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Opinioni e analisi

La società deve reclamare attivamente la sua partecipazione

Il successo strategico di Öcalan a Imralı – Mahmut Şakar a colloquio con Civaka Azad sulle sue esperienze come avvocato di Abdullah Öcalan

Kurdistan Report 204 | luglio/agosto 2019

Dopo otto anni gli avvocati di Öcalan il 2 maggio 2019 per la prima volta hanno avuto di nuovo contatti con il loro cliente. Un’altra visita sull’isola carcere di Imralı è seguita il 22 maggio. In precedenza, dal luglio 2011 complessivamente 810 richieste di visita erano state respinte. Öcalan con questo detiene il »record europeo« di carcerazione senza accesso all’assistenza legale. Le visite a maggio sono state conquistate con uno sciopero della fame di attivist* e simpatizzanti del movimento curdo durato mesi. Il divieto di visita per il team di legali è stato revocato in tribunale il 17 aprile. Un mese dopo il Ministro della Giustizia Abdülhamit Gül ha dichiarato che non ci sono più limitazioni per il contatto con gli avvocati. In una dichiarazione comune Öcalan e gli altri tre prigionieri che si trovano con lui, fanno notare l’urgente necessità di negoziati democratici per la soluzione dei conflitti in Turchia e in Medio Oriente. I problemi e le guerre nella regione vanno affrontati non con la violenza, ma con il »metodo dei negoziati democratici, oltre qualsiasi polarizzazione e cultura del conflitto«, chiedono Öcalan e gli altri tre prigionieri che si trovano con lui, Hamili Yıldırım, Ömer Hayri Konar e Veysel Aktaş.

Ne abbiamo parlato con Mahmut Şakar, un testimone della sua epoca che ha vissuto attivamente il periodo del complotto internazionale che ha portato all’arresto di Öcalan. È uno dei primi avvocati che hanno rappresentato Öcalan dopo la sua deportazione dal Kenya il 15 febbraio 1999. Mahmut Şakar ha visitato regolarmente Öcalan sull’isola carcere di Imralı dal 1999 fino 2004, fino a quando gli è stata ritirata la licenza di avvocato. Tra il 1992 e il 1997 è stato attivo come iscritto e Presidente dell’Associazione per i Diritti Umani (İHD) a Amed (Diyarbakır), dopo è stato Presidente dell’HADEP nella provincia di Istanbul e più tardi anche segretario generale dell’HADEP. Da oltre dieci anni si trova come rifugiato in Germania, dove insieme a alcuni avvocati tedeschi ha fondato l’Associazione per la Democrazia e il Diritto Internazionale (MAF-DAD e. V.) e attualmente fa parte della presidenza dell’associazione. Come giurista, nell’ambito del lavoro dell’associazione continua a affrontare problemi legali legati alla questione curda. Con la pubblicazione di questa intervista speriamo di contribuire a una migliore comprensione del significato di Öcalan per la cosiddetta questione curda.

Nel febbraio 1999 sei stato parte del primo gruppo di avvocati nel processo contro Abdullah Öcalan. Puoi riferirci delle tue esperienze negli incontri con lui?

Dopo che Öcalan nell’ambito di un complotto internazionale, con l’aiuto della CIA, del Mossad e di altri servizi segreti esteri, era stato deportato in Turchia, noi come gruppo di avvocati abbiamo assunto la sua difesa. In quel periodo l’atmosfera era caratterizzata dalla paura. Sia nella popolazione curda sia a livello politico, lo stato d’animo era teso. I curdi venivano linciati in strada. Accanto alla repressione da parte dello Stato turco e all’arbitrio della polizia, c’erano violenze da parte di gruppi di picchiatori fascisti e nazionalisti. Noi avvocati eravamo sotto una massiccia pressione pubblica. Alcuni si sono dimessi perché temevano per la propria vita, altri sono stati arrestati. L’allora Presidente Demirel dubitava a gran voce del fatto che Öcalan avesse bisogno di un’assistenza legale, dato che la sua colpa, e con questo la sentenza, erano già determinate. Con ogni mezzo si è cercato di impedire la creazione di un gruppo di avvocati e di impedire a Öcalan l’accesso agli avvocati. All’interno della società curda questo ha innescato un grande turbamento. Il suo arresto e l’assenza di notizie su dove si trovasse portarono a un trauma nella popolazione curda. All’epoca era agli arresti già da dieci giorni prima che i suoi avvocati potessero incontrarlo.

