglia andare a visitare il carcere di Imrali per rompere l’isolamento. La Turchia ha espresso il suo veto a tale visita e il Consiglio Europeo non si è ancora espresso. Ciò significa che non è stata ancora decisa la linea politica da tenere nei confronti della Turchia. Ricordiamo che la Turchia gestisce la crisi migratoria dei profughi siriani.

Erdogan appare letteralmente ossessionato dai curdi, ma al momento – dovendo render conto sia a Putin sia a Trump – la situazione rimane incerta, sospesa. È possibile che la questione sia anche, o soprattutto, di natura economica, commerciale? Vedi l’acquisto da parte di Ankara del sistema S-400 dalla Russia, vedi la questione degli aerei F-35 statunitensi…

Dopo 8 anni di conflitto armato, anche Erdogan ha capito che la politica in Siria è decisa da USA e Russia. Inizialmente il suo progetto era volto a un capovolgimento del regime alevita di Assad in favore di un nuovo regime sunnita, guidato dai Fratelli Musulmani. Se andiamo a vedere la situazione attuale, ciò non è accaduto. Il regime si è rafforzato nell’ultimo periodo e nel nord della Siria è nato un nuovo progetto, il Rojava appunto. La politica della Turchia adesso, è volta solo ed esclusivamente a sconfiggere questa nuova autonomia perché Erdogan ha paura che i 25 milioni di curdi e i 3 milioni di arabi che vivono in Turchia chiedano più autonomia. Oggi tutte le risorse sono utilizzate per acquistare armi e per convincere sia gli USA sia i Russi a fare una alleanza bellica contro i curdi. La Russia per il momento appoggia questa politica. Se andiamo a vedere cosa è successo ad Afrin, la Russia ha appoggiato l’intervento militare turco. Gli americani invece la pensano diversamente. Il sistema S-400 russo è programmato per attaccare lo spazio aereo NATO. Gli USA sono ovviamente contrari all’acquisto di questo sistema da parte di Ankara, perché si chiedono contro chi lo dovrebbe usare, dato che la Turchia è ancora all’interno dell’alleanza NATO.

Il 28 febbraio si è tenuta presso il Parlamento di Bruxelles una conferenza dedicata alle donne yazidi. Potreste illustrare quale sia stata la tragedia subita da questa popolazione curda?

Secondo noi, i governi in medio oriente sono contro i popoli autoctoni che praticano religioni diverse. L’idea di questi regimi è quella di stabilizzare i territori creando uno stato islamico, che sia di religione sunnita o sciita, e la cui popolazione sia composta da turchi, arabi e persiani. Per questo motivo secondo noi alcuni Paesi hanno direttamente appoggiato Daesh, o comunque sono rimasti silenziosi dinanzi a tali atrocità. Chi si nasconde dietro lo Stato Islamico, chi ha dato loro armi e rifornimenti, ha iniziato questa guerra nel 2014 attaccando prima gli assiri e poi gli yazidi curdi. Poi hanno attaccato i curdi a Kobane. Volevano creare con la forza una zona omogenea composta esclusivamente da musulmani, dando vita a un Paese sunnita islamico. Per questo motivo, quando hanno occupato Mosul, lì hanno forzato i giovani arabi a unirsi alla guerra. Invece, quando hanno attacco Shengal, dove vive la popolazione yazidi, gli uomini sono stati uccisi mentre donne e bambini sono stati rapiti. Più di 7000 donne sono state vendute al bazar di Raqqa, mentre i bambini sono stati indottrinati per diventare dei “bravi musulmani”. In quella conferenza a Bruxelles gli yazidi volevano raccontare cosa fosse successo, chiedendo altresì l’autonomia di Shengal per la loro popolazione. Dopo questa esperienza, hanno capito che senza autodifesa un popolo non può vivere in medio oriente. Per questo erano lì; per chiedere all’Unione Europea di farsi garante nella protezione di questi territori.

di Gianni Sartori

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