Opinioni e analisi

Prima della »grande guerra«

La Turchia concentra di nuovo truppe sul confine siriano. Il suo gioco: la distruzione dell’amministrazione autonoma curdadi Peter Schaber

Ci siamo di nuovo: sul confine turco-siriano si schierano formazioni dell’esercito dell’autocrate Recep Tayyip Erdogan. Riprese video dell’agenzia stampa curda ANF mostrano ruspe che scavano trincee nei pressi della città di confine Gire Spi (Tal Abyad), anche una parte del muro che divide i due Paesi è stata rimossa. Obici e altre attrezzature belliche pesanti sono state messe in posizione. L’obiettivo del governo turco è chiaro: vuole la distruzione della »Federazione Democratica Siria del Nord e dell’Est«, dell’amministrazione autonoma nota anche con il nome Rojava, dove i partiti curdi e e le milizie curde svolgono un ruolo decisivo. Analogamente a quanto avvenuto all’inizio del 2018, quando le forze armate turche hanno fatto irruzione a Afrin, una delle province di questa federazione, si tratta inoltre di un’occupazione a lungo termine dell’area.

Come potrebbe configurarsi il nord della Siria dopo un ingresso di Ankara, lo mostra l’esempio di Afrin: centinaia di migliaia di abitanti del cantone – sopratutto curdi – espulsi, insediati volontari jihadisti, sequestri, esecuzioni e tortura sono all’ordine del giorno; macchine con l’insegna di »Stato Islamico« pattugliano le strade.

Lo schieramento delle forze armate di Ankara sul confine siriano non è limitato a questa regione. Nella sua guerra contro il movimento di liberazione curdo, la Turchia attualmente opera sul territorio di tre Stati: nel territorio dello Stato siriano nella provincia di Afrin, sul proprio territorio nelle province sudorientali a maggioranza curda di Hakkari e Sirnak, e nell’ambito di un’offensiva su ampia scala, nelle zone autonome curde nel nord dell’Iraq. Gli attacchi turchi, sotto il nome »operazione artiglio« dalla fine di maggio sono cresciuti fino a una guerra aperta, ma ignorata dal punto di vista mediatico in occidente, tra la guerriglia del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e l’esercito di Erdogan, nella quale si registrano anche gravi perdite. L’obiettivo dichiarato dell’ »artiglio« è la distruzione di grotte e aree di rifugio della guerriglia nella zona di confine montuosa tra Iraq e Turchia. Allo stesso tempo Ankara sfrutta l’avanzata che servirebbe a presunti interessi di sicurezza, per allargare la sua presenza militare nella regione e insediarvisi in modo stabile.

Il governo Erdogan negli ultimi anni ha sollevato più volte rivendicazioni territoriali su territori un tempo appartenuti all’Impero ottomano: quindi anche su quelle strisce di terra ora minacciate e le zone attualmente contese nel nord dell’Iraq. Ma fino a quando il movimento di liberazione curdo ha lì le sue basi, le aspirazioni di annessione del regime dell’AKP restano irrealizzabili.

L’espulsione della popolazione curda, che costituisce il sostegno sia della guerriglia del PKK nel nord dell’Iraq sia delle Unità di Difesa del Popolo YPG e YPJ curdo-siriane, si configura difficile non solo a causa dell’imponderabilità militare.

Ankara deve barcamenarsi tra gli interessi della Russia, dell’Iraq, del governo siriano a Damasco e del partner della NATO USA. Washington da anni concede ad Ankara via libera per imperversare a suo piacimento nel nord dell’Iraq, sia nello spazio aereo sia con truppe di terra. Attualmente però non sembrano però esserci intenzioni di concedere a Erdogan il permesso per un ulteriore ingresso in Siria. Così mercoledì un incontro con l’incaricato speciale USA per la Siria, James Jeffrey, è stato commentato dal Ministro degli Esteri turco Mevlüt Cavusoglu come »non soddisfacente«. Per gli USA la svendita del movimento curdo nel nord della Siria a Erdogan, è un atout da conservare.

Ma anche il regime dell’AKP tira molto la corda: già l’acquisto dei sistemi anti-aerei russi »S-400« nelle cerchie della NATO è stato percepito come un grave affronto; ormai Erdogan minaccia apertamente l’uscita dall’alleanza transatlantica. Cavusoglu dopo le trattative con Jeffrey ha tuonato: »Non abbiamo più pazienza«, così la citazione riportata dall’agenzia stampa statale turca Anadolu.

Se gli USA approveranno le smanie belliche di Ankara e se la Russia vorrà pretendere dal suo alleato Bashar Al-Assad di subire un’ulteriore perdita di territorio siriano attraverso un’occupazione turca, è difficile da prevedere.

Nonostante questo, almeno nella »Federazione Democratica Siria del Nord e dell’Est« sembra che le minacce vengano prese sul serio. Unità militari delle Forze Democratiche Siriane (FDS) sono state messe in condizioni di operatività, si svolgono manifestazioni di massa di civili rivolte contro la guerra. Già sabato scorso il comandante generale delle FDS Mazlum Kobani ha dichiarato al quotidiano Yeni Özgür Politika che nel caso di un attacco ci sarà una risposta lungo tutto il confine turco-siriano: »Se la Turchia attacca, non importa dove, ci sarà una grande guerra.«

da junge Welt

https://www.jungewelt.de/artikel/359462.osmanische-tr%C3%A4ume-vor-dem-gro%C3%9Fen-krieg.html

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