In queste condizioni, noi come avvocati ricevemmo la delega della famiglia e presentammo la richiesta di poter rappresentare legalmente Öcalan. Dopo che le mie prime richieste furono rifiutate, alla fine riuscii a visitarlo per la prima volta il 26 marzo 1999. Prima del mio primo incontro c’erano già stati due, tre incontri con avvocati, fino a quando alla fine lo visitammo in quattro. Per me naturalmente fu un incontro estremamente interessante. I punti di vista da lui avanzati erano importanti per me – per poter capire sia Öcalan sia le dimensioni del complotto internazionale. Così ci disse: »Io cerco di tenervi in vita. Io cerco di tenere in vita il mio popolo. Io cerco di portare il mio popolo sano e salvo da questa riva alla riva opposta.« Era un modo di esprimersi molto figurato. Quando in seguito raccontavo di quel tempo, mi veniva sempre in mente la storia di Mosè, nella quale un capo vuole proteggere da un pericolo la sua tribù, la sua società. Mi diventò chiaro che la comunità internazionale degli Stati, i cui governi quanto meno tollerarono la deportazione di Öcalan lesiva del diritto internazionale – ove non erano addirittura coinvolti nel complotto –, con il suo atteggiamento apriva la porta a un imminente genocidio. Attraverso questo incontro diventai consapevole del pericolo con il quale era confrontata la popolazione curda. A Öcalan non importava della sua situazione, della sua carcerazione o della sua sopravvivenza. Per lui era importante che il suo popolo si trovava in un serio pericolo. Rifletteva su cosa potesse fare contro l’imminente genocidio. Questo caratterizzò il primo incontro e fu importante per me per capire il complotto internazionale in tutte le sue dimensioni.

Con l’arresto di Öcalan alla fin fine si cercava di cancellare i successi del movimento di resistenza curdo e di distruggere la dinamica rivoluzionaria nella popolazione curda. Lui era consapevole del fatto che l’esecuzione che allora rischiava, non sarebbe rimasta limitata solo a lui. Lui sapeva che sarebbe andata di pari passo con l’esecuzione di migliaia di curdi. Questo lo mostra la storia della resistenza curda. Così per esempio a seguito della rivolta Sheich-Said, non solo erano stati assassinati i leader, ma con loro decine di persone. Nella rivolta di Dersim non furono giustiziati solo Seyîd Riza e i suoi amici, anche qui seguì l’assassinio di decine di migliaia. Questa realtà storica ora era di nuovo un rischio imminente. Öcalan è riuscito a spezzare questo circolo. Ha rimosso quello che il popolo curdo aveva già accettato come suo destino. Voglio dire che il popolo curdo nel corso della storia si è continuamente ribellato contro la negazione dell’identità curda e in seguito a questo sono stati assassinati i leader e commessi massacri nei confronti della popolazione. Questo è successo nella rivolta Sheich-Said, nella rivolta di Dersim, nel massacro di Zîlan e nella rivolta di Ararat. Con la resistenza del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), la società curda rischiava di arrivare nuovamente a un simile punto critico della storia. Öcalan ce lo ha fatto capire perché la storia non si ripetesse. Ha orientato il suo atteggiamento al fine di impedire un genocidio. Io penso che il suo comportamento a Imralı e nei successivi processi, sia legato a questo. A questo punto va anche detto che dal 1993 seguiva approcci pacifici per la questione curda.

Già durante il periodo in carica del Presidente del Consiglio dei Ministri Turgut Özal, c’erano stati negoziati indiretti e cessate il fuoco. Se nel 1993 non avesse perso la vita, all’epoca questa iniziativa per una soluzione pacifica avrebbe potuto avere prospettive di successo. Dal 1993 il movimento di resistenza cerca di risolvere la questione curda per via negoziale. A Imralı Öcalan ha reso questione politica centrale le sue aspirazioni di pace. Al pericolo di genocidio appena descritto, ha contrapposto una nuova iniziativa di pace.

Venti anni fa Abdullah Öcalan come presidente del PKK è stato sequestrato e incarcerato a Imralı. Come valuteresti il suo ruolo oggi? Quali cambiamenti ha attraversato?

