Un colloquio con Adil Demirci. Sulle condizioni di reclusione nelle carceri turche, solidarietà dall’estero e progetti per il futuro- L’assistente sociale e giornalista di Colonia, Adil Demirci, nel febbraio di quest’anno dopo dieci mesi di carcerazione preventiva in Turchia è stato rilasciato e il 30 aprile è fissata la prossima udienza del suo processo.
Insieme alla sua mamma malata era in vacanza a Istanbul, quando il 13 aprile 2018 la squadra antiterrorismo ha fatto irruzione nella casa di suo zio e lo ha arrestato. Demirci aveva lavorato per l’agenzia stampa turca di sinistra Etha
Signor Demirci, lei è stato arrestato nell’aprile dello scorso anno in un’operazione in piena notte dalla polizia turca. Di cosa esattamente viene accusato?
Mi ero recato in Turchia per una settimana. Un giorno prima della partenza l’abitazione di mio zio, dove avevo soggiornato insieme a mia madre, è stata assaltata e sono finito nel carcere di massima sicurezza di Silivri. Nell’atto di imputazione vengo accusato di aver partecipato a funerali di esponenti della sinistra turca che hanno combattuto al fianco delle YPG curde contro lo »Stato Islamico« in Siria del nord. In quel momento lavoravo per l’agenzia stampa Etha e avevo partecipato a questi funerali come osservatore.
Alle esequie hanno partecipato migliaia di persone. Erano state permesse dalle autorità e non ci sono state operazioni di polizia. Successivamente sono entrato e uscito alcune volte dalla Turchia. Non è successo niente. Tre anni dopo sono stato arrestato per la partecipazione a queste celebrazioni funebri e accusato di essere »membro di un’organizzazione terroristica«.
Com’erano le condizioni detenzione, come funziona la quotidianità in questo carcere turco nel quale sono stati reclusi anche il giornalista Deniz Yücel e l’attivista per i diritti umani Peter Steudtner?
Ero detenuto nel carcere di Silivri nel periodo dello stato di emergenza. All’epoca le condizioni erano complessivamente più difficili e le decisioni giuridiche venivano prese in modo arbitrario. La prima settimana l’ho passata in isolamento. Un’esperienza che non auguro a nessuno. Nei primi mesi non potevo chiamare la mia famiglia e per esempio non mi venivano consegnate le lettere in tedesco e anch’io non potevo scrivere lettere in tedesco. Così il contatto con il mondo esterno era scarso. Ci sono voluti quattro mesi prima che mi venisse consegnato l’atto di accusa. Per mesi non ho saputo perché ero in carcere. Non sapevo quali sarebbero stati i prossimi eventi. Questa incertezza inizialmente era insopportabile perché non potevo immaginare cosa ne sarebbe stato di me. Il giorno dopo l’arresto sarei dovuto tornare a Colonia con mia madre. Mia madre la notte non si era resa conto che ero stato arrestato. Chiedevo sempre come stava, cosa facesse e come riusciva a gestire il fatto di dover tornare in Germania senza di me.
Ho dovuto adattare la mia quotidianità alle condizioni di carcerazione. Cercavo di non arrendermi e restare forte mentalmente e fisicamente. Speravo di resistere di non mollare.
Poteva avere contatti con altri prigionieri politici? Qual è la loro situazione?
La prima settimana ero da solo. Dopo sono stato messo nella stessa cella con un ragazzo. Abbiamo potuto entrare in contatto con altri prigionieri politici solo dopo quattro mesi. Nei primi mesi ci era permesso di incontrare persone delle altre celle solo per un’ora a settimana. Da settembre questo limite è stato poi aumentato a tre ore. Si poteva comunicare con altri prigionieri anche attraverso il cortile, per esempio anche con il giornalista Ahmet Altan che era nella cella di fronte.
In quale misura la rappresentanza tedesca all’estero si è impegnata per il suo rilascio nei confronti del partner della NATO Turchia? Ci sono state visite o pressioni sulle autorità turche?
