E così Siria. Intervista a Nilufer Koc, co-presidentessa del Congresso nazionale del Kurdistan: «Subito sanzioni e una no-fly zone in Siria del nord. L’accordo Sdf-Damasco dovrà tradursi in soluzione politica. Il confederalismo democratico non minaccia la sovranità della Siria, ma è un contributo alla sua democratizzazione»
«Arabi che ospitano curdi, cristiani che ospitano musulmani, le tribù arabe che hanno inviato 50mila combattenti e lo stesso hanno fatto cristiani, armeni, assiri: è questa la vera vittoria del confederalismo democratico, un modello di convivenza che né Trump né Erdogan possono sconfiggere».
Nilufer Koc è co-presidentessa del Congresso nazionale del Kurdistan (Knk). La raggiungiamo al telefono a Bruxelles, nel cuore di quelle istituzioni europee che da giorni si lanciano in critiche all’operazione turca nel nord della Siria, evitando accuratamente misure concrete.
Lunedì il consiglio dei ministri degli esteri europei non ha preso decisioni concrete. State facendo pressioni perché le istituzioni internazionali agiscano?
Stiamo lavorando per convincere governi europei e istituzioni internazionali a compiere passi concreti che fermino l’occupazione turca. L’Europa condanna a parole mentre la Turchia commette crimini di guerra e contro l’umanità. Stiamo assistendo a una catastrofe umanitaria: i turchi colpiscono le reti idrica ed elettrica, ospedali, scuole, stanno compiendo una pulizia etnica al confine giustificandola con «ragioni di sicurezza». Eppure l’Amministrazione autonoma ha accettato l’accordo Usa-Turchia sulla zona cuscinetto. È l’amministrazione Trump ad aver ritirato le sue truppe senza nemmeno avvertire le Sdf (Forze democratiche siriane).
Cosa chiedete alle istituzioni internazionali?
Chiediamo sanzioni diplomatiche ed economiche, la sospensione dei negoziati di adesione della Turchia all’Unione europea e della membership turca alla Nato. Va fatta pressione anche sulla coalizione internazionale perché implementi una no-fly zone per impedire subito altri bombardamenti. Dalla gente di ogni continente abbiamo ricevuto grande solidarietà e i combattenti sul terreno ne ricavano forza. Ma servono atti concreti come la chiusura delle ambasciate turche. Dobbiamo isolare la Turchia, è una minaccia per tutti noi. Vuole un califfato nel nord della Siria, non è un problema solo nostro.
La Nato ha già dimostrato sostegno ad Ankara. E questo ha influito sulle decisioni Ue.
Erdogan parla di Articolo 5 della Nato, ma è lui l’aggressore. Nessun curdo o arabo ha attaccato il confine turco in questi anni. La Nato è responsabile dei suoi membri, di punirli se violano le regole. Parla di stabilità ma non ferma il caos e i crimini turchi.
Domenica le Sdf hanno raggiunto un accordo con il governo siriano. Si parla di intesa militare. Quella politica seguirà? In quel caso il modello del confederalismo democratico potrebbe sparire?
Insieme alla coalizione internazionale abbiamo combattuto contro i proxy di Erdogan, oggi insieme al governo siriano vogliamo sconfiggere il loro vertice. Negli ultimi otto anni l’Amministrazione autonoma ha sempre ripetuto di essere parte della Siria, non c’è mai stata l’intenzione di un’indipendenza. La porta del dialogo è sempre rimasta aperta con l’obiettivo di farci riconoscere dal governo nell’ambito di un processo di democratizzazione. L’attuale dialogo tra Rojava e Damasco arriverà sicuramente a un punto politico, quello attuale è un accordo militare che dovrà tradursi in una soluzione politica. Ma al momento è vitale proteggere i confini e impedire l’occupazione turca. Non ci sono segnali che indicano una scomparsa del confederalismo democratico e comunque Rojava non si arrenderà: il popolo ha creato un sistema politico per il quale ha pagato un prezzo alto. Un modello democratico che non danneggia nessuno, non minaccia i confini internazionalmente riconosciuti né la sovranità della Siria. È un contributo alla sua democratizzazione. Nessuno, arabi, curdi, cristiani, musulmani, intende rinunciarci: hanno sperimentato la libertà.
Mosca ha dato avvio al negoziato tra Sdf e Damasco. In questa girandola di alleanze, vi fidate della Russia?
L’attuale arena politica nel nord della Siria è dettata dal caos. Quando combattevamo l’Isis di fronte avevamo dei fascisti e, come accadde nella seconda guerra mondiale, abbiamo stretto alleanze con chi aveva il comune interesse a sconfiggerli. La priorità era sradicare l’Isis, per questo siamo stati flessibili nello stringere alleanze militari. Ora la stessa cosa accade con la Turchia e di nuovo optiamo per la flessibilità. Se la Russia ci appoggerà militarmente, lavoreremo con la Russia e con chi vorrà impedire quest’aggressione razzista e fascista. Trump ci ha usati, la Russia non deve fare lo stesso errore. Perché l’aggressione turca non ha solo i curdi come obiettivo: Erdogan punta a un’egemonia regionale che va al di là di Rojava e che è un pericolo per tutti.
Rojava è ancora in grado di resistere? Si parla di migliaia di giovani che prendono le armi, ma anche di centinaia di migliaia di sfollati.
Il popolo ha costruito il confederalismo democratico e intende difenderlo. Moltissimi si stanno unendo alle Sdf, giovani e adulti, donne e uomini. Si combatte perché si sta difendendo una società per cui vale la pena rischiare. Per lo stesso motivo si organizza l’assistenza alle comunità attraverso le organizzazioni locali che gestiscono il sistema sanitario d’emergenza, carovane che si spostano portando medicine nelle zone colpite. Chi fugge non esce dai territori di Rojava. Qui trova solidarietà di base, persone che condividono con gli sfollati rifugi e cibo.
di Chiara Cruciati
Il Manifesto