Dal 1999 ho rappresentato Öcalan come avvocato, l’ho incontrato regolarmente a Imralı e ho avuto la possibilità di discutere con lui nelle fasi più critiche. Sono uno degli avvocati che lo ha incontrato più spesso. Per cinque anni, fino a quando è stato vietato alla fine del 2004. In questo periodo, nell’ambito della sua difesa in tribunale, ha presentato la tesi della repubblica democratica. Al centro c’era l’intenzione di reimpostare in modo democratico le relazioni turco-curde e di dare vita a una nuova repubblica nella quale i curdi sono riconosciuti dome popolo e di creare in questo modo una pace durevole.

Per capire il suo ruolo a Imralı è importante spiegare i nessi del complotto internazionale. Il sequestro di Öcalan non è stato solo affare della Turchia. Al centro c’erano gli interessi strategici di diversi Stati, in particolare della grande potenza USA. La Turchia dipendeva dal know-how di servizi segreti esteri che hanno organizzato il complotto, non disponeva della forza di sostenere da sola un’operazione di quest’ordine di grandezza. Questo aspetto è molto importante. L’interesse comune stava nel fatto di allontanare Öcalan dal Medio Oriente e di distruggere la dinamica curda, per impostare un nuovo Medio Oriente secondo le loro idee. Così al complotto è seguita l’invasione USA in Iraq. Con l’intervento in Iraq, nel 2004 George W. Bush ha presentato il »Greater Middle East Project«. Io penso che anche il complotto contro Öcalan fosse legato all’obiettivo di rimuovere le dinamiche rivoluzionarie in Medio Oriente per poter prendere piede nella regione. Gli sviluppi successivi naturalmente lo hanno chiarito ulteriormente. Molti Stati hanno svolto un ruolo in questo complotto, anche una serie di Paesi UE. Öcalan spiegò che il ruolo della Turchia era consistito solo nel fatto di portarlo dal Kenya in Turchia e di fare da secondino. Con l’intervento di (grandi) potenze straniere, il movimento curdo è stato colpito pesantemente.

La politica della Turchia è stata descritta con alcune metafore. Si disse per esempio che si voleva »separare la testa dal corpo«. Una volta separata la testa, il corpo doveva essere distrutto. La testa era Öcalan, e il corpo la popolazione curda e il movimento di liberazione curdo. Questa strategia può essere spiegata in modo semplice: Öcalan viene arrestato, incarcerato o giustiziato, e con questo la dinamica di emancipazione della società curda, non solo in Turchia, ma anche in Siria, Iraq e Iran, viene rimossa passo per passo. Per questo nel complotto internazionale non si è mai trattato solo del suo arresto, ma dell’intenzione di mettere fine alla resistenza curda nel suo complesso. Questa aspettativa non era solo dello Stato turco. Guardano indietro alla stampa del 1999, si può riconoscere la speranza di essersi liberati di Öcalan e che con questo la faccenda fosse chiusa. Su questo punto Öcalan spiegò di avere davanti due percorsi. Voleva o entrare in uno sciopero della fame a tempo indeterminato che si sarebbe concluso con la sua morte, oppure, a fronte del pericolo di un genocidio e della distruzione della dinamica rivoluzionaria curda, voleva sviluppare un’altra forma di resistenza. Spiegò di preferire il più difficile dei due percorsi. La cosa più difficile era restare in vita a Imralı. Disse che era più difficile che morire: »Morire sarebbe una liberazione unica per me. Vivo in condizioni in cui ogni giorno per me significa la morte. Ma vivo questo per il mio popolo.« Da questo punto in poi, secondo me ha seguito una doppia strategia. Lui non l’ha formulato in questo modo, è una valutazione mia.

Già nel primo incontro fece a noi avvocati una domanda: »Devo vivere o no?« Questa domanda naturalmente ci ha molto sorpresi. Dichiarammo che noi come suoi avvocati, naturalmente volevamo che lui vivesse. Lui disse: »Io ci rifletto da quando sono stato portato qui. Per mio popolo è più vantaggioso se vivo o se muoio? Non sono ancora riuscito a decidermi. Da quando ero seduto in aereo rifletto su questo.« Dopo un paio di mesi poi ci comunicò: »Ho deciso di vivere. Sapete perché? Primo perché se io dovessi morire, questo complotto non sarà svelato e capito. La società curda non riconoscerà i suoi amici e nemici. Con la mia vita voglio fare luce sul complotto con tutti i suoi nessi. Secondo, per seguire una linea politica e far andare a vuoto il complotto.« Dopo che si era focalizzato sulla resistenza, seguì una strategia doppia. La »posizione di Imralı« che ha citato nell’incontro con gli avvocati del 2 maggio 2019 probabilmente è un’espressione di questa strategia. Come ho già detto, questa è una valutazione mia, lui non l’ha formulata così.