Collaboratrici e collaboratori del consolato sono venuti regolarmente per le visite. In quel periodo anche il Console generale di Istanbul è venuto a trovarmi due volte. Mi hanno detto che ci sarebbero stati sforzi a livello diplomatico. Nei miei due processi sono stati presenti collaboratori del consolato come osservatori. Anche gli amici del gruppo di solidarietà »Libertà per Adil Demirci« si sono impegnati con il Ministero degli Esteri per un processo più rapido e per la mia liberazione. In che misura questo possa essere considerato pressione politica, in questa sede non sono in condizione di valutarlo. Ogni giorno a Silivri secondo me è stato di troppo. In effetti non ho fatto nulla di contrario alla legge. E stiamo parlando di complessivamente circa dieci mesi di carcere! Continuo a sperare nel sostegno politico dalla Germania.
Ora dopo dieci mesi di carcerazione preventiva è a piede libero. Quali misure le sono state imposte dal tribunale?
Non posso lasciare la città di Istanbul né il Paese. Nella prossima udienza il 30 aprile presenteremo la richiesta di revocare il divieto di espatrio.
Lei ha scritto per l’agenzia stampa socialista Etha e di recente in un’intervista ha detto che anche ci riferisce solo in modo critico viene messo in carcere. La situazione per giornaliste e giornalisti dalla fine ufficiale dello stato di emergenza è almeno minimamente migliorata?
Durante lo stato di emergenza molte emittenti televisive, p.es. IMC, TV10, Yol TV o Hayat TV, e quotidiani sono stati vietati e chiuse le redazioni. Non molto è cambiato in meglio. Alcune emittenti televisive ora riferiscono dalla Germania. Giornaliste e giornalisti sono ancora sotto processo e rischiano pene detentive. Attualmente quasi 150 esponenti dei media si trovano nelle carceri turche. Da ultimo c’è stato anche un attacco alla »stampa estera«, come avrete potuto vedere dai casi relativi agli accrediti per i corrispondenti di ZDF, NDR e del Tagesspiegel.
Oltre a giornaliste e giornalisti, anche partiti di opposizione di sinistra come l’HDP sono stati perseguitati durante la campagna elettorale. Nei seggi elettorali ci sono stati brogli e violenze con diversi morti. Come valuta l’esito delle elezioni comunali in questo contesto?
La politica elettorale dell’alleanza AKP-MHP ha portato a grandi tensioni e a una spaccatura nella società. Le violenze nei seggi elettorali ne sono un risultato. L’HDP ha affrontato le elezioni in condizioni molto difficili e di repressione. I suoi co-Presidenti Demirtas e Yüksekdag, deputati e deputate come Önder o Tuncel, sindache e sindaci come Kisanak o Kaya, molte politiche e politici a livello locale sono in carcere. Nonostante tutto l’HDP ce l’ha fatta a a entrare di nuovo in Parlamento come terzo partito e a riconquistare molte metropoli curde nelle elezioni comunali. Per respingere l’AKP-MHP nelle grandi città, l’HDP non ha presentato propri candidati e sostenuto il CHP come opposizione.
Così il CHP ce l’ha fatta a riconquistare i suoi voti nelle città di Ankara, Mersin, Antalya e Adana e a Istanbul il risultato è stato risicato. Si può dire che l’AKP in queste elezioni comunali ha perso molto del sostegno nella popolazione.
Come valuta l’attuale sistema politico in Turchia? Da queste parti si parla spesso di forte deficit della democrazia, mentre l’opposizione di sinistra sia un Turchia sia in esilio parla di un governo fascista.
Che si definisca il sistema politico in Turchia »fascista«, un nuovo »tipo di fascismo«, gli ultimi anni come »fascistizzazione« o che si parli di un »sistema autocratico«, non cambia la realtà.
