Nel Paese sono sempre di più le donne uccise da uomini. Come Emine Bulut, vittima dell’ex marito. L’impegno della piattaforma We Will Stop Femicide. La Turchia sta vivendo un periodo di guerra intestina tra i due sessi. Proprio negli anni in cui una nuova forma di femminismo emerge grazie all’ondata del #MeToo e del Time’s Up, nel regime conservatore turco le donne non solo vivono la disuguaglianza rispetto agli uomini nelle famiglie, nella società, nella politica e sul posto di lavoro, ma fanno addirittura fatica a parlare liberamente di ruoli di genere, abusi sessuali e violenza. L’ultimo episodio che ha scosso il Paese è l’omicidio di Emine Bulut, 38 anni, uccisa per mano di Fedai Veran, l’ex marito che diceva di amarla.
LA MORTE DI EMINE
La donna è stata pugnalata a morte il 18 agosto, in un caffè della città di Kirikkale, a pochi chilometri da Ankara. Il femminicidio è avvenuto davanti agli occhi della figlia, di appena dieci anni: Emine Bulut aveva portato la bambina con sé perché insieme dovevano incontrare l’ex marito Fedai Veran, che poi ha perso la testa: «Dopo avermi insultato mentre parlava della custodia di nostra figlia l’ho pugnalata con il coltello che avevo portato con me», ha detto l’uomo in tribunale. Le telecamere del locale hanno ripreso tutta la scena, compreso il momento in cui la madre, in fin di vita, urlava «Non voglio morire» e sua figlia, piangendo, la supplicava di sopravvivere. Dal momento dell’omicidio, il nome di Emine Bulut, e il suo grido alla vita, sono stati condivisi suoi social media, diffondendosi a macchia d’olio e portando così di nuovo sotto i riflettori della stampa nazionale e internazionale il dibattito sui diritti delle donne in Turchia. «Abbiamo perso Emine Bulut a causa della violenza maschile. Noi sosteniamo donne e bambini nella lotta contro la violenza e continueremo a farlo», ha dichiarato su Twitter il sindaco di Istanbul.
WE WILL STOP FEMICIDE
La fine di Emine Bulut è subito stata presa come esempio (negativo) da We Will Stop Femicide, piattaforma turca che ha l’obiettivo di fermare il femminicidio e garantire alle donne la protezione dalla violenza maschile, combattendo contro ogni tipo di violazioni dei diritti, su tutti quello alla vita. Il desiderio della società turca di fermare i femminicidi si era per la prima volta manifestato forte e chiaro dopo l’assassinio della studentessa Özgecan Aslan, che nel 2015 suscitò indignazione a livello nazionale, con proteste in tutto il Paese. Migliaia di manifestanti scesero in piazza criticando il governo per le insufficienti risposte al fenomeno e l’inconscia normalizzazione dello stupro di donne non conservatrici: quelle proteste sono oggi considerate il primo movimento di massa delle donne turche. La piattaforma We Will Stop Femicide, nata con l’obiettivo di rivendicare giustizia per Özgecan Aslan, e insieme a lei tutte le donne assassinate per mano maschile, compresa Emine Bulut, è stata una rivoluzione e un punto di svolta nel dibattito pubblico del Paese, che ha ‘disturbato’ la coscienza della società e fatto aprire gli occhi ai cittadini.
EMERGENZA FEMMINICIDIO
In Turchia però ogni anno sono ancora tante le donne che muoiono per mano maschile. Purtroppo, sono sempre di più. Come riporta We Will Stop Femicide, nei primi sette mesi del 2019 si sono verificati ben 245 casi di femminicidio, 32 nel solo a luglio. Il continuo aumentare degli omicidi va a braccetto con il fenomeno della violenza domestica e sessuale: secondo un report pubblicato dall’Hecettepe University (Domestic Violence against Women in Turkey – Dicembre 2014) il 36% delle donne sposate o precedentemente sposate è stata infatti vittima di violenza fisica domestica almeno una volta nella vita. E i dati non dimostrano nessun progresso, anzi: il numero di stupri e omicidi di donne in Turchia è aumentato notevolmente rispetto al 2018 e, in generale, la situazione è andata drasticamente peggiorando dal 2008 a oggi.
FEMMINISMO E TABÙ CULTURALI
Il primo movimento femminista turco risale al XIX secolo e ha dato la possibilità alle donne di ottenere i diritti civili di base durante il periodo di modernizzazione kemalista, addirittura in anticipo rispetto ai Paesi europei. Tuttavia, come abbiamo visto, ad oggi permangono disparità di reddito, disparità nell’accesso all’istruzione, sottorappresentanza in politica, violenza e abusi sessuali. Nei primi Anni 2000 una nuova ondata a sostegno dei diritti delle donne ha portato alla nascita di organizzazioni femminili che si sono riunite sotto la TCK Kadın Platformu, una piattaforma femminile per il codice penale turco, in un periodo di riforma che si è sovrapposto al processo di adesione della Turchia all’Unione Europea. Tutte le organizzazioni femminili nel Paese hanno guadagnato abbastanza autorità per far rispettare, e così soddisfare, le loro richieste e perseguire gli ideali femministi tradizionali. Nonostante questi sviluppi, persistono tabù culturali sulle aggressioni sessuali, crimine difficile da denunciare per le vittime, mentre la violenza rimane un fenomeno che è necessario continuare a combattere.
di Miriam Tagini
Lettera Donna