Il primo pilastro di questa strategia è questo: a fronte del pericolo di massacri della popolazione curda e del crescete sciovinismo e nazionalismo in Turchia, le richieste del movimento curdo andavano ridotte. Per frenare lo sciovinismo, ridurre un po’ la pressione e creare così la base per un compromesso. Così doveva essere spianata la strada a una soluzione pacifica. Il progetto della repubblica democratica presentato negli scritti per la difesa di Öcalan, pone il baricentro su lingua e la cultura. Oltre a questo si tratta di aprire canali per il dialogo e negoziati e di togliere un po’ di vento dalle vele del nazionalismo turco. Questo è stato un tentativo a partire dal 1999. Scrisse il Manifesto, il 2 agosto 1999 invitò la guerriglia a una ritirata e a seguito del suo appello, gruppi di pace dall’Europa e dalla montagne di Qendîl furono inviati in Turchia. Con questi passi voleva spingere lo Stato nella direzione di una soluzione democratica, pacifica. Inoltre in questo modo la pressione sulla popolazione curda diminuì.

Il secondo pilastro di questa strategia era che Öcalan voleva proteggere tutti i successi emancipatori della società curda. Voleva sviluppare una prospettiva di pace e creare la base per un accordo. Ma contemporaneamente fu in grado di proteggere lo sviluppo democratico, culturale e politico della comunità curda per una linea nuova, lungo termine. Introdusse una fase in cui l’intera società nonché il braccio politico del movimento e anche la guerriglia poterono respirare. In un certo senso ha assorbito, fermato, la crudele determinazione dello Stato e prodotto un clima moderato. In questo le dinamiche centrali della società curda non hanno subito danni.

Il movimento curdo era definito attraverso il suo fissarsi sul leader Öcalan. Fu arrestato, ma la dinamica curda con questo non subì un danno permanente. Questo è uno dei più grandi successi di Öcalan dopo il 1999. Questa a mio avviso è diventata posizione centrale a Imralı. Ha ridotto la violenza dello Stato, aperto la via per il dialogo e protetto gli sviluppi politici e culturali. Questo è un successo strategico incredibile. Öcalan sapeva che il corpo doveva essere eliminato e che si trattava di proteggerlo. La politica statale mirava a separare la testa dal corpo. Ma la testa era così forte che non permise che il corpo venisse fatto a pezzi.

Öcalan a Imralı ha continuato a sviluppare le sue strategie e il suo stile politico. Nei passati venti anni, si è reso passo per passo una figura chiave per una soluzione pacifica della questione curda in Turchia. Questo lo ha messo in atto attraverso le sue prestazioni intellettuali e i suoi lavori filosofici. Ha creato una cornice ideologica per la comune convivenza. Il suo contributo più significativo per questo è a mio avviso la teoria della Nazione Democratica che illustra nei suoi ultimi scritti di difesa. La sua posizione, di rifiutare il nazionalismo e di mettere in primo piano la Nazione Democratica, a mio avviso è una pietra miliare per la società curda. Nel suo ultimo scritto di difesa Öcalan spiega che l’aspetto più importante della resistenza quarantennale sta nell’attuazione della teoria della Nazione Democratica. Io penso che questo concetto sia un contributo chiave per la teoria di sinistra e la lotta socialista che integra l’approccio critico alla nazione, mancante nel socialismo, con la teoria della Nazione Democratica. I frutti di questa aspirazione, ora li vediamo in Rojava (nella costruzione dell’Amministrazione Autonoma in Siria del nord e dell’est). Il paradigma costruito da Öcalan dal 1999 lì viene messo in pratica.

Inoltre Öcalan nei suoi scritti ha formulato una seria autocritica del PKK. Su punti centrali come per esempio Stato, violenza, Stato Nazione e nazionalismo, mette in discussione la propria pratica e sviluppa nuovo approcci. Come alternativa al classico modello di Stato Nazione ha sviluppato la teoria della Nazione Democratica e con questo superato il suo nazionalismo, con la legittima autodifesa rompe la spirale di violenza, al modello dello Stato Nazione contrappone il confederalismo. Ha fatto controproposte e con questo passo per passo sviluppato un nuovo paradigma. Questo lo ha aperto per larghe cerchie sociali, anche fuori dalla comunità curda. Öcalan come Presidente del PKK è stato incarcerato a Imralı e ora, venti anni dopo, attraverso il suo ruolo chiave nella politica di pace e il concetto del confederalismo democratico è diventato una personalità dirigente per i popoli del Medio Oriente che aspirano a libertà e autodeterminazione.