La critica nei confronti del »regime AKP-Erdogan« viene perseguita e punita, la libertà di stampa e di opinione è molto limitata e non si può più parlare di stampa indipendente. Molti giornalisti, accademici, insegnanti e oppositori sono stati condannati a pene detentive o hanno dovuto lasciare il Paese. Decine di migliaia hanno perso il lavoro durante lo stato di emergenza e per chi la pensa in modo critico è difficile continuare il proprio lavoro.
Come la sua collega Mesale Tolu, anche lei viene sostenuto in modo solidale da numerose persone e istituzioni. Mentre era in galera, cosa ha saputo delle azioni di solidarietà e quale effetto politico ha avuto sulle autorità della repressione, ma anche sugli altri prigionieri politici?
Durante la carcerazione ho saputo delle azioni di solidarietà in Germania attraverso le telefonate con i miei genitori. Il sostegno di amici, colleghe e colleghi, dei miei superiori e di molti politici e di persone di tanti ambiti diversi mi ha dato molta forza e mi ha dato speranza. Voglio qui ancora una volta ringraziare tutte e tutti coloro che mi hanno sostenuto e si sono schierati dalla mia parte in questo periodo difficile.
Ogni azione, ogni lettera e ogni attività di solidarietà da molta forza e speranza a un prigioniero in detenzione. La solidarietà e il sostegno dalla Germania e dall’UE sono molto importanti per le persone che in Turchia la pensano in modo critico e per gli oppositori. È importante per me, ma anche per ogni altro prigioniero politico, non essere dimenticato. Sapere che persone fuori dalle celle del carcere si impegnano per te è estremamente importante! L’isolamento è la cosa peggiore che ti possa capitare in carcere. L’isolamento può distruggere qualsiasi persona. Sapevo che fuori non venivo dimenticato. Grazie a chi mi ha sostenuto! Mi hanno sempre dato molta forza per superare tutto questo. Grazie a questo sostegno non ho dovuto vivere l’isolamento come tale. Non tutti hanno la fortuna che ho avuto io. Anche se non tutte le attestazioni di solidarietà hanno raggiunto la mia cella, se non ho ricevuto tutte le lettere che mi sono state mandate, sapevo della solidarietà che fuori c’era per me.
Il 30 aprile continua il tuo processo. Quante possibilità pensi di avere di poter espatriare e di tornare a Colonia?
Dal punto di vista giuridico con questa imputazione non sarei affatto dovuto restare in carcere per dieci mesi, ma purtroppo i processi giuridici in Turchia sono politici e arbitrari. Anche la situazione politica generale in Turchia e la pressione pubblica e politica dalla Germania hanno un ruolo importante. Per questo è anche molto difficile fare una valutazione in proposito, ma speriamo che il 30 aprile vada tutto bene e che io possa tornare a casa.
Quali saranno i suoi prossimi passi dopo il suo ritorno? Qual è la sua conclusione dopo lo scorso anno?
Io lavoro presso lo Internationaler Bund, IB, nel settore della migrazione e dei profughi e ho seguito molti giovani che hanno dovuto lasciare il proprio Paese per motivi politici. Ora mi trovo in una situazione simile. Io stesso ho dovuto subire repressione. Sono stato privato della mia libertà e mi sono stati tolti dieci mesi della mia vita. Da ormai quasi un anno non ho ancora riavuto la mia libertà, sono recluso in una città e non posso tornare alla mia vita e gestire la mia quotidianità come ho in mente. Questa esperienza complessivamente è molto pesante. Continuerò a impegnarmi per le per le persone che hanno dovuto subire la stessa sorte e a sostenerle meglio che posso.
Prima di tutto però voglio recuperare il tempo che mia madre ed io avremmo avuto insieme come famiglia. Come già noto, le condizioni di salute di mia madre non sono migliorate. Abbiamo progetti comuni che vorrei ancora realizzare insieme a lei. Per questo spero di poter essere di nuovo con la mia famiglia il prima possibile. Spero che non debba passare altro tempo perché tutto questo finisca. Complessivamente spero di poter presto vivere di nuovo la vita dalla quale sono stato bruscamente strappato.
Intervista: Henning von Stoltzenberg