Inizia la guerra della Turchia contro le zone di autogoverno in Siria del nord a lungo annunciata. La sera del 6 ottobre l’amministrazione USA ha pubblicato una dichiarazione nella quale rende noto il ritiro delle sue forze militari dal confine turco-siriano e annuncia l’imminente ingresso del partner della NATO.
Dall’inizio dell’esperimento democratico dell’amministrazione autonoma nella zona tra Afrin e Derik dopo il 2011, Recep Tayyip Erdogan ne minaccia la sanguinosa distruzione. In due ingressi in violazione della legalità internazionale – una volta nell’autunno 2016 tra Jarablus e al-Bab; una volta a Afrin nel gennaio 2018 – la Turchia ha già annesso territorio siriano che fino a oggi tiene occupato. Ma per raggiungere il suo obiettivo dichiarato, la distruzione delle milizie curde nella regione e l’espulsione della popolazione civile curda, Ankara deve appropriarsi anche dei territori rimasti.
“Zona di sicurezza” progettata dopo l’attacco turco
Le forze armate necessarie per l’attacco già da diverso tempo sono schierate sul confine. Potrebbe avanzare già „oggi o domani“, ha annunciato Erdogan sabato scorso.
L’allenza militare FDS (Forze Siriane Democratiche) e le istituzioni civili della Federazione Democratica Siria del Nord e dell’Est, negli scorsi mesi con concessioni alla coalizione anti-IS a guida USA hanno cercato di rimandare l’inevitabile. La riflessione era: gli USA non sacrificheranno le conquiste ottenute nella lotta contro Stato Islamico alle aspirazioni di annessione regionali di Erdogan, il palese sostenitore dei gruppi jihadisti in Siria. Inoltre si calcolava che le contraddizioni tra Ankara e Washington nelle regione come nel conflitto internazionale tra USA e Russia fossero abbastanza grandi per giocarci e con una diplomazia intelligente mettere un freno alle aspirazioni di Erdogan.
Il conto è tornato per alcuni anni. Ma la strategia è sempre stata un gioco a tempo. C’è sempre stato da aspettarsi che Trump a un certo punto dopo la vittoria su IS avrebbe consegnato i partner curdi, arabi, cristiani e assiri di un tempo, alla volontà di distruzione della Turchia. Ora questo si è verificato.
Cosa succederà ora? La Turchia entrerà. Se non oggi, lo farà domani, tra una settimana, un mese. Avanzerà con carri armati tedeschi [e elicotteri italiani NdT], come già a Afrin. Si arriverà alla pulizia etnica, violazioni dei diritti umani, innumerevoli morti. Le decine di migliaia di prigionieri di IS che si trovano in custodia curda cercheranno di riorganizzarsi. La regione viene di nuovo destabilizzata.
Se le truppe regolari delle FDS saranno in grado di fermare a lungo un’avanzata è dubbio. Il territorio è ancora più difficile da difendere da un esercito munito di aviazione di quanto lo fosse Afrin. Nonostante questo anche dopo un’occupazione turca non ci sarà la calma. La guerra di guerriglia contro gli occupanti a Afrin dura da mesi a un livello alto. Inoltre la guerriglia curda delle HPG attualmente conduce azioni in tutto il territorio di confine turco-iracheno e nella stessa Turchia. Con un ingresso, la guerra che la Turchia conduce contro tutti i curdi – sul proprio territorio, su quello iracheno o siriano – raggiungerà un livello nuovo.
Come andrà a finire questa guerra è completamente aperto. E le forze curde socialiste, così come i loro alleati arabi, turchi e assiri, vi si trovano da soli. La Turchia ha fatto passare ogni possibile affare. Con la NATO da un lato, con Russia e Iran dall’altro. Il margine di manovra diplomatico almeno al momento sembra essere esaurito, il vecchio detto curdo „Nessun amico oltre alle montaghe“ ancora una volta si dimostra descrizione adeguata della realtà.
Con un’eccezione: tutte e tutti le e gli internazionalisti che sostengono questa rivoluzione ora devono mettere le carte in tavola. Con le forze ridotte che abbiamo, quanto siamo in grado di contribuire al fatto che questo crimine non passi in segreto e di nascosto? Quanta pressione siamo in grado di esercitare sul governo tedesco [e sui rispettivi governi dei Paesi europei NdT] che hanno sostenuto Erdogan con armi e il cui inviato, sul Ministro degli Interni [tedesco] Horst Seehofer, che probabilmente in un incontro con il suo omologo turco due giorni fa ha dato il via libera per il piano di insediamento di Erdogan di centinaia di migliaia di profughi nel nord della Siria – con tanto di aiuti miliardari dall’UE.
In ogni caso non è il momento di abbassare la testa e di disperarsi. Grida di aiuto liberali rivolte agli USA a questo proposito sono dannosi quanto il silenzio. Le nostre amiche e i nostri amici sul posto combatteranno. Molte e molti di loro cadranno. Noi come internazionalist* dobbiamo imparare a consideralo un dovere. Se c’è una massima nella rivoluzione curda che anche noi dobbiamo imparare, allora è quella di confidare nelle proprie forze – per quanto piccole possano sembrare.
Di Hubert Maulhofer
da Lower Class Magazine