La sua risposta al complotto è estremamente ideologica e filosofica. Per questo dico sempre che nell’anno 1999 è stato rimosso per ridurre l’influenza dei curdi in Medio Oriente, ma che anni dopo con il suo pensiero, i suoi concetti, e alla fine con la Rivoluzione del Rojava è tornato in Medio Oriente. Come leader del partito ha lasciato la Siria e con la cosiddetta Terza Via è tornato come precursore di una società libera, multietnica, multi-religiosa e fondata sulla democrazia dal basso. Per questo venti anni a Imralı vanno considerati anche come periodo di resistenza. Naturalmente per lui personalmente è anche una fase di isolamento e repressione – una vita sotto tortura – ma politicamente questo periodo va visto come una fase di resistenza nella quale il movimento curdo e la società si sono strutturati in modo nuovo. Così soprattutto le aspirazioni nazionaliste nella società sono diventate meno importanti e l’interesse della società curda per la comune convivenza dei popoli è stato approfondito. Inoltre attraverso Abdullah Öcalan, l’identità curda è stata messa all’ordine del giorno anche a livello internazionale.

Abdullah Öcalan viene spesso definito attraverso il suo ruolo come leader politico. Ma in particolare nel periodo a Imralı ha sviluppato un’acutezza di pensiero incredibile. Questo ha cercato di esprimerlo nei suoi scritti di difesa. Il ruolo del leader politico se lo è lasciato alle spalle. Era ovvio che a Imralı non gli sarebbe più stato possibile di prendere un ruolo guida politico in senso classico. È un’esistenza controllata dallo Stato. Oltre mille soldati sorvegliano l’isola. Era chiaro che non avrebbe potuto svolgere un ruolo classico di rappresentanza politica, ma si è collocato nel ruolo di un leader strategico. Con il suo pensiero ha abbracciato i popoli. Ha sviluppato forme alternative di politica. Se qualcuno ha la capacità di realizzare una cosa simile in carcere, allora fuori cosa potrà fare? Aveva già redatto molte critiche al socialismo reale e cercato alternative. Ma solo a Imralı è riuscito a esprimerle davvero.

Nelle condizioni date da una cella di dodici metri quadri ha sviluppato una nuova cultura politica, una nuova coscienza politica, una nuova strategia politica e con questo un nuovo paradigma. In un luogo che come nessun altro è sotto il controllo dello Stato, è riuscito a sviluppare un modello di governo e di società non statale, che ispira i popoli della regione allo stesso modo del movimento curdo. Ha sviluppato una forma di resistenza che supera lo spazio controllato dallo Stato. Io penso che questo sia anche uno dei lati più originali di Öcalan. Perché questo punto spesso viene frainteso. Alcuni infatti sospettano che dietro a ogni iniziativa da parte sua ci sia lo Stato turco. Questo è un pensiero che santifica eccessivamente lo Stato, lo mette al di sopra di tutto e pensa che controlli ogni più piccola cellula dell’individuo e del suo agire politico. Naturalmente lo Stato fisicamente domina completamente Imralı. Ma io posso dire che Öcalan con la simpatia e la fiducia di milioni di persone e delle forze politiche che agiscono insieme a lui, con l’aiuto di una politica che non ha lo Stato come destinatario e una relazione con lo Stato carica di tensione, abbia creato un nuovo spazio per l’agitazione politica.

Come valuti la percezione di Abdullah Öcalan in Europa e in particolare in Germania?

