Di Alessandra Fazio – Siamo nel nord della Siria, precisamente a Rojava, la Federazione democratica conosciuta, anche, come Kurdistan. Lì, tra le immense distese desertiche che caratterizzano il territorio, sorge un villaggio: Jinwar, “il luogo delle donne”, nato dall’unione di donne consapevoli di non riuscire a stravolgere, da sole, le condizioni di vita alle quali sono costrette a conformarsi le donne siriane, ma convinte di volerle cambiare, almeno, per loro stesse.
Inaugurato il 25 Novembre 2018, Jinwar è divenuto simbolo della rivendicazione della libertà da parte delle donne siriane, le donne “yazide”, fuggite dall’Isis, e non solo. Ancora oggi, alle donne siriane non vengono riconosciuti i diritti politici; non è consentito l’aborto; esiste, ancora, il matrimonio forzato, nonché quello precoce; non è riconosciuto lo stupro coniugale; esiste, tuttora, il diritto d’onore e, nonostante non sia espressamente vietata, la frequenza scolastica è, particolarmente, ridotta. Le donne stanno a casa ad occuparsi delle faccende domestiche o lavorano tutto il giorno, con orari massacranti e poca retribuzione.
Con l’avvento della guerra civile, iniziata nel 2011, la situazione è peggiorata. L’Isis ha devastato non soltanto i territori del Paese, ma la vita delle persone, il loro futuro. Le donne sono state vittime di violenze inaudite, schiave di guerra, stuprate e maltrattate. Nonostante vi siano state, in passato, rivoluzioni dirette a difendere e tutelare le donne, a riconoscere loro, anche, i diritti politici, la guerra ha destabilizzato ogni cosa, lasciando nel totale abbandono e sconforto quasi tutte le donne del Paese. Eppure, lo sconforto non è stato tale da far perdere la speranza di un futuro migliore e Jinwar ne è la dimostrazione.
Si tratta di un villaggio abitato, esclusivamente, da donne e dai loro figli. L’accesso agli uomini è consentito solamente per poche ore. Composto da trenta case, già costruite e abitate, e altre in fase di costruzione; un pronto soccorso, una scuola per bambini, una panetteria. Qui le donne si occupano di tutto: allevamento, agricoltura, istruzione, commercio. Una sorta di “villaggio matriarcale di opposizione” ad un sistema fondato, esclusivamente, sulla concezione maschilista dei rapporti uomo-donna, tuttavia, esistente, ancora oggi un po’ ovunque. All’interno del villaggio il lavoro viene organizzato mensilmente, durante le assemblee nelle quali vengono discusse le diverse attività da svolgere quotidianamente e, a turno, due donne si occupano della sicurezza e del controllo notturno del villaggio.
Se, in un primo momento, tale luogo è nato per accogliere le donne siriane in cerca di libertà, oggi esso è divenuto un luogo di accoglienza per tutte le donne che fuggono dalla propria terra, dalla realtà in cui vivono; donne provenienti da ogni parte, da ogni paese nel quale vengono maltrattate.
Quello trasmesso dalle donne del Jinwar è un messaggio di libertà, di cambiamento, di speranza per un futuro migliore. Una lotta per l’indipendenza posta in essere non attraverso l’uso di armi, bombe, disseminazione di odio e rabbia; ma, attraverso un’arma più potente, il coraggio di costruire nuove realtà, nuovi mondi per donare a se stesse un’altra opportunità. Una rinascita, lontane dalla violenza domestica, dagli abusi dei propri padri o mariti, dalle stesse guerre civili che, quotidianamente, distruggono la pace di coloro che vivono in quei territori. Un messaggio forte, un cambiamento quasi radicale, in uno Stato nel quale questo appariva, fino a poco tempo fa, come qualcosa di impensabile. Eppure non lo è, non più, grazie a coloro che nel cambiamento hanno creduto e hanno lottato per la libertà, propria e delle altre donne.
Eco Internazionale