Il Consiglio della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) e la Commissione Globalizzazione e ambiente (GLAM) della FCEI aderiscono all’appello di condanna dell’invasione turca del Kurdistan siriano, redatto dal Dipartimento di evangelizzazione (DE) dell’Unione battista d’Italia (UCEBI). Ieri pomeriggio il pastore Ivano De Gasperis, segretario del DE, ha partecipato alla manifestazione davanti all’ambasciata turca a Roma.
Il consiglio della Federazione aderisce a questo appello:
“Beati i costruttori di pace [non di armi], perché saranno chiamati figli di Dio”.
Siamo costernati/e per l’iniziativa bellica del regime turco contro il popolo curdo, già a lungo vessato.
Come comunità di fede ci impegniamo a pregare per resistere contro questa nuova ondata di violenza che viene a colpire il nordest della Siria già fortemente percosso.
C’è da chiedersi quanti altri profughi genererà questa aggressione del regime turco.
Tanti sono gli interrogativi.
Alcuni riguardano ad esempio il rifornimento di armi alla Turchia da parte del nostro Paese. Da “Rete Disarmo” sappiamo che negli ultimi quattro anni ci sono state autorizzazioni per la vendita di armi fino a 900 milioni e di queste quasi 500 milioni sono le armi consegnate. L’anno scorso sono state date autorizzazioni per la vendita all’esercito turco di aeromobili, armi, missili, cannoni per l’ammontare di 360 milioni. Dunque le armi che sparano contro i curdi oggi sono anche, in parte considerevole, di fabbricazione italiana.
Non ha alcun senso invocare la fine dell’azione bellica del regime di Erdogan se non sospendiamo immediatamente la fornitura di ogni tipo di materiale bellico.
E’ inoltre necessario che l’Europa non ceda alla minaccia del regime turco di inviarci i 3,6 milioni di rifugiati siriani presenti sul suolo turco e per i quali la Comunità Europea ha già versato alla Turchia 5,6 miliardi di euro a fronte dei 6 che si è impegnata a pagare nell’accordo sottoscritto nel 2016.
Quanto vale la vita di un uomo o di una donna?
La Svizzera ha stimato che la vita di un cittadino della confederazione vale 6,5 milioni di franchi (5,6 milioni di euro). Ma ovviamente la vita umana vale meno molto meno in altri Paesi e luoghi.
Quanto vale la vita di un bambino yemenita, e quanto quella di uno curdo?
Evidentemente per qualcuno nulla. Salvo che per essere usata come arma di minaccia o ricatto.
Ma se si vuole veramente conoscere il prezzo della vita di un essere umano, bisogna chiederlo ad una mamma. Ella saprà rispondere con precisione e in maniera definitiva.
Alla domanda più atroce che sale dagli oppressi, che sta nel dubbio che Dio stesso li abbia ormai abbandonati, così risponde il profeta Isaia (capitolo 49, 16s):
“Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore mi ha dimenticato».
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se queste donne si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.”
Il nostro appello è dunque pretesa di giustizia, protesta contro la violenza e testimonianza dell’amore materno di Dio verso chiunque soffre. Non possiamo che [schierarci a favore] del popolo curdo, di quello yemenita, di quello palestinese e di tutti coloro la cui vita è oppressa da regimi tirannici e senza scrupoli.
Dio non abbandona nessuno e aspetta che anche noi facciamo lo stesso.
Kurdistan siriano. Beati i costruttori di pace (e non di armi)