La politica così come la conosciamo, è nata come un prodotto occidentale. Partiti politici, ma anche il socialismo, sono stati sviluppati come sistemi di pensiero euro-centrici. Fenomeni come il culto della personalità, quindi anche il fascismo, sono nati come parte della cultura politica occidentale. Qui si è sempre cercato di capire forme politiche che vanno oltre la propria, [a partire] dalla propria specifica posizione. Io penso che questo spunto di ragionamento sia una delle ragioni decisive per il confronto sbagliato con la causa curda. Il significato diverso di partito politico e leadership politica in Europa e in Medio Oriente, in particolare nella società curda, non è stato compreso. D’altra parte penso che non sia stato fatto seriamente il tentativo di capire il movimento curdo. Il confronto con la tematica generalmente si svolge attraverso determinati schemi e modelli di pensiero. Spesso ho sentito come il PKK veniva dichiarato stalinista e messo da parte. Questo a mio avviso è un approccio del tutto orientalista. Ci si considera centro del mondo, questo vale anche per la sinistra europea. Tutte le altre dinamiche rivoluzionarie vengono analizzate attraverso i propri occhiali. Questi sono approcci molto arroganti che io rifiuto. Approcci davvero di sinistra, socialisti, devono basarsi sul fatto di capire davvero i movimenti.

Un altro aspetto importante è che molti movimenti di sinistra in Europa hanno conosciuto il movimento di liberazione curdo e il PKK attraverso la sinistra turca. La sinistra turca ha affrontato il movimento curdo fin dall’inizio con riflessi nazionalisti. Correnti importanti della sinistra turca sono nate sotto l’influenza del kemalismo e con questo la percezione kemalista dei curdi a nome della sinistra, è stata riprodotta anche in Europa. Questa è un’osservazione generale. Ma più importante è che la trasformazione del PKK spesso non viene percepita. Il PKK non è più il partito del 1993, Öcalan non è più la persona del 1993 o del 1999. È nato un movimento che si rinnova e si sviluppa quotidianamente. Ha iniziato con influenze del socialismo reale, ma oggi si è staccato completamente dal socialismo reale e ha sviluppato un nuovo approccio di sinistra. Come è riuscito al PKK, che dalla sua resistenza sia nato un movimento di liberazione con milioni di seguaci, mentre tutti gli altri movimenti di sinistra, anche in Turchia, si sono sfasciati? Una risposta a questo, le aree citate non possono darla. O a come il PKK in Medio Oriente, dove sull’onda della »Primavera Araba« c’è stata una moltitudine di movimenti sociali, in Rojava sia riuscito a creare un nuovo sistema sociale che ispira.

In conclusione posso dire che lo sguardo della sinistra europea al movimento curdo e al PKK è caratterizzato o dalla criminalizzazione da parte del governo federale, o ha acquisito l’approccio di aree seguaci della dottrina statale turca. Un proprio sguardo originale o una propria aspirazione a comprendere non è davvero presente. L’aspettativa da parte curda è uno sforzo serio per una comprensione giusta. Se vogliono spiegare come un movimento con un’esperienza di resistenza quarantennale diventi sempre più internazionale, coinvolga sempre più popoli e influenzi la politica su scala sempre maggiore, devono avere l’aspirazione di comprendere. Con la rivoluzione del Rojava da questo punto di vista qualcosa si è mosso. Ma il dibattito è ancora molto insufficiente. In particolare la persona di Öcalan nella società curda viene percepita in modo completamente diverso. Le prospettive in Europa, e con questo anche in Germania, sono molto caratterizzate da pregiudizi e quindi spesso si distinguono dalla realtà curda.

Come valuti la prima visita degli avvocati a Imralı dopo otto anni? Abdullah Öcalan invita a discutere in tutte le aree la dichiarazione di sette punti. Come valuti la fase attuale?

La dichiarazione di Öcalan al pubblico ampio è significativa. Andando a vedere più da vicino, si possono riconoscere le tracce dell’approccio politico che segue da vent’anni. Considera la politica un percorso di soluzione, come l’arte di trovare una soluzione. Vede la politica come un percorso per sviluppare soluzioni lontano dalla guerra e vuole seguire questo obiettivo in modo efficace. Rappresenta l’approccio che supera le tensioni sociali e prende come base negoziati e al disponibilità al compromesso. Ancora una volta propone alla Turchia, al Rojava e alla Siria questo percorso democratico.

La dichiarazione mostra che Öcalan in primo luogo segue una costante linea di resistenza. Nel colloquio di tre minuti con suo fratello l’11 settembre 2016, con riferimento al 2013 ha detto: »Io sto ancora da questa parte del tavolo negoziale e sono ancora pronto.« Ogni volta che ha modo di dirlo, dichiara la sua disponibilità a dare un contributo per un percorso di soluzione democratico e su questo tema sottolinea di essere mentalmente pronto. Dalla fine dei negoziati di pace e dalla disdetta dell’accordo i Dolmabahçe del 2015 da parte dell’odierno Presidente dello Stato Erdoğan, la popolazione curda ha dovuto subire una nuova ondata di repressione statale e di violenza sfrenata. Negli anni 2016 e 2017 di nuovo città curde nel sudest della Turchia sono state distrutte dall’esercito, tuttora vige lo stato di emergenza e la società nel Paese è profondamente divisa. A Efrîn è in atto una pulizia etnica avviata da Ankara. Questi sviluppi hanno chiarito ancora una volta che l’isolamento e la guerra non possono portare a una soluzione del conflitto. Le esperienze degli ultimi quattro anni mostrano ancora una volta che con una politica che prende come base la guerra e la violenza e rifiuta il dialogo, non si può creare la pace. Öcalan ancora una volta interviene e sottolinea la necessità di una soluzione pacifica, democratica.

In secondo luogo diventa chiara la caratteristica principale della pratica politica sviluppata da Öcalan da vent’anni: le sue parole si rivolgono a tutta la società. Naturalmente a Imralı di tanto in tanto ha incontrato rappresentanti dello Stato turco. Quando nel 1993 era ancora in libertà, aveva già dichiarato: »Io cerco un interlocutore. Lo stato dovrebbe incaricare qualcuno perché possiamo risolvere il problema.« È sempre stato aperto a colloqui con lo Stato. Voleva risolvere il conflitto per via negoziale. Questo cerca di farlo dal 1993. Durante il suo periodo a Imralı ci sono stati i colloqui di Oslo e i negoziati di pace tra il 2013 e il 2015. Ma il reale destinatario è sempre la società nel suo complesso, con la sua società civile e i suoi partiti politici. Per questo ci sono continuamente appelli a p.es. il CHP, l’HDP, agli intellettuali e altre aree della società civile. Se può esserci una soluzione democratica, pacifica, allora attraverso la partecipazione attiva di questi gruppi. Sono due cose diverse negoziare con lo Stato, o appoggiare la strategia politica solo allo Stato e prenderlo come base di ogni agire politico. Il modo di procedere di Öcalan è una politica che viene praticata insieme alla società. Una politica che viene fatta per la società e con la società. Decisiva per il successo del suo linguaggio di pace e del suo orientamento verso una soluzione, è partecipazione delle aree progressiste a un tale percorso democratico di soluzione. Per esempio i gruppi progressisti in Europa dovrebbero prendere posizione contro il governo turco che ha scelto il linguaggio della violenza e rivendicare e rafforzare il percorso di soluzione democratico.

Questa posizione attualmente è rappresentata nella dichiarazione di sette punti di Öcalan. Al centro di questa dichiarazione c’è l’intenzione di raggiungere una soluzione oltre la guerra e senza polarizzazione, attraverso compromessi. Questo può funzionare solo con la partecipazione di tutti i gruppi sociali. L’appello di Öcalan si rivolge a tutti i popoli, partiti politici, alla società civile, agli intellettuali, ma anche alle aree governative che sono aperte per una soluzione democratica e la via negoziale. Ridurre le dichiarazioni di Öcalan solo a politica statale, è un errore decisivo che scardina lo stile politico di Öcalan che si basa sulla forza sociale. La democrazia viene concepita come partecipativa, per questo Öcalan già nei suoi primi scritti di difesa ha sviluppato la formula »Stato più società«. Io penso che attraverso questa formula Öcalan possa essere capito nel modo migliore. Al centro della sua idea di Stato c’è la società. E più viene esteso lo spazio democratico, più lo Stato viene indebolito. Il carattere despotico di regime dello Stato quindi viene respinto, più la società è partecipe delle decisioni. Ma la società deve rivendicare attivamente la partecipazione e non aspettare che lo Stato le trasferisca queste competenze. È un invito a tutti a risolvere i conflitti sociali e la guerra in Turchia in un percorso democratico, pacifico. È un appello che mostra che Öcalan ha mantenuto la sua speranza e la sua fede nella pace. Questo appello va compreso bene e deve avere risposte.

Così anche i partiti politici e i gruppi della società civile in Germania [e in Europa] dovrebbero mettere da parte le loro riserve e costringere la Turchia a avviare passi basati sul piano di sette punti. Le richieste comuni della popolazione curda e turca sono pace, democrazia e stato di diritto. A questo può contribuire ogni singolo, a livello politico, un linguaggio nuovo, moderato, sarebbe un primo passo nella direzione giusta.

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